25 agosto 2017

D. SHOSTAKOVICH E B. BRITTEN VISTI DA MARCO NINCI

D. Shostakovich in servizio di guardia sul tetto del Conservatorio di Leningrado nel 1942



I rapporti del grande musicista sovietico Dimitri Shostakovich con il pensiero musicale di chi stava al di là della cortina di ferro sono sempre stati difficili e ambigui. Una commovente eccezione era l'amicizia cordiale con Benjamin Britten, durata tutta la vita. Un'amicizia fatta anche di ammirazione reciproca; il sovietico considerava il "Requiem di Guerra" dell'inglese la più grande opera musicale del Novecento. E Shostakovich, quando si trovava in Inghilterra, non mancava mai di andare a trovare l'amico. Questa amicizia aveva anche un fondamento storico e culturale. I due musicisti infatti, nei primi decenni dopo la guerra, avevano subito l'ostracismo da parte dell'avanguardia ufficiale, quella che, partendo dall'esempio della Seconda Scuola di Vienna, rifiutava i nessi linguistici capaci di comunicazione e finiva addirittura con il rifiuto dell' arte come fatto collettivo e aperto a tutti. I due invece erano terribilmente comunicativi, il loro linguaggio non poneva particolari problemi di ricezione; in definitiva, non condividevano l'atteggiamento aristocratico di chi, davanti a una società alienata, si proponeva di negarla in blocco. Di Shostakovich al massimo si potevano accettare le prime opere, quelle coeve ai grandi scrittori avanguardisti come Majakovskij o Mandelstam; al modo in cui si accettava la luce accecante, motorista e cubista, di Prokofiev. Ma il resto no davvero; il meraviglioso Shostakovich del dopoguerra, sempre più sprofondato nella depressione, in una opposizione al regime sostanzialmente solitaria e intimistica. Come non si accettava il Prokofiev del ritorno in Russia, nella seconda metà degli anni Trenta, sempre più sprofondato in un romanticismo ricolmo di melodia. Eppure Shostakovich era moderno quanto Schönberg e grande come lui. Ma il suo rifiuto della società non toccava il linguaggio; si esprimeva invece nella costruzione di un paesaggio ghiacciato e senza speranza, cupo e introverso, popolato di fantasmi senza volto. Non è nemmeno intravista in lui la costruzione di una società migliore e più giusta. Sarà per questo che uno dei più grandi, se non il più grande, insieme a Pierre Boulez, interprete di musica contemporanea, il nostro Claudio Abbado, da Shostakovich si è sempre tenuto lontano. Proprio lui, che non temeva di affrontare le più angosciose contorsioni del linguaggio , non ha voluto guardare quel panorama privo di colori, mentre si è esaltato nel cubismo di Prokofiev e nella matericità di Luigi Nono. Tanto è difficile ascoltare chi parla di noi e della nostra irrimediabile solitudine, e con una simile immediatezza.

Marco Ninci

1 commento:

  1. Per una imperdonabile distrazione avevo deformato il cognome del prof. MARCO NINCI, docente di filosofia antica alla Normale di Pisa.

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