Si continua a scrivere e a parlare di F. Nietzsche. Sono tanti i saggi usciti negli ultimi anni sul tanto discusso filosofo tedesco. Fra tutti segnaliamo “Psicologia di un'enigma” di Elisabetta Chicco Vitzizzai.
Moreno Montanari
Classico, leggero o
pop così parlò Nietzsche
Ancora una volta
Nietzsche; un eterno ritorno il suo, almeno in libreria. E pensare
che finché fu in vita non riuscì a trovare nemmeno un editore
disposto e a pubblicarlo e fu costretto a stampare a proprie spese,
in tipografia, le poche copie dei suoi libri. Eppure oggi è uno dei
filosofi più noti, pubblicati e (forse) letti del mondo. Nel suo
ultimo romanzo ora tradotto in Italia, Carlos Fuentes lo immagina
vivo ai giorni nostri, per dimostrare l'attualità di un pensiero
che, come gli fa dire, «offre vita, non ragioni».
( Con Nietzsche sul
balcone, Il Saggiatore). Solo in Italia, negli ultimi mesi, sono
stati pubblicati tanti libri dedicati a lui, con le inclinazioni più
disparate: ad esempio quella intima, legata alle lettere e ai suoi
taccuini, in Nietzsche. Psicologia di un enigma di Elisabetta Chicco
Vitzizzai (Castelvecchi); quella musicale in Dioniso a New Orleans.
Nietzsche e il tragico nel Jazz di Marco Restucci (Alboversorio);
quella giuridica in Il diritto nella volontà di potenza di Laura
Zavatta (Aracne); quella più classicamente filosofica in Il
pragmatismo di Nietzsche. Saggi sul pensiero prospettivistico di
Pietro Gori (Mimesis).
Libri che non di rado
traggono ispirazione da dettagli apparentemente secondari, come nel
caso de L'ombrello di Nietzsche di Thomas Hürlimann (Marcos y
Marcos). Il titolo parte da un breve virgolettato presente nei diari
di Nietzsche — «ho dimenticato l'ombrello» — che Colli e
Montinari, curatori dell'opera completa del filosofo, ritennero
sufficientemente significativo da rientrare tra quelli che compongono
i Frammenti postumi del filosofo, senza tuttavia sentire l'esigenza
di spiegarne il motivo. Come già Derrida in Sproni. Gli stili di
Nietzsche, (Adelphi 1991), ampiamente ripreso e citato, lo scrittore
svizzero prova ad accedere al cuore del pensiero e della vicenda
personale di Nietzsche a partire dall'ombrello che questi portava con
sé nelle sue passeggiate a Sils Maria, in Svizzera.
Vale forse la pena di
chiedersi come mai abbiamo tutto questo interesse per Nietzsche non
meno che per la sua opera. Forse perché per primo svelò come ogni
filosofia, dietro la sua maschera di oggettività, non sia altro che
un'autobiografia involontaria. In questo modo, non solo mostrò
quanto di "umano, troppo umano" vi fosse in tutto ciò che
consideravamo sacro, universale e valido in sé, ma iniziò a
filosofare in prima persona, senza lesinare particolari sulla sua
vita, inaugurando uno stile saggistico-narrativo, oggi
particolarmente in voga, nel quale le più articolate e sofisticate
questioni di fondo si mescolano con i dettagli più personali delle
propria esistenza.
Come il suo maestro
Eraclito, Nietzsche indagò se stesso, intuendo che proprio in ciò
che ciascuno ha di più personale si rivela quanto è massimamente
universale: lo specifico della condizione umana. «L'intera
psicoanalisi, l'intero esistenzialismo, tutto », sostenne Goffried
Benn «si deve a lui». «Scrivi col sangue», ammonì Nietzsche, «e
allora conoscerai lo spirito ».
Ogni suo aforisma esprime
la lacerazione e il travaglio interiori di chi ha sperimentato su di
sé lo sgomento che segue alla scoperta che Dio è morto e con esso
ogni pretesa di rifarsi a valori universali, oggettivi e validi in
sé; ci consegna allo spaesamento per la consapevolezza che ogni
angolo prospettico ha una propria "verità", inconciliabile
rispetto alle altre ma non di meno sensata, perché reale
testimonianza di una concreta esperienza di vita.
L'importante è che i
diversi punti di vista non esercitino, come recita il suo
Zarathustra, «il veneficio contro la vita», non cedano cioè allo
«spirito di risentimento» per dire piuttosto di sì alla vita così
com'è, senza bisogno di infingimenti. «Di quanta verità sei
capace?» chiede Nietzsche al lettore; chiunque decida di accettare
la sfida sa che dovrà chiamare a rispondere la propria vita.
Il tutto, come dicevamo,
a partire dall'ombrello di Nietzsche. Pare che fosse rosso e che i
ragazzini del luogo si divertissero a metterci dei sassolini dentro,
cosicché quando il filosofo lo apriva piovevano sassi dal cielo. Una
bella metafora della fine di ogni metafisica, ma anche un sinistro
avvertimento: «Attento Nietzsche, se fai crollare il cielo, il cielo
ti schiaccerà». E proprio «della volta celeste in miniatura, usata
a mo' di aureola», sarebbe simbolo la parte concava dell'ombrello;
il manico, al contrario, rappresenterebbe «il bastone di Esculapio o
il pastorale del vescovo, simbolo del trionfo dell'uomo sulla terra»;
nel suo insieme l'ombrello rappresenterebbe dunque «l'unione tra
cielo e terra», il superamento degli opposti, uno dei perni del suo
pensiero.
Non senza qualche
equilibrismo interpretativo, l'autore lo riconduce all'aquila e al
serpente, gli animali dello Zarathustra e della Bibbia, ma non prima
di averci ricordato come, appositamente sofisticato, costituisse una
pericolosa arma da fuoco in uso ai servizi segreti bulgari (roba da
007). Anche Derrida, del resto, aveva visto in esso una sorta di
fioretto con il quale Nietzsche sfidava il lettore, nonché, in
ossequio a una certa letteratura psicoanalitica, un fallo che
penetra.
Curiosamente né a lui né
a Hürlimann è venuto in mente che forse un indizio per risolvere
l'enigma Nietzsche lo aveva lasciato in uno dei suoi primi saggi
giovanili intitolato Su verità e menzogna in senso extramorale. Qui,
per la prima volta, s'introduce l'idea nietzschiana che la cultura
sia un meccanismo di difesa elaborato per ripararsi
dall'imprevedibilità della vita e dalla sua irriducibilità a
concetto. Così, mentre l'uomo contemporaneo, ormai addomesticato, si
premura di mettersi al riparo da ciò che non può controllare,
l'uomo non civilizzato, «se un nuvolone temporalesco si rovescia su
di lui, si avvolge nel suo mantello e se e va a passo lento sotto il
temporale». L'ombrello non gli serve.
La repubblica – 27
luglio 2017
* Il prof. Marco Ninci sul mio diario FB ha postato stamattina questo lucidissimo commento che mi piace riproporre di seguito:
"Brevemente. Penso che Nietzsche interessi per l'ideale di una vita integra, coraggiosa, capace di guardare al fondo degli oscuri recessi dell'esistenza. Non arretrare davanti a nulla, non meravigliarsi di nulla. La durezza del suo sguardo è la durezza di un innamorato, cui non sfugge alcun dettaglio di quanto ha valore, sia esso una sfumatura psicologica, l'opera di un musicista, i versi di un poeta. Le sue osservazioni soltanto in apparenza soffrono di dispersione; in realtà sono i frammenti di un romanzo filosofico straordinario, intriso di sensibilità e perfettamente unitario. Che poi la saldezza di questo arco si sia spezzata e il filosofo ne sia uscito a pezzi, questo non prova nulla contro di lui; è un ideale destinato a risplendere per sempre. " Marco Ninci
* Il prof. Marco Ninci sul mio diario FB ha postato stamattina questo lucidissimo commento che mi piace riproporre di seguito:
"Brevemente. Penso che Nietzsche interessi per l'ideale di una vita integra, coraggiosa, capace di guardare al fondo degli oscuri recessi dell'esistenza. Non arretrare davanti a nulla, non meravigliarsi di nulla. La durezza del suo sguardo è la durezza di un innamorato, cui non sfugge alcun dettaglio di quanto ha valore, sia esso una sfumatura psicologica, l'opera di un musicista, i versi di un poeta. Le sue osservazioni soltanto in apparenza soffrono di dispersione; in realtà sono i frammenti di un romanzo filosofico straordinario, intriso di sensibilità e perfettamente unitario. Che poi la saldezza di questo arco si sia spezzata e il filosofo ne sia uscito a pezzi, questo non prova nulla contro di lui; è un ideale destinato a risplendere per sempre. " Marco Ninci
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