I Quaderni Piacentini
rappresentarono per chi, come noi, era arrivato alla politica alla metà
degli anni '60 in polemica con il PCI, una fonte
importantissima di idee e di stimoli culturali. Ricordiamo un viaggio
a Piacenza fra nebbia e osterie per un incontro con Grazia Cherchi,
la vera anima della rivista, alla ricerca di un improbabile contatto.
Era il 68, eravamo molto
giovani e arroganti, convinti di poter trattare alla pari con tutti. La
cosa, come ovvio, si risolse in una bevuta in un'osteria del centro
storico.
Marco Gatto
Una multiforme
comunità intellettuale testimone del Sessantotto
Con I «Piacentini».
Storia di una rivista (1962-1980) (Edizioni dell’Asino, pp. 226, 10
euro), Giacomo Pontremoli ci consegna una ricostruzione
storico-critica minuziosa e utile delle vicende editoriali e
culturali legate a uno dei periodici di sinistra più noti e
importanti del secolo scorso.
SFILANO come
presenze decisive i nomi di Fortini, Solmi, Cases, Panzieri,
Timpanaro, accanto ai condirettori e fondatori del progetto
editoriale, Piergiorgio Bellocchio, Grazia Cherchi e Goffredo Fofi.
Pontremoli ricostruisce con cura le discussione interne alla rivista.
le torsioni dialettiche e le dispute dialogiche di quella stagione,
in cui, per forza di cose, il confronto sul Sessantotto gioca un
ruolo-chiave: sono, infatti, quelle dedicate ai moti studenteschi e
alle loro ripercussioni politiche le pagine più avvincenti del
testo, in cui il lettore può assistere alla forza di una critica in
atto, all’apertura di direzioni percorse o messe da parte.
La misura del lavoro di
Pontremoli sta nel rendere la dimensione politica dei discorsi e
delle argomentazioni.
Leggendo i contributi di
Fortini e altri, non si può non sperimentare una sorta di
inestimabile distanza dal presente: immaginazione e veemenza teorica,
capacità di politicizzare la scrittura, attenzione non edonistica
nei confronti dei prodotti artistici, costante rinvio a una prassi
mai vissuta come rimando retorico – ecco, viene da chiedersi se
tutto ciò non sia oggi disperso e se non valga la pena apprendere da
quella stagione semplicemente una lezione di metodo e di stile.
CERTAMENTE i Quaderni piacentini sono un riflesso delle tensioni politiche e culturali di quegli anni. Ma anche un doloroso documento di quel drammatico passaggio agli anni Ottanta, al culto del privato, di cui lamenta Bellocchio proprio nell’aprile del 1980, e verso il quale la sinistra ha sperimentato un vuoto di elaborazione critica. Da questa prospettiva diventa interessante leggere oggi, a freddo, l’esperienza della rivista come documento delle traiettorie teoriche e politiche della sinistra: comprendere, cioè, quali riferimenti siano divenuti egemoni, quali invece tenuti da parte, persino quali eccessive aperture culturali si siano rivelate un’arma a doppio taglio per la riflessione politica. Non bisogna dimenticare, del resto, che i Piacentini furono il luogo di una curiosità intellettuale onnivora, e in virtù di ciò la sede adatta a leggere le dinamiche politico-culturali extranazionali, le strade aperte dal socialismo latino-americano o dalla rivoluzione culturale cinese.
A PONTREMOLI va dato
atto di aver restituito al lettore, con grande onestà storica, un
quadro problematico su cui riflettere, senza escludere l’utilissimo
«indice degli indici» posto in appendice. Si può constatare che, a
distanza di cinquant’anni e più dall’inizio di quella
esperienza, si faccia fatica oggi a trovare sedi in cui il dibattito
militante incontri una direzione politica condivisa?
LE DIVERSITÀ emergevano
anche allora, e le modalità con cui si esprimevano davano il polso
di un contesto in cui la discussione, anche accesa, generava nuove
posizioni e nuove visioni della realtà. Che i Piacentini abbiano
chiuso le ostilità al sopraggiungere di un’epoca di nichilismo
culturale realizzato, è forse anche un segno di rispetto culturale:
le riviste chiudono quando non hanno ragione d’essere, quando hanno
bisogno di mutare pelle per sentirsi all’altezza dei cambiamenti.
Il Manifesto -10 agosto
2017
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