Città romana,
bizantina, ottomana. Tra cristiani, filosofi, harem ed eunuchi Sulle
tracce dei mercanti genovesi e quelle di Garibaldi. Inseguendo
un'idea di civiltà protesa verso Oriente ma con le radici in Europa. Un
reportage di Corrado Augias che alla città ha dedicato un libro.
Corrado Augias
I segreti di Istanbul
Sospesa tra due
continenti, modellata da tre diverse civilizzazioni, Istanbul si
presenta quasi con un eccesso di passato e di fascino. Bisognerebbe
arrivarci dal mare, come una volta, assistere al progressivo
delinearsi del suo profilo di colli, cupole e minareti, il bruno
dorato delle mura, il golfo profondo del Corno d'Oro, il più bel
porto naturale del mondo.
Istanbul è stata romana
con Costantino, bizantina con gli imperatori d'Oriente, ottomana con
i sultani, repubblicana con Mustafa Kemal Atatürk, oggi conosce
l'autoritarismo di ritorno del tirannico Recep Tayyip Erdogan che non
può rinnegare apertamente il padre fondatore della Turchia moderna,
Atatürk cioè padre dei Turchi, però di fatto lo cancella.
Ciò che subito appare
sono le tracce dei quasi cinque secoli di impero ottomano
(1453-1918). Se ci si pensa non sarebbero molti rispetto ai dieci
secoli e passa, più di mille anni, della precedente civiltà
bizantina quando Istanbul ancora si chiamava Costantinopoli e i suoi
abitanti si definivano "romani". Lo dicevano in greco, ( oi
romaioi), però lo dicevano perché quella era la loro radice, il
punto di riferimento. Tale la persistenza del mito di Roma che dopo
la conquista di Costantinopoli (1453), perfino il sultano aggiunse ai
suoi titoli quello di Qaysar-i Rum, Cesare dei Romei.
Dei mille anni di dominio
bizantino non è rimasto molto anche se ciò che resta è di qualità
notevole e si sbaglia a trascurarlo. Prevale però l'attrazione delle
tracce ottomane anche perché su quel periodo si sono a lungo
concentrate le fantasie dell'Occidente. Quelle cupole larghe e basse
- così diverse delle cupole barocche - contrappuntate da minareti
sottili come matite, evocano la città dei sultani, dei loro ozi,
dell'harem affollato di giovani schiave pronte ad ogni capriccio.
Per un singolare
paradosso la parte della città che più richiama l'Oriente e i
sultani si trova sulla quota di territorio che geopoliticamente fa
parte dell'Europa. Lì sono la città antica con le moschee
principali, a cominciare da Santa Sofia, il grande Bazar, il palazzo
reale (Topkapi) con l'harem, i mausolei, l'ippodromo, un importante
museo archeologico.
Verso nord, al di là
dello stretto braccio del Corno d'Oro, si trova la città più
recente dominata ancora oggi dalla torre genovese di Galata che
deriva il nome da "calàta" nel senso di banchina destinata
all'ormeggio.
Il nome attuale del
quartiere è Beyoglu, una volta si chiamava Pera, che non rimanda al
frutto naturalmente ma al greco para prefisso che indica prossimità,
vicinanza. Vicina era infatti la collina di Pera a quella della città
vecchia. Il viale principale di Beyoglu si chiama Istiklâl Caddesi
(viale dell'Indipendenza), una volta si chiamava Grande Rue de Pera
attraversava la zona dove soggiornavano i viaggiatori occidentali,
gli avventurieri, le belle donne in cerca di fortuna, le spie. Ancora
oggi lo percorre su e giù un caratteristico piccolo tram rosso.
Nelle vicinanze si trova
il Grand Hotel de Pera molto frequentato, un tempo, dagli autori di
romanzi polizieschi e dai grandi inviati di guerra. Due nomi su
tutti: Agatha Christie, Ernest Hemingway che, come Garibaldi, sembra
essere stato dappertutto.
Non ho citato il nome
dell'Eroe a caso. Infatti Garibaldi è stato anche a Istanbul a
benedire, se così posso dire, una società operaia organizzata dai
numerosi emigranti italiani che lavoravano nella città. La sede era
stata notevolmente danneggiata dal tempo e dall'incuria. Un giovane
storico italo-turco - Sedat Bornovali amante dell'Italia, ha trovato
i fondi per restaurarla, oggi la può visitare: stanze,
documentazione, arredi, il salone-teatro dove si tenevano riunioni,
comizi, balli, feste. Sul boccascena la commovente scritta: «Chi ama
la patria la onori con le opere». L'edificio si trova in una
brevissima traversa del Viale dell'indipedenza, Deva Cikmazi. Al
fondo, fra i civici 2 e 4, c'è l'austero edificio, tre piani, della
Società Operaia Italiana di Mutuo Soccorso fondata, ulteriore
curiosità, nel 1863 - solo due anni dopo la proclamazione del Regno
d'Italia.
Da quando le ambasciate
non sono più qui ma ad Ankara, capitale politica, le loro vecchie
sedi sono diventate centri culturali, proiettano film in lingua
originale, ospitano scrittori dei rispettivi paesi. Lo fa anche
l'Italia che conserva a Istanbul uno dei suoi Istituti Culturali più
belli.
Varchiamo il Corno d'Oro,
magari a piedi attraverso il ponte di Galata, torniamo nella città
vecchia con le sue meraviglie a cominciare da quella religiosa (ora è
un museo) di Santa Sofia e dal palazzo imperiale detto Topkapi. Non
do i dettagli, si trovano su ogni guida, durante il mio soggiorno in
città quello che ho cercato di cogliere è stato il clima, direi la
temperatura di quei luoghi.
A Santa Sofia si può
cogliere con relativa facilità se si è pronti a cogliere i segni
del passaggio dal culto cristiano a quello musulmano. Esperimento che
del resto si può fare anche a Roma - penso, per esempio, alla
basilica dei Santi Quattro Coronati: vecchi templi adattati ai riti
d'una nuova religione.
Topkapi non è un palazzo
ma una città cinta da una triplice corona di mura, suddivisa in vari
ambienti, tesoro, sala del governo, harem, magazzini, cucine
eccetera. Quello che per noi è il Consiglio dei ministri, per gli
ottomani era il Divan, infatti su comodi divani sedevano il Gran
Visir con i suoi pascià. Sopra di loro, sulla parete, una finestra
chiusa da una fitta griglia; da lì il sultano po- teva assistere
alle riunioni anche se nessuno sapeva se davvero il capo supremo, dal
quale dipendeva la vita di ognuno, fosse davvero presente.
Ciò che si vede
dell'harem è una serie di sale, stanze, stanzette, hamam, oscuri
passaggi quasi tutti vuoti meno la sala del trono. Bisogna
immaginarla la vita delle tre o quattrocento schiave che popolavano
quegli ambienti. Serve, sguattere, addette alle cucine, ai fiori, ai
bagni, alla cura della Valide sultan, madre del sultano regnante,
fino al vertice del gineceo: le favorite, le mogli, la preferita,
madre del primogenito maschio.
Tutte, nei diversi ruoli,
schiave di un'organizzazione dove avevano spazio capricci, crudeltà,
gelosie, lascivie, vendette, ma dove vigeva anche una disciplina
quasi da caserma della quale s'incaricavano gli eunuchi.
È stato questo complesso
apparato politico, religioso, militare, legislativo - e sensuale - a
spegnere la memoria dei bizantini. Ingiustamente. Perché la dottrina
cristiana nata con Paolo di Tarso - oggi lo diremmo un turco - ha
preso forma qui. I primi concili cristiani, a cominciare da quello di
Nicea del 325 (voluto da Costantino in persona) sono avvenuti a
Istanbul o nei dintorni. Bisognerà arrivare al 1123 perché un
concilio si svolga in Occidente, a Roma nella basilica di San
Giovanni in Laterano. Resta dell'altissima civiltà bizantina un
luogo che andrebbe visitato, almeno quello: la chiesa protocristiana
detta di San Salvatore in Chora (letteralmente: fuori città, in
campagna).
All'interno mosaici e
affreschi tra i massimi dell'arte bizantina. Ma più del pregio
pittorico, ciò che prende il visitatore - che certamente ha preso me
- è il valore di testimonianza: una grande fede appena nata, nel
momento in cui riteneva di poter cambiare il mondo.
La repubblica – 8
agosto 2017
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