La sua foglia,
coltivata da sempre nei paesi latinoamericani e usata dai contadini
per non sentire la fatica, in Occidente diventa
qualcos'altro: medicinale e piacere proibito. Come Freud e Sherlock
Holmes sapevano bene.
Marco Belpoliti
"Planta divina"
e arte diabolica quel paradosso chiamato coca
La prima menzione è nel
rapporto che un prete spagnolo, Thomas Ortiz, invia nel 1499 ai suoi
superiori. Gli indigeni della costa settentrionale dell'America
Meridionale si servono di una pianta che chiamano "hayo".
Amerigo Vespucci fornisce indicazioni sull'uso della medesima pianta
da parte degli indigeni delle foci del Rio Pará. Man mano che la
conquista procede aumentano le segnalazioni. Francisco Pizarro e i
suoi compagni ne vengono a conoscenza nel 1533. Sarà Pedro Cieza de
Léon a dettagliarne l'uso: la coca, questo il nome della pianta,
infonde vigore e allontana i morsi della fame.
Ci vorrà del tempo
affinché i botanici identifichino due specie distinte. Un botanico
francese porta in Europa i semi nel 1750. Viene descritta da
Jean-Baptiste Lamarck: Erythroxylon coca. Si tratta di un arbusto di
forma piramidale che può arrivare sino a quattro o cinque metri di
altezza. Somiglia a un prugnolo e ha una corteccia di colore
rosso-bruno, fiori giallastri, che si tramutano in frutti rossi senza
nocciolo. La foglia è ovoidale o lanceolata, verde scuro, dimensioni
variabili da 9,5 cm di lunghezza a 4,5 cm di larghezza. Classificata
dal farmacologo Louis Lewin nel suo Phantastika nel 1924 tra le
sostanze euforizzanti, è il più antico e forse più tipico dei
narcotici dell'America Meridionale.
Masticatori di coca precolombiani
Sul suo uso si apre
subito una discussione: nociva o utile? Ci pensa il Concilio di Lima
nel 1567-68 a rispondere: va proibita poiché vincola il mondo indio
alle religioni magiche, il che rende difficile l'evangelizzazione.
Pianta diabolica, bisogna sradicarla per sradicare l'idolatria. Ma
come si farà a far lavorare gli indios senza il beneficio di questa
foglia da masticare? Così la "planta divina" continuerà a
essere usata nel corso del Seicento e del Settecento nell'America
Meridionale.
In Europa arriverà solo
in seguito e si trasformerà in cocaina mediante tre procedimenti di
trasformazione. Il principale è l'estrazione diretta: si sciolgono
le foglie in acido solforico e si precipitano così gli alcaloidi con
bicarbonato di sodio; ne deriva la pasta di coca, una polvere bianca
o bruna di odore dolciastro, che può essere fumata. Per produrre la
cocaina vera e propria si scioglie la pasta nell'acido cloridrico
usando anche permanganato di potassio e carbonato di sodio: cocaina
cloridrato, pura tra il 70 e il 90%.
Quella che è immessa nel
mercato, la droga di strada, viene tagliata con altre sostanze attive
o inerti. Gli effetti della cocaina sono euforia, stimolazione
sessuale, aumento di energia, riduzione di sonno e appetito, aumento
della lucidità mentale e della forza muscolare. Lewin la
classificava tra le sostanze che producono effetti euforici, in
realtà è un eccitante. Se gli oppiacei tendono a isolare l'io
dall'ambiente circostante, la cocaina fa sentire padroni di tutto: il
suo esito patologico è uno stato di paranoia.
Fino alla fine del XIX
secolo non approda davvero in Europa. Sarà nel 1871 Paolo
Mantegazza, medico e neurologo, frequentatore del Sudamerica, il
primo scienziato a farne uso, a descriverne gli effetti alla stregua
di un medicinale, o come stimolante, in Quadri della natura umana —
Feste ed ebbrezze: «La coca possiede la preziosissima qualità di
eccitare il sistema nervoso e di farci godere colla sua fantasmagoria
uno dei maggiori piaceri della vita».
Il mondo industriale se
n'è già interessato. Angelo Mariani, corso che opera a Parigi,
lancia nel 1863-1864 un prodotto alcolico con un estratto della
foglia di coca: "Vino Mariani alla Coca". Successo
immediato. Lo bevono e lo lodano Jules Verne, Ibsen, lo zar di Russia
e Leone XIII; il papa lo premia con una medaglia d'oro. L'idea arriva
in America dove un farmacista di Atlanta crea una bevanda che
attraverso vari passaggi diventa "Coca Cola", sostituendo
il vino con un estratto di noce di cola.
Il nome di cocaina gli
deriva da un chimico tedesco, Albert Niemann. L'uso che ora se ne fa
è quello d'anestetico locale. Qui entra in scena un giovane medico
viennese in cerca di fama e di successo: Sigmund Freud. Ha 28 anni ed
è ambizioso. La scopre e l'acquista. È cara e perciò la compra a
credito. La prova e si accorge che il suo umore depresso muta di
colpo. La consiglia anche alla fidanzata e a un amico che sta
cercando di liberarsi dalla morfina. Nel luglio del 1884 pubblica
Sulla cocaina, scritto che non si trova nelle sue opere complete. Il
farmaco, scrive, cura disturbi gastrici, dipendenza da alcool e
morfina, asma ed è un buon afrodisiaco. Lo legge un oculista
viennese, Carl Koller, e avrà l'idea di usufruirne come anestetico
nella chirurgia dell'occhio. Freud continua a usarla sino al 1895 per
curare fastidiosi congestioni nasali, e scrive Osservazioni sulla
dipendenza e paura da cocaina.
Un altro investigatore di
segni, Sherlock Holmes, nato dalla penna di Conan Doyle, nel romanzo
Il segno dei quattro (1890) se l'inietta in «una soluzione al sette
per cento». Consuma cocaina l'alta borghesia ma anche il mondo degli
artisti, i giocatori d'azzardo e le prostitute. Nel 1916 si diffonde
tra i soldati che combattono, mentre i dentisti la usano come
anestetico.
In America l'Harrison
Narcotic Act nel 1914 la include tra le sostanze proibite. La sua
storia, ha scritto Giancarlo Arnao in Cocaina e crack, mostra come
tra "medicine" e "droghe" esista un dato comune:
il meccanismo farmacologico. Diverse malattie e disturbi mentali
vengono curati con medicinali psicoattivi, i cui effetti sono
analoghi quelli delle droghe illegali. Le sostanze voluttuarie —
tè, caffè, tabacco, che fungono da stimolanti, e l'alcol, un
depressivo euforizzante — non sono considerate droghe; il confine
corre tra legale e illegale. Nel 1984 l'anonimo protagonista del
romanzo
Le mille luci di New York
sente cantare nella sua testa l'esercito dei soldatini boliviani
mentre tira la cocaina. Prima di lui William Burroughs in Il Pasto
nudo (1959), percepisce la medesima l'euforia prima che la
depressione l'avvinca, e tutto ricominci da capo. Senza fine.
La foglia di coca masticata dai contadini latino-americani
La repubblica – 28
luglio 2017
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