03 agosto 2017

UNA STORIA DELLA "PLANTA DIVINA"




La sua foglia, coltivata da sempre nei paesi latinoamericani e usata dai contadini per non sentire la fatica, in Occidente diventa qualcos'altro: medicinale e piacere proibito. Come Freud e Sherlock Holmes sapevano bene.
Marco Belpoliti
"Planta divina" e arte diabolica quel paradosso chiamato coca
La prima menzione è nel rapporto che un prete spagnolo, Thomas Ortiz, invia nel 1499 ai suoi superiori. Gli indigeni della costa settentrionale dell'America Meridionale si servono di una pianta che chiamano "hayo". Amerigo Vespucci fornisce indicazioni sull'uso della medesima pianta da parte degli indigeni delle foci del Rio Pará. Man mano che la conquista procede aumentano le segnalazioni. Francisco Pizarro e i suoi compagni ne vengono a conoscenza nel 1533. Sarà Pedro Cieza de Léon a dettagliarne l'uso: la coca, questo il nome della pianta, infonde vigore e allontana i morsi della fame.
Ci vorrà del tempo affinché i botanici identifichino due specie distinte. Un botanico francese porta in Europa i semi nel 1750. Viene descritta da Jean-Baptiste Lamarck: Erythroxylon coca. Si tratta di un arbusto di forma piramidale che può arrivare sino a quattro o cinque metri di altezza. Somiglia a un prugnolo e ha una corteccia di colore rosso-bruno, fiori giallastri, che si tramutano in frutti rossi senza nocciolo. La foglia è ovoidale o lanceolata, verde scuro, dimensioni variabili da 9,5 cm di lunghezza a 4,5 cm di larghezza. Classificata dal farmacologo Louis Lewin nel suo Phantastika nel 1924 tra le sostanze euforizzanti, è il più antico e forse più tipico dei narcotici dell'America Meridionale.
    Masticatori di coca precolombiani
Sul suo uso si apre subito una discussione: nociva o utile? Ci pensa il Concilio di Lima nel 1567-68 a rispondere: va proibita poiché vincola il mondo indio alle religioni magiche, il che rende difficile l'evangelizzazione. Pianta diabolica, bisogna sradicarla per sradicare l'idolatria. Ma come si farà a far lavorare gli indios senza il beneficio di questa foglia da masticare? Così la "planta divina" continuerà a essere usata nel corso del Seicento e del Settecento nell'America Meridionale.
In Europa arriverà solo in seguito e si trasformerà in cocaina mediante tre procedimenti di trasformazione. Il principale è l'estrazione diretta: si sciolgono le foglie in acido solforico e si precipitano così gli alcaloidi con bicarbonato di sodio; ne deriva la pasta di coca, una polvere bianca o bruna di odore dolciastro, che può essere fumata. Per produrre la cocaina vera e propria si scioglie la pasta nell'acido cloridrico usando anche permanganato di potassio e carbonato di sodio: cocaina cloridrato, pura tra il 70 e il 90%.
Quella che è immessa nel mercato, la droga di strada, viene tagliata con altre sostanze attive o inerti. Gli effetti della cocaina sono euforia, stimolazione sessuale, aumento di energia, riduzione di sonno e appetito, aumento della lucidità mentale e della forza muscolare. Lewin la classificava tra le sostanze che producono effetti euforici, in realtà è un eccitante. Se gli oppiacei tendono a isolare l'io dall'ambiente circostante, la cocaina fa sentire padroni di tutto: il suo esito patologico è uno stato di paranoia.
Fino alla fine del XIX secolo non approda davvero in Europa. Sarà nel 1871 Paolo Mantegazza, medico e neurologo, frequentatore del Sudamerica, il primo scienziato a farne uso, a descriverne gli effetti alla stregua di un medicinale, o come stimolante, in Quadri della natura umana — Feste ed ebbrezze: «La coca possiede la preziosissima qualità di eccitare il sistema nervoso e di farci godere colla sua fantasmagoria uno dei maggiori piaceri della vita».
Il mondo industriale se n'è già interessato. Angelo Mariani, corso che opera a Parigi, lancia nel 1863-1864 un prodotto alcolico con un estratto della foglia di coca: "Vino Mariani alla Coca". Successo immediato. Lo bevono e lo lodano Jules Verne, Ibsen, lo zar di Russia e Leone XIII; il papa lo premia con una medaglia d'oro. L'idea arriva in America dove un farmacista di Atlanta crea una bevanda che attraverso vari passaggi diventa "Coca Cola", sostituendo il vino con un estratto di noce di cola.
Il nome di cocaina gli deriva da un chimico tedesco, Albert Niemann. L'uso che ora se ne fa è quello d'anestetico locale. Qui entra in scena un giovane medico viennese in cerca di fama e di successo: Sigmund Freud. Ha 28 anni ed è ambizioso. La scopre e l'acquista. È cara e perciò la compra a credito. La prova e si accorge che il suo umore depresso muta di colpo. La consiglia anche alla fidanzata e a un amico che sta cercando di liberarsi dalla morfina. Nel luglio del 1884 pubblica Sulla cocaina, scritto che non si trova nelle sue opere complete. Il farmaco, scrive, cura disturbi gastrici, dipendenza da alcool e morfina, asma ed è un buon afrodisiaco. Lo legge un oculista viennese, Carl Koller, e avrà l'idea di usufruirne come anestetico nella chirurgia dell'occhio. Freud continua a usarla sino al 1895 per curare fastidiosi congestioni nasali, e scrive Osservazioni sulla dipendenza e paura da cocaina.
Un altro investigatore di segni, Sherlock Holmes, nato dalla penna di Conan Doyle, nel romanzo Il segno dei quattro (1890) se l'inietta in «una soluzione al sette per cento». Consuma cocaina l'alta borghesia ma anche il mondo degli artisti, i giocatori d'azzardo e le prostitute. Nel 1916 si diffonde tra i soldati che combattono, mentre i dentisti la usano come anestetico.
In America l'Harrison Narcotic Act nel 1914 la include tra le sostanze proibite. La sua storia, ha scritto Giancarlo Arnao in Cocaina e crack, mostra come tra "medicine" e "droghe" esista un dato comune: il meccanismo farmacologico. Diverse malattie e disturbi mentali vengono curati con medicinali psicoattivi, i cui effetti sono analoghi quelli delle droghe illegali. Le sostanze voluttuarie — tè, caffè, tabacco, che fungono da stimolanti, e l'alcol, un depressivo euforizzante — non sono considerate droghe; il confine corre tra legale e illegale. Nel 1984 l'anonimo protagonista del romanzo
Le mille luci di New York sente cantare nella sua testa l'esercito dei soldatini boliviani mentre tira la cocaina. Prima di lui William Burroughs in Il Pasto nudo (1959), percepisce la medesima l'euforia prima che la depressione l'avvinca, e tutto ricominci da capo. Senza fine.
 
 La foglia di coca masticata dai contadini latino-americani
La repubblica – 28 luglio 2017

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