Sull’antica
valle,
laddove bianco
soleggia
l’altare di
Venere
e chiari i
ricordi, tra siepi e fili d’erba,
tra scalcinati
muri e corse
e polvere
sugli occhi nostri accesi e
assetati di
futuro,
sedevano in
cerchio i ragazzini,
mentre
d’intorno danzavano
giovani
dalle larghe
gonne di lino.
Noi spiavamo
in disparte
i loro passi,
con i dispetti tra i denti.
Era dorata
persino la sera
che calava
sulle cose
con un profumo
antico e familiare
di gelsomino
e tutto si
tingeva d’incanto-
i nostri
acerbi cuori
già colmi di
miraggi
e
dell’attaccamento irreale
che serbano
nel segreto
gli uomini
che la vita ha
segnato.
In quegli
attimi
in cui un
sentire ci travolgeva,
come mistico
effluvio di viole
che annuncia
la stagione nuova,
c’apparivano
gli eventi
tinti d’un
calore
carico di
conforto.
Guardavamo ai
giorni con sorpresa,
affidandoci
interamente
alla serenità
che il cielo e le vaste campagne
intarsiavano
sui vigili occhi.
Custodivamo
tra le mani papaveri
con gli
assetati istinti di volontà
che in noi
ardevano.
E correvamo
per i campi sconfinati,
scavalcando
fossi,
rotolando come
bacche
che si
staccano dai rami
quando le
travolge
il tempo della
maturità.
Noi altri
bambini
dormivamo in
due in un piccolo letto
e una sera
brindammo col vino
rubato dalla
cucina.
Era la vita,
allora, d’un altra forza,
tutto aveva un
cuore
e ardeva
l’ingenua spensieratezza.
Seguivamo i
tragitti
dettati dalle
nubi
quando ci
ritrovammo cresciuti,
incapaci di
riconoscere
quel legame
istintivo
che c’univa al
mondo.
Seguivamo i
tragitti
dettati dalle
nubi
prima di
svegliarci
e mirare
dall’esterno le cose che vanno
e
l’incolmabile vuoto dei petali
abbandonati a
terra.
A occhi spenti
ci saremmo
avvicinati
all’originaria
gioia
che nasceva
dinanzi allo stupefacente
odore del
lillà,
ai suoi caldi
giorni che annunciavano
la fine dei
cupi volti
e il trionfo
della luce.
LUCREZIA LOMBARDO, da La venditrice di menta, Progetto Cultura Ed.
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