Esce oggi per Einaudi
il libro di Angelo
Ferracuti , Il costo della vita, la storia di
tredici operai del cantiere Mecnavi di Ravenna che nel 1987 morirono asfissiati
nelle stive di una nave. Quello che segue è un estratto dal primo capitolo.
Accompagna il volume un viaggio per immagini di Mario Dondero. Una delle sue
foto è riprodotta qui sopra.
Solennemente garibaldina e massonica, Ravenna sembrava
respirare un’aria di festa ottocentesca, con le borse in pelle di coccodrillo
bianche rosse e verdi in bella vista, una dietro l’altra, coccarde fissate sui
cappotti, bambini con in mano bandierine tricolore. Il contagiorni che il
sindaco aveva fatto installare davanti al municipio era finalmente sullo zero.
La notte precedente, proprio in piazza del Popolo le
immagini di un filmato aderivano perfettamente alle finestre del palazzo della
Prefettura, dove un fascio di luci illuminava la facciata con in mezzo il
numero 150, e al centro della piazza una bandiera italiana sventolante la
faceva da padrona. Anche a notte fonda, dall’accogliente stanza dell’hotel
Byron sentivo la voce narrante di un documentario che usava tutti i miti del
Risorgimento.
Ci eravamo parlati al telefono un paio di volte e la
voce reticente di De Renzi mi era parsa avara di discorsi, quindi mi aspettavo
un uomo taciturno e torvo, anziano e dall’aria vagamente depressa. Gli avevo
detto che avrei indossato uno zainetto marrone, che in realtà era color panna,
e alle cinque del pomeriggio, nel cuore popolatissimo della città, con
famigliole e signori eleganti a passeggio, lo aspettavo tra le due colonne
veneziane con i santi protettori, segno del dominio della Serenissima, di lato
al palazzo comunale, spaurito e con gli occhi aperti. Da dove sarebbe arrivato?
Come poteva essere fatto quell’uomo? Alle cinque e un quarto, dopo essermi
guardato intorno più volte, mi avvicinai a un signore che proprio come me era
in attesa di fianco al caffè Roma e aveva tutta l’aria di aspettare qualcuno,
chiedendogli timidamente, sicuro di non essere smentito: ≪De Renzi,
vero?≫
Il tipo elegante dai capelli folti e ben curati mi
rispose serafico: ≪No, mi dispiace≫, giustificando la sua attesa solitaria con un ≪Mi stavo
guardando intorno≫. La stessa cosa si è ripetuta con un altro paio di signori anziani, i
quali debbono avermi preso per scemo.
Quando ero sul punto di desistere, pensando che non ci
saremmo più incontrati, dopo aver chiamato al suo telefono di casa senza che
nessuno rispondesse, vidi venire verso di me il tipo con il basco blu comunardo
che avevo seguito con lo sguardo per almeno una decina di minuti. Mi indicò con
l’indice della mano destra e pronunciò il mio cognome, praticamente facendomi tana.
Mi disse subito che a trarlo in inganno era stato lo zainetto. ≪Panna, non
marrone≫, ci tenne a precisare. Ryszard Kapuściński avrebbe tradotto così questo
sentimento: ≪Non sappiamo mai chi stiamo per incontrare, anche se si tratta di una
persona di cui conosciamo da tempo il nome e l’aspetto. Figuriamoci poi se si
tratta di qualcuno che vediamo per la prima volta. Ogni incontro con l’altro è
dunque un indovinello, qualcosa di ignoto se non addirittura di segreto≫. Verissimo.
Cosi ci facemmo largo tra la folla, cercando nella
ressa un tavolino. Adesso Giacinto De Renzi, tutta la vita sindacalista, si
materializzava diverso dalla voce fossile, ritrosa, timidissima che avevo
conosciuto al telefono. Anzi, in realtà aveva un’aria allegra e un paio di
baffi simpatici, la fronte spaziosa, il fare spiritoso di uno che vorresti
avere come amico.
Tornando indietro nel tempo, ricordammo inevitabilmente
l’ultimo grande sciopero operaio alla Fiat, quello dei trenta giorni, linea di
demarcazione e punto di non ritorno, che c’era stato sette anni prima della
tragedia di Ravenna. Proclamato l’11 settembre 1980, un giovedì, era partito da
tutti i reparti del gruppo torinese: Rivalta era stata bloccata, e anche la
Lancia di Chivasso, da Mirafiori e dal Lingotto altri cortei di operai si erano
fatti largo spavaldi negli stabilimenti.
L’anno precedente erano stati licenziati sessantun
operai tra quelli più politicamente attivi e sindacalizzati, e i primi giorni
di maggio 1980 l’azienda aveva posto in cassa integrazione 78000 operai, tanto
che il 1° luglio l’amministratore Umberto Agnelli rese pubblica all’assemblea
degli azionisti la volontà di licenziare 15000 lavoratori. Mentre parlavamo di
quello sciopero e della manifestazione che fecero i ≪quarantamila≫ colletti
bianchi per protestare contro i picchetti operai che impedivano agli impiegati
di entrare negli stabilimenti, cambiai improvvisamente discorso e gli chiesi
quale era la situazione a Ravenna nella meta degli anni Ottanta. De Renzi era
già sufficientemente a proprio agio per raccontarmi quello che sapeva, le voci
intorno a noi anziché disturbare proteggevano. ≪Allora le nostre preoccupazioni
erano più per il Petrolchimico, dove si utilizzava l’amianto, – esordì. –
Perché quando si scaricava questo minerale micidiale, mettevano i cocomeri e le
bibite a ghiacciare nell’amianto, sulle navi≫. Mi disse che in quegli anni non
solo nella cantieristica, ma anche all’Enichem e in altri settori ≪cominciava
il lavoro in affitto, in un momento in cui ancora la figura del rapporto di
lavoro era quello a tempo indeterminato, nel sistema degli appalti i lavoratori
venivano presi in prestito. Queste aree pescavano pure nelle fasce di
emarginazione e di precarietà. C’era pure qualcuno, non mi ricordo più chi, che
aveva avuto storie di tossicodipendenza. Perché quella gente, che comprendeva
una vasta area di immigrazione clandestina dai paesi del terzo mondo (Africa, paesi
arabi, Filippine, Sri Lanka), era probabilmente attratta anche dal punto di
riferimento per la droga rappresentata dal porto≫. La sua memoria, che fu
importantissima nel corso delle indagini, disegnava uno scenario allarmante:
nella zona del ravennate, in quel periodo, c’erano circa 20000 disoccupati
iscritti alle liste di collocamento, molti dei quali giovani, e migliaia di
cassaintegrati di aziende in crisi nel settore metalmeccanico, edile, chimico,
tessile e calzaturiero. ≪Era un momento di grande crisi, – riprese dopo aver ordinato una cioccolata
calda con dei pasticcini, – quindi si doveva rendere tutto più competitivo per
stare sul mercato≫.
In realtà cominciò una politica di assegnazione delle
commesse di lavoro che favoriva le aziende scorrette, quelle che eludevano i
contratti, violavano le più elementari norme che regolamentavano gli aspetti
assicurativi, fiscali, previdenziali e, ovviamente, non rispettavano la tutela
e la salute dei lavoratori. ≪Lì è cominciata a circolare la parola flessibilità,
tanto e vero che nel corso di un convegno che si tenne a Ravenna dove c’erano
anche Trentin e Pizzinato, proprio Treu, che allora faceva il consulente della
Cisl, teorizzava queste cose. La politica delle aziende che davano commesse di
lavoro puntava esclusivamente ad avere i minor costi possibili, i tempi di
consegna più rapidi e la massima flessibilità. Tanto che molti di quei ragazzi
che morirono nelle stive della Elisabetta Montanari lavoravano in nero.
Non erano denunciati all’ufficio di collocamento, o all’Inail, Seconi era
addirittura al suo primo giorno di lavoro. E poi alla Mecnavi c’era anche
qualche nostro iscritto, ma non facevano mai sciopero. Con l’azienda e i
fratelli Arienti, che allora per le riparazioni navali lavoravano in regime di monopolio
all’interno del porto, in quanto da poco avevano assorbito anche la Cmt,
c’erano solo rari rapporti epistolari≫. Descrisse Enzo Arienti come un
giovane imprenditore spregiudicato, di una razza tipicamente provinciale e
italiana che in quegli anni si affacciava sulla scena. ≪Con lui
c’erano rapporti solo formali, non c’è mai stata una trattativa. Qual e la mia
impressione? Lo vuoi proprio sapere? – mi fece serio e deciso. – Beh,
l’impressione non e una bella impressione, era un imprenditore d’assalto, una
persona fredda, un cinico≫.
Giacinto De Renzi continua poi a raccontarmi di quegli
anni: ≪Era un momento difficilissimo, molte aziende metalmeccaniche avevano chiuso
i battenti, come per esempio la Marini, che faceva macchine stradali, e la
Fornace, le uniche
che funzionavano erano quelle della costruzione
“offshore” e navale, e quelle appaltatrici che operavano dentro il
Petrolchimico≫. Ecco che in questo contesto di crisi spietata occorrono operai altamente
specializzati (saldatori, carpentieri, tubisti, tracciatori) che le aziende si
rubano l’una con l’altra, si lavora a qualsiasi ora, l’uso indiscriminato del
subappalto cresce a dismisura, la riduzione al minimo del personale occupato e
un altro indicatore sensibile, e si concretizza quello che De Renzi descriverà
cosi nella sua deposizione al processo: ≪C’è infatti uno stretto nesso di
causalità fra deterioramento del mercato del lavoro e abbassamento (fino al
loro azzeramento) delle condizioni di sicurezza≫. Su una cosa pero non aveva dubbi: ≪Ravenna era
in quel periodo il meridione del nord, il meridione dell’Emilia, e gli operai
li reclutavano con il metodo tradizionale. I caporali, uno di questi veniva
chiamato “il napoletano”, raccoglievano le disponibilità della gente a lavorare
fuori regola e a determinate condizioni di paga. Li trovavano nei bar, uno di
questi era il bar del porto San Vitale, o utilizzando il passaparola≫.
Disse che quei ragazzi non li avrebbe mai più
dimenticati. ≪Quella storia ha messo in discussione anche quello che facevo io. Si poteva
evitare, si poteva intervenire≫. Tutto era accaduto a Ravenna, dove c’era una
sindacalizzazione molto forte. ≪Pensa, noi sindacalisti si andava il sabato nei
cantieri edili insieme agli operai a vedere se venivano rispettate le misure di
sicurezza. E se succedeva qualcosa ci chiamavano eppure e successo quello che è
successo≫.
Ma i sindacati avevano denunciato queste cose già tre
anni prima che avvenisse la tragedia, chiedendo di incontrare l’Associazione
degli industriali e delle piccole imprese, i politici, gli amministratori, i
partiti, che a venticinque anni di distanza si sono estinti quasi tutti (Pci,
Dc, Pri, Psi, persino il Pdup). Un volantino della Flm del 1° ottobre 1986 ha
un tono grave, e adombra una situazione minacciosa di pericolo: ≪Il mercato
del lavoro nel settore della cantieristica e impiantistica metalmeccanica si è
notevolmente deteriorato e si sono sviluppati e radicati veri e propri fenomeni
di intermediazione di mano d’opera e di caporalato. Tale fenomeno ha portato
con sé violazioni delle norme contrattuali, evasioni fiscali, mancato rispetto
delle più elementari norme di sicurezza. E’ nato prima negli appalti legati
alle piattaforme di perforazione e poi si è allargato a macchia d’olio in tutte
le realtà a partire dalla cantieristica navale. Le aree dove si e sviluppato
sono i cantieri Agip, la Sarom, l’Anic e il porto in generale. Quello che e più
grave e che l’atteggiamento delle varie società delle partecipazioni statali ha
favorito lo svilupparsi di questo fenomeno≫.
De Renzi, mi avevano detto, non si era più riavuto
dopo quella storia. Invece a raccontarla, incalzato dalle mie domande, il
discorso sembrava filare liscio, fin quando non gli chiesi dove si trovava
esattamente quel giorno maledetto, una data che a Ravenna si è fissata come un
marchio a pelle nelle menti di più generazioni. ≪Il ricordo più vivo è quello nella
testa delle persone, – dice cupo, malinconico. – Invece nell’espressione
politica e rimasto rituale, e io non amo le cose rituali perché non vanno mai
al nocciolo≫. Precisò che molte cose non le ricordava più, e neanche gli dispiaceva. ≪C’è una
parte della memoria che esclude certi ricordi. Ti rimane il quadro, la cornice,
ma dentro ci sono delle cose che non riesci più a ricordare. Cosi ti salvi un po’≫.
Il passeggio nella piazza era sempre più folto, così
come il chiacchiericcio che pero non minava la conversazione. ≪Vedi, oggi è
la festa del centocinquantesimo anniversario della Repubblica e la Costituzione
di questa Repubblica dice che bisogna garantire l’integrità fisica del
lavoratore. Invece viene sempre prima l’organizzazione del lavoro, viene prima
l’impresa, il profitto… in quella storia c’erano i prodromi di quello che
sarebbe successo dopo, e qui si e giocata una grossa partita. Non credo che i
lavoratori abbiano vinto≫.
Dal I cap. del libro
di Angelo Ferracuti , Il costo della vita,
Einaudi 2013
Pubblicato dallo stesso autore sul sito http://www.leparoleelecose.it/
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