Maurizio Cucchi, su "La Stampa - TuttoLibri" di ieri, nel prendere spunto da un libro pubblicato recentemente in memoria del grande poeta turco, ha scritto quanto segue:
Nâzim Hikmet
è uno dei poeti più letti e amati del Novecento, e le ragioni di questa diffusa
passione per la sua opera vanno sicuramente oltre le sue drammatiche vicende
personali. Quello che infatti da subito attrae un pubblico molto vasto e vario
è la straordinaria vitalità che Hikmet sa esprimere anche dall’interno delle
circostanze più dolorose in cui si trovò compresso. Si può infatti dire che la
sua è una poesia d’amore totale, in cui il respiro epico e lirico si alternano
o si fondono con naturalezza, partendo dall’esperienza reale, dalla realtà
direttamente vissuta, per comporre una sorta di aperta autobiografia in versi
capace di stacchi verticali e di ampi movimenti narrativi.
Lo possiamo
ben vedere in questo nuovo volume, ricco di inediti in italiano, nel quale
abbiamo la possibilità di ripercorrere un intero cammino poetico e biografico,
arrivando a conoscere persino i versi scritti da un Hikmet ancora bambino o
adolescente. Come spiega il curatore, Giampiero Bellingeri, al quale si deve
anche il sostanzioso saggio introduttivo, in Poesie d’amore e di lotta viene
presentata una scelta di testi tratti dalle maggiori raccolte pubblicate da
Hikmet e da tre raccolte postume. Con una importante e vasta sezione di Poesie
sparse, disposte in ordine cronologico. In appendice, appunto, sono collocate
le Prime poesie. Ma il dato più rilevante è che tutti i versi di Hikmet sono
stati direttamente tradotti dalla lingua originale, dallo stesso Bellingeri e
da Fabrizio Beltrami e Francesco Boraldo, diversamente da quanto accaduto in
versioni già note, fatte soprattutto dal francese, come quelle sicuramente
meritorie di Joyce Lussu. Si avverte, nelle nuove traduzioni, la particolare
cura dell’aspetto metrico e ritmico, che rende bene la natura vivace e
incalzante dei versi del poeta turco.
La vita di
Hikmet non fu lunga. Nato nel 1902 a Salonicco da una famiglia
dell’aristocrazia turca, era vissuto da bambino in un ambiente in cui la poesia
era di casa. Il nonno paterno, Nâzim Pascià, era stato governatore di varie
province, ma anche scrittore e poeta in lingua ottomana, una lingua, come
scrive lo stesso Hikmet, in cui la maggior parte delle parole erano arabe o
persiane. Il nonno materno, figlio di un nobile polacco, militare di carriera,
era anche filologo e storico. Il padre era un diplomatico, la madre aveva
studiato a Parigi, amava la poesia francese, leggeva al figlio Lamartine e
Baudelaire, ed era pittrice.
A
diciott’anni, Hikmet passa in Anatolia e partecipa alla guerra di liberazione
condotta da Mustafà Kemal (Atatürk). Nel ’21 aderisce al movimento
rivoluzionario russo e va a Mosca dove conosce Lenin, Esenin e Majakovskji.
Torna poi in Turchia e viene arrestato una prima volta. Nel ’38 viene condannato
a 28 anni e 4 mesi di carcere: ne sconterà ben 12 in Anatolia, scrivendo
moltissimo. In seguito, una volta liberato, si trasferirà in Unione
Sovietica, vivendo nei pressi di Mosca, in quella che sarà per lui la «madre
Russia», mentre i suoi libri cominciava no a essere noti in tutto il mondo.
Innumerevoli i suoi viaggi, anche in Italia. Fino alla morte, sopraggiunta per
infarto cinquan t’anni fa esatti: il 3 giugno del 1963. Aveva dunque 61 anni,
17 dei quali trascorsi in prigione.
La lotta, il
carcere, l’amore sono le maggiori etichette sotto le quali i suoi versi vengono
in genere catalogati. Ma si tratta, comunque, di elementi che molto spesso intrecciano
e coesitono, pur nel passaggio da inizi sperimentali presente anche l’esempio
di Majakovskji a un canto più disteso e lineare o all’efficace alternarsi
narrativo di versi e prosa come in Perché Benerci si è ucciso?
Tornando a
Hikmet con questo bel volume, non possiamo ancora una volta non restare
sorpresi e catturati dalla impressionante ricchezza di immagini e situazioni,
di figure e personaggi che il poeta riesce a produrre. Un’apertura
all’esistere e alla speranza, in lui, davvero irrinunciabile: «Ho perso la mia
libertà, ho perso il mio pane, oltre a te, /ma tra fame, tenebre e grida /mai
ho perso la fiducia nei giorni che verranno /che alla nostra porta busseranno
con le loro mani di sole… //sono felice di esser venuto a questo mondo, /adoro
la sua terra, la sua luce […] //vorrei vagare per il mondo, /vedere pesci,
frutti, astri mai visti». Ecco uno dei tantissimi esempi dell’energia limpida
di un poeta capace continuamente di rinnovare la sua adesione alla vita,
passando attraverso i più vari luoghi del mondo, cantando Istanbul, Mosca,
Parigi, Tallinn, Varsavia, Praga, Buca rest, Baku, L’Avana con una libertà
interiore fortissima e incrollabile, da grande poeta e grande personaggio come
Hikmet ha saputo essere sempre.
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