Domani 11 maggio, alle ore 18, nei locali del castello di Marineo, il Centro Studi e Iniziative, in collaborazione con la
rivista NUOVA BUSAMBRA e l’editore ADARTE, presentano il volume di Giovanni Lo Dico Finalmente le api mangiarono il miele.
Autobiografia di un siciliano che non si rassegna.
Il titolo si riferisce alla conquista, ottenuta dopo aspre battaglie, dei
lavoratori agricoli che avevano i terreni a metaterìa presso grossi proprietari
terrieri. Negli anni ’50, grazie ad un decreto del ministro Gullo, il prodotto
del raccolto agricolo venne finalmente diviso dando il 60% al colono e il 40%
al proprietario del fondo. Il libro racconta l’infanzia rubata dell’autore-narratore,
costretto a sei anni a lavorare nei campi come raccoglitore di olive con altri
bambini che frequentano ad intermittenza le scuole elementari. Ancora ragazzo
perde prematuramente il padre: la madre si impiega in lavori domestici a
Palermo lasciando Giovanni e la sorella a vivere con i nonni. Lo Dico diventa a
tredici anni bracciante agricolo, sarà poi mezzadro, mietitore stagionale a
Corleone e Prizzi, coltivatore diretto. Dopo la seconda guerra mondiale diventa
attivista politico, partecipando alle lotte per la riforma agraria e sarà
impegnato nel movimento sindacale e cooperativo.
Il libro sarà presentato dall’autore insieme ai curatori Nicola Grato e
Santo Lombino. Interverranno inoltre l’avv. Giovanni Chinnici, figlio del
Giudice Chinnici, Carmelo Fascella e Franco Virga.
Di seguito potete leggere alcuni brani tratti dal libro:
LA
RIFFA (1945)
Tutti
desideravamo avere dei giocattoli: mi ricordo una
volta,
due giorni prima della vigilia dei morti, passò un uomo
che
arriffava, sorteggiava un cavallo di
legno molto bello e
che
io desideravo tantissimo. Un biglietto costava quattro
soldi.
Il valore del cavallino era cinque lire. Feci guerra e
fuoco
e finalmente convinsi mia madre ad acquistarne uno.
Portava
il numero quarantadue, me lo ricordo ancora. Ho inseguito
quell’uomo
per tutto il giorno, giravo per le strade assieme
a
lui sperando che il sorteggio avvenisse da un
momento
all’altro. ogni tanto urlava: Chistu è
l’ultimu e tiramu!!
Ma
l’ultimo acquirente non arrivava mai. Dalla via Pietro
Micca
siamo andati a finire nelle strade sopra il quartiere
San
Francesco. Finalmente era riuscito a vendere l’ultimo biglietto
e
si poteva procedere all’estrazione del numero vincente.
Le
donne che abitavano in quella strada si sono
avvicinate
per assistere al sorteggio. Per me fu un momento
emozionante,
in quell’attimo che il signore infilò la mano dentro
il
sacco per estrarre il numero vincente mi concentrai con
tutte
le mie forze pensando al famoso numero quarantadue.
Il
numero che tirò fuori non era il quarantadue, ero bambino
e
mi sono messo a piangere, me ne ritornai a casa come un
cane
bastonato. Dissi a mia madre che il quarantadue non
era
uscito e mia madre mi rincuorò e mi disse di non pensarci
più
perché non era successo niente...
LA
MARCHESA BALESTREROS (anni ‘70)
Iniziammo
l’occupazione delle terre nei vari comuni. In
tutti
i feudi si vedevano centinaia di muli con gli aratri, tutti in
fila,
che lavoravano le terre e quanti scontri diretti ci furono
tra
i contadini, i proprietari e i mafiosi: scene indimenticabili!
Era
una situazione drammatica, ma dovevamo affrontarla per
liberarci
dalla schiavitù. Quelle condizioni di vita avevano costretto
molti
siciliani ad emigrare, a scappare dalle campagne
e
dalla miseria. Nel 1971 la federazione di Palermo
mi
diede l’incarico di aprire a Misilmeri una sezione di un sindacato
che
difendeva i mezzadri, affittuari e piccoli coltivatori
diretti,
cioè l’Alleanza Contadini, oggi Confcoltivatori, la sede
fu
in via Roma, io ne fui il presidente. Quante lotte ho fatto
insieme
ai contadini! In Parlamento nel 1971 venne approvata
una
legge che abolì la mezzadria, rimaneva solo l’affitto. Il canone
di
affitto fu regolato da una legge, chiamata “legge sui
fondi
rustici. Non mi affidai alla volontà di Dio
per
fare applicare quella legge, sapevo con chi avevo a che
fare,
con persone che per secoli e secoli avevano dominato
il
mondo. Me la studiai bene e un bel giorno di domenica, finita
la
mia mezza giornata di lavoro, anziché di andarmene a
casa
dalla mia famiglia, partii per il feudo di Bongiordano,
detto
L’acqua o Chiuppu. Era il tempo della mietitura, il mese
di
luglio, c’era un caldo afoso, mi girai tutto il feudo, invitai
tutti
i contadini a partecipare ad una assemblea che dovevo
fare
sotto l’albero di pioppo, sotto il quale c’era una sorgente.
In
quella assemblea spiegai, con la legge in mano, che non dovevano
pagare
più il canone di affitto stabilito dalla marchesa, ma
quello
stabilito dalla legge che era 28 volte il reddito dominicale.
Non
fu facile convincerli perché poverini venivano da
una
secolare sottomissione, non era facile rompere quella
gabbia
di acciaio. In quell’assemblea usai una dialettica persuasiva,
incoraggiante,
entusiasmante, ma la paura era tanta
e
tale che si rifiutarono di chiederne alla marchesa l’applicazione.
Ne
convinsi solo due, due compagni comunisti, cioè
Giuseppe
Rizzolo e Salvatore Bonanno. Il giorno della trebbiatura
eravamo
tutti là presenti, quando i due contadini che
ero
riuscito a convincere chiesero alla signora marchesa l’applicazione
della
legge per quanto riguardava il canone di affitto,
la
nobile ingoiò il rospo e non parlò: conosceva bene
quella
normativa! I due contadini coraggiosi non solo si portarono
a
casa tutto il grano, ma essendo la legge in vigore da
due
anni, chiedendone l’applicazione e quindi rifacendo il
conteggio
anche per il canone dell’anno precedente, la marchesa
rimase
debitrice nei loro confronti. I contadini di tutto
il
feudo, sia di Misilmeri che di Marineo, che avevano avuto
paura
ad affrontarla portarono a casa, come sempre, poco
grano,
ma guardarono straniti tutto quello che era successo.
L’anno
successivo, durante la mietitura tornai nel feudo a
rifare
un’altra assemblea, questa volta non sotto l’albero di
pioppo,
ma alle case che ci sono nel feudo Bongiordano,
nella
strada che porta a Risalaimi. Parlai di nuovo della legge,
ma
questa volta fui compreso facilmente, dopo l’esperienza
dell’anno
precedente. Mentre stavo per finire l’assemblea,
ero
riuscito a convincere tutti, ecco arrivare una macchina
lussuosa
con due persone a bordo: la signora marchesa e il
suo
autista. Si fermò proprio davanti ai nostri piedi, scese dalla
macchina
e chiuse lo sportello con rabbia. Si avvicinò verso
di
me spruzzando vapore come un toro infuriato e mi disse:
“Lei
mi scandalizza i miei contadini fedeli!”. Io le risposi: “Fedeli
ci
sono i cani! Questi sono uomini e devono difendere la
loro
dignità!”.
IL
MARESCIALLO (anni 70)
A
quel punto, vista la fermezza dei contadini,
tentò
altre vie, la via delle amicizie. L’indomani il maresciallo
dei
carabinieri mandò una pattuglia nel feudo Bongiordano a
intimidire
i contadini, dicendo che richiedendo l’applicazione
di
quella legge sarebbero andati incontro a dei rischi e quindi
consigliavano
loro di continuare con il vecchio sistema. I contadini
la
sera vennero all’Alleanza Contadini e mi raccontarono
tutto,
erano impauriti. Feci capire loro che era solo un
atto
intimidatorio, avevano cercato di spaventarli, non potendo
fare
nient’altro. Con i miei discorsi rassicuranti, superarono
quella
paura e se ne andarono a casa. L’indomani
sera,
tornando dal lavoro, mia moglie mi disse che erano venuti
a
cercarmi due carabinieri, c’era il maresciallo che mi
voleva
parlare. La cosa mi piacque perché era proprio quello
che
volevo, parlare con il maresciallo. Andai subito in caserma,
mi
presentai e il piantone mi portò in una stanza dove
c’era
il maresciallo. La prima domanda che mi fece: “Signor
Lo
Dico, lei in questi giorni è andato a fare qualche riunione
in
qualche azienda agricola…”. Lo guardai in faccia e dissi fra
di
me: “Ma guarda che maresciallo simpatico! Lui sicuramente
si
aspetta che gli dico: “Ma, maresciallo io non sono
andato
da nessuna parte…” . Il maresciallo voleva completare
la
sua strategia intimidatoria, prima con i contadini in campagna,
poi
con me che ero il loro rappresentante. Invece io a
quella
domanda risposi con fermezza: “Maresciallo, ma di
quale
azienda mi sta parlando lei, perché io di assemblee ne
faccio
tante nelle varie aziende!”. “E in quale veste ci va a
fare
queste assemblee?” — mi disse. “In qualità di presidente
dell’Alleanza
Contadini” — gli risposi. “Ma lei lo sa che prima
di
entrare nella proprietà che non è sua, bisogna chiedere il
permesso?”
— continuò il maresciallo. Ed io: “Maresciallo,
posso
andare in qualsiasi proprietà tutte le volte che i contadini
affittuari
me lo chiedono, semmai se c’è una persona che
deve
chiedere permesso per entrare in quelle aziende quella
è
proprio la signora marchesa perché i contadini le pagano
l’affitto.
Se lei paga l’affitto della sua casa, non è che il proprietario
arriva
ed entra senza chiedere permesso. Questo
vale
anche per la signora marchesa”. Mi disse: “Non mi stia
a
fare il comizio!”. Gli risposi: “E’ lei che mi ha chiamato per
farle
il comizio!”. Non potendo far niente in questa direzione
tentò
un’altra via e mi disse: “Lei signor Lo Dico ha una pena
in
sospeso…”. Subito capii di che cosa si trattava. Fino al
1961
le medicine gratuite spettavano solo al capofamiglia. Ci
furono
scioperi in tutta Italia che durarono quindici giorni affinché
l’assistenza
farmaceutica fosse estesa anche alla moglie
e
ai figli. Durante uno dei tanti scioperi fummo denunziati
sette
lavorator. Nel processo di appello, nel 1963, fummo
condannati
a tre mesi con la condizionale, prescrivibili in anni
cinque.
Il termine della pena era scaduto nel 1968. Quindi
dissi
al maresciallo che cercava di spaventarmi: “Maresciallo,
i
termini di quella pena sono scaduti!”. E il maresciallo: “E
allora
non le posso fare niente!”. Ed io gli risposi: “Ma le cose
non
durano in eterno! Maresciallo, mi aspettavo questo tipo
di
comportamento da un altro tipo di persone, non da chi dovrebbe
essere
un esecutore materiale della legge!”. Lui mi
disse:
“Prima dovrebbero incominciare da Roma!”. Io gli riposi:
“Per
intanto io inizio da Misilmeri!”.
AI GIOVANI D’OGGI
Il secolo scorso cioè il 20° secolo è stato il
secolo della riscossa popolare. Sotto la bandiera rossa con la falce e martello
ci siamo uniti tutti, operai delle fabbriche e braccianti della terra, abbiamo
conquistato tanti diritti, dall’assistenza farmaceutica alla indennità di
disoccupazione, alla pensione alle donne casalinghe, al rispetto delle 8 ore di
lavoro, all’art. 18 che permetteva di trattare il lavoratore a pari della
dignità del suo datore di lavoro, alla riforma agraria che diede la terra ai
contadini poveri. Ma allora alla guida di queste battaglie c’erano uomini di
principio come Palmiro Togliatti e come Giuseppe Di Vittorio, uomini che non
pensavano di arricchirsi, ma di adoperarsi per emancipare la classe
lavoratrice. A quei tempi c’erano tanti uomini di principio nel partito
comunista e devo dire la verità anche nella democrazia cristiana come De
Gasperi ed altri. A quei tempi la politica si faceva per gli ideali, per
passione, non per il torna conto come ora: la corruzione sta portando il popolo
alla miseria! Da giovane mi ero illuso che una volta conquistati i diritti non
si potevano perdere più, invece con l’attuale politica si stanno perdendo molti diritti conquistati
con lotte e sacrifici. Io
ho quasi 84anni e non ho più la forza
per reagire, ma invito i giovani a non cadere nella rassegnazione e a lottare
sempre se vogliono che sia rispettata la loro dignità di lavoratore, noi ce
l’abbiamo fatta. Prevedo uno scontro sociale molto forte, nasceranno uomini
ricchi di ideali che si scontreranno con i politici corrotti, perché quando si
arriva al baratro il popolo incomincia
ad acquistare coscienza e risorge. Ho
voluto raccontare la mia storia soprattutto per i giovani e per le future
generazioni, per far conoscere loro la storia della mia generazione, la storia
dei loro nonni, affinché i miei e i loro
sacrifici non vengano sepolti nel dimenticatoio.
IERI SERA GIOVANNI LO DICO HA ULTERIORMENTE DIMOSTRATO DI ESSERE UN UOMO STRAORDINARIO!
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