31 maggio 2013

L'ARTE DELL' ASCOLTO





E' davvero una fortuna poter ascoltare i ragazzi. Riempie la vita e da senso alla professione di insegnante.


Marco Lodoli  - Amori, amicizie, crisi esistenziali confidati in classe a un professore


Sull’adolescente, scriveva Vincenzo Cardarelli nella sua poesia più bella, “sta come un’ombra sacra”: nuovo abitante del mondo, partecipe delle sue miserie e delle sue speranze, l’adolescente conserva ancora un legame con un sentimento dell’assoluto. Una vaga e dolorosa percezione della propria unicità gli agita le cellule, l’anima, i pensieri. Solo pochi mesi prima era un bambino, non doveva fare nulla, non gli era chiesto altro che di vivere ed essere felice.

Poi qualcosa cambia, tutto cambia. Deve apprendere a ritagliarsi uno spazio nella confusione, deve irrobustire l’ego, distinguersi, imporsi. Capisce che la vita pretende da lui uno sforzo nuovo, l’indistinzione deve trasformarsi in personalità: inizia la dura lotta per la sopravvivenza e l’affermazione. Appare il desiderio di amare, la brama che spinge e che punge, la paura di non valere nulla ed essere sopraffatto. Questa tensione fisiologica si mescola alle grande domande sul senso della vita: chi sono, che cosa significa tutto questo, perché si vive e perché alla fine si muore? L’ombra sacra avvolge la smania adolescenziale, un cielo lontano e misterioso grava su una natura febbricitante.

Quante volte mi è capitato di ritrovarmi davanti alla cattedra un ragazzo o una ragazza che, mentre gli altri sciamano in cortile per la ricreazione, e si urtano e gridano, avidamente mangiano e si corteggiano, mi raccontava a mezze frasi la sua crisi, la sua pena. Mi ricordo di Valerio, gli occhiali sempre un po’ storti, le unghie smozzicate: si era quasi identificato in Giacomo Leopardi, anche lui si sentiva passero solitario, inadatto alla vita e alla socialità, si sentiva pastore errante della periferia romana, divorato da domande assolute e da risposte infelici. Voleva altri libri da leggere, altre poesie su cui meditare la sera, e io avrei dovuto essere contento di uno studente così attento alla letteratura, e invece no, in quei momenti avrei voluto vederlo spensierato e indifferente come gli altri, calato nel corpo sordo dell’esistenza. Ma l’ortica dell’assoluto la notte lo tormentava.

Il punto in cui a sedici anni il poco e il tutto si fondono per la prima volta è sicuramente l’amore. In un’altra epoca è stata la politica, ma ora sembra un sole tramontato che non scalda l’immaginazione, una faccenda che riguarda solo gli adulti, cioè gli estranei. Il professore non è proprio un adulto, ormai è una sorta di fratello maggiore, un ragazzo con i capelli grigi al quale si possono ancora confidare i tumulti del cuore sperando in un ascolto, forse addirittura in un consiglio.

Ho raccolto tante storie d’amore in tre decenni di insegnamento, storie dolenti, ovviamente, perché quelle felici vanno avanti senza bisogno di niente e di nessuno. L’investimento amoroso nell’adolescenza è totale, non prevede tentennamenti o esitazioni, dunque è spesso drammatico. Ricordo una ragazza che era stata tradita e poi abbandonata, non mangiava più, non dormiva più, si feriva con il coltellino, stava nella disperazione come le eroine dei romanzi ottocenteschi: e poi l’amore era tornato, e con l’amore un senso di gratitudine infinita verso la vita. Ricordo bene i primi racconti omosessuali, in nulla diversi dagli altri: due ragazze che si prendevano e si perdevano, né con te né senza di te, un trasporto spirituale assoluto e il mondo che si metteva di traverso.

Ma anche l’amicizia a questa età è un bene che non prevede compromessi e mezze misure, è un sentimento che afferra l’anima. Storie intensissime che sembrano misurarsi solo con l’eternità. E purtroppo accade anche che un adolescente muoia in un incidente stradale, e allora per chi resta non c’è pace. La scoperta della morte diventa un sigillo scuro sulla vita. Quella ragazza aveva perso il fratello nel modo più assurdo: «Rideva con gli amici, rideva rideva e d’improvviso gli si è fermato il cuore: professore, ma si può morire ridendo?». E io, adulto e cittadino della mediocrità del mondo, provo a consolare, ad arginare quelle frane amorose, a dare una giustificazione a ciò che sembra non averne alcuna.

È una fortuna poter ascoltare i ragazzi, accogliere quelle parole sempre accese e sbigottite. Loro stanno interamente nell’assurdità tremenda eppure meravigliosa dell’esistenza, non smorzano, non attutiscono, ancora non hanno appreso i piccoli trucchi per mantenersi in equilibrio sul filo. Gli adolescenti corrono, cadono, si rialzano. Hanno bisogno di qualcuno che dia loro una mano per restare in piedi e continuare, e noi abbiamo bisogno della loro fede nell’assoluto, per non ritrovarci seduti, pacati, serenamente sconfitti.



(Da: La Repubblica del 30 maggio 2013)

2 commenti:

  1. E' proprio così, ha ragione Lodoli, abbiamo la fortuna di avere dedicato la nostra vita ad uno dei mestieri più belli, sempre giovane e pieno di entusiasmo, povero in denaro ma ricco di emozioni, affetti, valori condivisi e speranze coltivate giorno dopo giorno tra quattro mura per essere infine spese là fuori...Non bruciamo i ragazzi e la loro fame d'esistenza, ascoltiamoli con attenzione e dedichiamo loro il nostro tempo, proprio quando nessuno sembra concedergliene in modo dignitoso. Ragazze e ragazzi vivono la confusione di una realtà che oscilla paurosamente disorientata, i genitori sono senza lavoro, le loro prospettive professionali sono disperate. Ma loro hanno tanto da dirci, forse perchè sempre meno trovano qualcuno che li ascolti davvero.

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    1. Cara Grazia, i tuoi ragazzi possono considerarsi fortunati di avere un'insegnante come te. Non tutti, purtroppo, sanno ascoltare come te!

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