Shakespeare ci ha svelato che gli uomini sono fatti
della materia di cui sono fatti i sogni. E la materia costitutiva del sogno è
il simbolo. Oggi la ricerca antropologica e scientifica ci dice che l'uomo è un
essere simbolico, capace di pensare (e dunque ricreare) l'universo come una
massa sterminata di simboli.
Ian Tattersal * - Homo symbolicus
Noi esseri umani siamo parte a tutti gli effetti del Grande Albero della Vita che abbraccia l’insieme delle cose oggi viventi sulla Terra. E siamo saldamente collocati fra i primati, all’interno dell’ordine dei mammiferi. Ma è innegabile che in noi c’è anche qualcosa di fondamentalmente diverso da ogni altra creatura vivente. A prima vista, naturalmente, la cosa che più salta all’occhio sono le nostre peculiarità fisiche, in gran parte collegate al nostro strano modo di muoverci e riconducibili alla postura eretta e alla bipedalità, l’adattamento dei primi ominidi da cui è disceso tutto il resto.
Ma la cosa che veramente ci distingue e ci fa sentire così diversi da tutti gli altri esseri viventi è il modo di elaborare le informazioni nel nostro cervello. Quello che solo noi esseri umani facciamo è disassemblare mentalmente il mondo che ci circonda in un vocabolario sterminato di simboli mentali. Questa capacità unica si palesa in ogni aspetto delle nostre vite. Gli esemplari di altre specie reagiscono, più o meno direttamente e in modo più o meno sofisticato, agli stimoli dell’ambiente esterno. Ma la nostra capacità simbolica ci mette nelle condizioni di immaginare alternative e di porci domande come «Che succede se…? ». E il risultato è che non ci limitiamo a fare semplicemente le stesse cose che fanno le altre creature, solo un po’ meglio: noi gestiamo le informazioni in modo completamente diverso.
Una delle evidenze materiali delle prime opere di menti simboliche è l’ormai famoso motivo geometrico inciso settantacinquemila anni fa su una placca di ocra levigata nella grotta di Blombos, sulla costa meridionale dell’Africa: insieme a molti altri ritrovamenti è l’indizio che centomila anni fa, nel continente nero, tirava aria di cambiamenti comportamentali di vasta portata. Quarantamila anni fa circa, questa rivoluzione comportamentale ancora embrionale trovò la sua piena realizzazione nelle straordinarie pitture rupestri della regione franco-cantabrica. Società simili produssero le prime evidenze dell’avvento della musica, sotto forma di flauti ricavati da ossa di uccello.
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Ocra incisa di Bomblos
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Per
comprendere le caratteristiche di questo nuovo fenomeno è importante ricordarsi
che l’Homo sapiens con capacità cognitive moderne non è semplicemente
un’estrapolazione di tendenze precedenti. I ritrovamenti archeologici mostrano
piuttosto chiaramente che noi non facciamo le stesse cose che facevano i nostri
predecessori, solo un po’ meglio: ricreando mentalmente il mondo noi di fatto
facciamo, nella nostra testa, qualcosa di completamente nuovo e diverso. E dal
momento che questa innovazione radicale rappresenta una rottura totale con il
passato, non siamo in grado di spiegarla ricorrendo alla classica selezione
naturale, che non è un processo creativo.
Che cosa successe, allora? La produzione di cognizione simbolica è iniziata in una fase molto recente nella storia del cervello umano. Il nuovo modo di pensare sembra essere nato molto dopo la nascita dell’Homo sapiens come entità anatomicamente distinta, e dunque dopo l’acquisizione del cervello anatomicamente moderno. Non c’è niente di sorprendente in questo, perché le innovazioni comportamentali, e presumibilmente cognitive, di regola sono avvenute durante il periodo di prevalenza delle specie di ominidi esistenti, e non all’inizio.
Tutto questo rende ragionevole giungere alla conclusione che l’innovazione neurale decisiva è stata acquisita come sottoprodotto della grande riorganizzazione evolutiva che ha dato origine all’Homo sapiens come entità fisicamente distinta, circa duecentomila anni fa. In altre parole, questa innovazione è emersa non come adattamento, ma come exattamento, cioè un adattamento nato per assolvere a una certa funzione e che poi finisce per assolvere anche o soprattutto un’altra funzione indipendente da quella originaria. Queste nuove potenzialità, che hanno fornito il sostrato biologico per la cognizione simbolica, sono rimaste «in sonno» fino a quando, sotto l’impulso probabilmente di uno stimolo culturale, non si sono concretizzate. La mia idea è che questo stimolo è stato l’invenzione del linguaggio, cioè l’attività simbolica per eccellenza. Per noi, linguaggio è praticamente sinonimo di pensiero. Come il pensiero, il linguaggio implica la formazione e la manipolazione di simboli nella mente. E in assenza del linguaggio la nostra capacità di ragionare per simboli è quasi inconcepibile.
Immaginazione e creatività sono parte dello stesso processo, perché solo dopo aver creato simboli mentali siamo in grado di combinarli in modo nuovo e di chiedere: «Che cosa succede se…?».
Monte Bego: il Mago
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C’è di più:
se il linguaggio è venuto dopo le trasformazioni anatomiche dell’Homo sapiens,
allora i primi individui linguistici possedevano già, chiaramente, l’apparato
vocale necessario per esprimere il linguaggio, apparato che avevano acquisito
inizialmente, una volta di più, in un contesto a tutti gli effetti di
exattamento.
L’exattamento, tra l’altro, è un evento assolutamente ordinario in termini evolutivi, se si pensa che gli antenati degli uccelli hanno avuto le piume per milioni di anni prima di scoprire che potevano usarle per volare.
Non ci sono dubbi che quello che ci differenzia più di ogni altra cosa dai Neanderthal e da tutti gli altri nostri parenti estinti è il pensiero simbolico: è il pensiero simbolico che spiega perché oggi noi siamo qui e loro no.
La capacità cognitiva specifica della nostra specie, dunque, è un’acquisizione straordinariamente recente, ed è il prodotto immediato di un evento di breve durata e probabilmente casuale, che ha capitalizzato i frutti di centinaia di milioni di anni di evoluzione vertebrata. Tutto questo a sua volta sembra indicare che noi esseri umani non siamo le creature che siamo grazie a una selezione naturale protrattasi per ere intere. E naturalmente può aiutarci a capire perché i nostri processi decisionali sono così contorti, perché i comportamenti umani sono così spesso irrazionali e autodistruttivi e perché la nostra psiche è notoriamente così impenetrabile.
* Ian Tattersall è un antropologo curatore della divisione di Antropologia
dell'American Museum of Natural History di New York, e autore di molti libri e
articoli.
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