L’editoriale di Norma Rangeri e la cronaca di Antonio
Sciotto sulla manifestazione organizzata dlla FIOM a Piazza San Giovanni
a Roma. «La Fiom combatte una battaglia molto difficile, sull'estrema trincea
di un paese che sembra aver smarrito la visione di un futuro civile e
democratico».
Da il
manifesto del 19 maggio 2013
I costituzionalisti
di Norma Rangeri
Una bella società civile. Quella che fa del lavoro e della difesa della nostra Costituzione i due comandamenti laici, da riportare al centro dell'agenda nazionale, ieri si è radunata, ancora una volta, a piazza S.Giovanni. Decine di migliaia di persone, raccolte in una manifestazione nazionale forte politicamente, per i suoi contenuti e per il messaggio lanciato, anche se non straordinaria nei numeri. Donne e uomini in cassa integrazione, esodati, precari, altrimenti soli nella disperazione, nel dramma che ormai diventa funesta cronaca quotidiana, hanno ripreso parola, con la rabbia, la determinazione, la voglia di difendere la democrazia, la dignità di ciascuno e di tutti.
Questa carica emotiva interpretata da operai e impiegati della Fiom, accompagnata dalla presenza di quelli di Sel, dei grillini, dei comunisti italiani, tanto più colpisce se paragonata alla paura che il Pd ha persino della propria ombra. Al punto da disertare, con qualche eccezione, la mobilitazione sindacale. Come se in quella piazza non ci fosse il cuore e la ragione della sinistra. E, proprio come ha scritto Maurizio Landini sul manifesto, e ripetuto ieri dal palco, è difficile capire come si può essere al governo con Berlusconi e «avere paura di essere qui». La Fiom combatte una battaglia molto difficile, sull'estrema trincea di un paese che sembra aver smarrito la visione di un futuro civile e democratico. Perché le larghe intese riverberano sulle confederazioni sindacali e c'è il rischio che si torni indietro, su pressione della Confindustria, anche rispetto al diritto di voto sui contratti.
Perché il governo di Pd-Pdl, si stringe nelle maglie di una oligarchia che genera sentimenti populisti. Perché sotto il ricatto berlusconiano, il Pd marcia verso riforme istituzionali utili a manomettere i principi di fondo di una pur esangue democrazia rappresentativa. Perché si va verso la separazione tra democrazia e lavoro, dividendo quel che i costituenti unirono nel primo articolo della Carta. E allora non deve stupire se ieri chiunque prendesse la parola dal palco di S.Giovanni per raccontare la sua condizione di cassintegrato o la difficile vertenza della sua fabbrica, collegava crisi economica e perdita dei diritti costituzionali. Così si spiegano gli applausi verso Stefano Rodotà, e la sua nomina di presidente ad honorem dell'associazione no-profit degli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano. Rodotà sta diventando sempre più punto di riferimento a sinistra, proprio perché la sua storia politica è nel segno della difesa dei diritti, tutti, e della carta costituzionale, che oggi qualcuno vorrebbe cambiare, invece di applicare.
Con una crisi economica che trasferisce la sede della sovranità popolare dal parlamento al mercato, con la perdita di credibilità dei partiti politici, e di quelli della sinistra specialmente, con la difficoltà dei movimenti a trovare nuove forme di partecipazione capaci di fare massa critica, un obiettivo importante - tenere insieme lavoro e democrazia - può tuttavia traballare, fino a mettere a repentaglio la tenuta del paese. E un sindacato come la Fiom rischia di trovarsi quasi solo nella trincea più scomoda e scoperta. Riprendere il filo a sinistra tra questi pezzi di sindacato, di forze organizzate, da Sel a parti della ex sinistra libertaria e comunista, e quella parte del Movimento 5 Stelle che fa della Costituzione punto di riferimento, è oggi la condizione minima per tenere aperta una prospettiva e far esplodere le contraddizioni del Partito democratico. Anche prima del congresso.
Comunque è stato Landini a riassumere perfettamente il senso di un pensiero, di una strategia politica, di una difficoltà: «essere rivoluzionari oggi è fare applicare la Costituzione perché solo da qui potrà partire la ricostruzione sociale e politica del paese». Appunto: un'impresa di questa portata non può pesare solo sulle spalle di una parte del sindacato.
«Il Pd ha paura della piazza»
di Antonio Sciotto
«Non capisco come si può essere al governo con Berlusconi e avere paura di essere qui». Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, torna ad attaccare il partito democratico, e lo fa dalla storica piazza «rossa», San Giovanni. L’ultimo dei paradossi – ma in Italia si realizzano, si sa – è che alla manifestazione degli operai, il leader del Pd Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil, non si è fatto vedere manco in cartonato. I metalmeccanici ieri hanno sfilato in corteo a Roma, per chiedere «un cambiamento, subito» al governo Letta: nuove politiche economiche e del lavoro, attenzione ai diritti. Tra le 50 mila e le 100 mila persone, ma la piazza visibilmente non era piena. Bisognerà anche capire, a freddo, come mai mancavano gli studenti e i tanti precari che pure Landini aveva invitato. Contenuti belli e condivisibili, urgenti: ma il corteo era composto solo e soprattutto da tute blu e dallo zoccolo duro della sinistra – dai piddini anti «inciucio» fino a Sel e Prc-Pdci, inclusi pezzi di M5S – ma non si sono visti i movimenti, se non qualche bandiera di Action e No Tav.
Landini ha rivendicato la centralità della piazza operaia: «Siamo la parte migliore del Paese, per noi pagare le tasse è un diritto». «Ogni volta che parliamo di diritti salta fuori il bocconiano di turno che ha studiato e dice: "ma dove si trovano i soldi?". Io non ho studiato tanto ma le cose vanno cercate dove sono. La Banca d’Italia spiega che negli ultimi 20 anni c’è stato un passaggio di 15 punti di Pil dai salari ai profitti e alle rendite, pari a 230 miliardi di euro. Soldi che non sono finiti negli investimenti ma nella rendita finanziaria e nella speculazione. Bisogna ripartire da lì».
La Fiom chiede quindi una «reale redistribuzione della ricchezza», e Landini critica la riforma dell’Imu: «È vero, era una tassa fatta coi piedi – dice – Ma non credo che il vero problema sia cancellarla per tutti. Le ricchezze, dove ci sono, vanno tassate. A partire dalle rendite finanziarie».
Quindi lo scollamento del governo, in primis del Pd, dai problemi reali del Paese: «Trovo folle che dopo l’esperienza Monti, bocciata alle elezioni, ci ritroviamo al governo sempre le stesse forze politiche, mentre il voto popolare si era espresso per un vero cambiamento. E infatti l’astensionismo dilaga». La «cura», per Landini, sta nella Costituzione: «Dobbiamo difenderla, e non accettare che la Ue ce la stravolga. Ma, al contrario, dobbiamo essere noi a estenderla in Europa. Noi della Fiom saremo con Rodotà e Zagrebelsky il 2 giugno a Bologna».
In concreto, quello che il governo Letta deve fare subito, è «investire sul lavoro: contrattando in Europa un allentamento dei vincoli di bilancio, e per esempio spingendo i fondi pensione a investire i loro 100 miliardi, che sono soldi di lavoratori e imprese, su titoli e aziende italiane». E poi: «Cancellare l’articolo 8; tornare alla tutela piena dell’articolo 18, che è stato stravolto. Defiscalizzare i contratti di solidarietà e rimodulare gli orari per bloccare i licenziamenti. Estendere a tutti la cassa integrazione ordinaria, così da non dover più mettere risorse sulla cassa in deroga, e poter finalmente istituire il reddito di cittadinanza. E poi estendere i diritti di cittadinanza: è assurdo che possano votare gli italiani all’estero e non gli immigrati che da tanti anni vivono e lavorano in Italia».
Dal palco hanno parlato diversi operai, tra i quali quelli della Fiat di Pomigliano, oggetto di un braccio di ferro infinito conl’ad Sergio Marchionne. Molto applaudito l’intervento della cantante Fiorella Mannoia. «Queste facce sono quelle che avrei voluto vedere alla guida del Paese. Penso che insieme noi ce la possiamo ancora fare – ha detto – Le risorse per il lavoro si possono trovare mettendo mano alle spese militari. Solo un casco da pilota di un F35 costa circa 500 mila euro. E noi siamo ancora in Afghanistan: non sono bastati migliaia di morti, gli oltre 2 milioni di euro che spendiamo ogni giorno». Gino Strada, di Emergency, ha parlato della povertà: «Abbiamo assistito a una cosa vergognosa sul piano politico – ha detto – Anche l’Italia è un Paese in guerra. C’è una guerra contro i poveri, i cittadini, che ogni giorno fa migliaia di vittime».
Infine, applauditissimo come sempre negli ultimi mesi, è intervenuto Stefano Rodotà, che è tornato a difendere la Costituzione e ha messo in guardia dal progetto di introdurre il presidenzialismo. Poi ha smontato la propaganda del Pd sulla «pacificazione nazionale», quella che dovrebbe giustificare l’"inciucio": «Dobbiamo pacificarci con chi? Per tutelare quali interessi? Abbiamo sentito tante volte la parola "sacrifici", ma io voglio fare due domande: sacrifici perché? E per chi?
I costituzionalisti
di Norma Rangeri
Una bella società civile. Quella che fa del lavoro e della difesa della nostra Costituzione i due comandamenti laici, da riportare al centro dell'agenda nazionale, ieri si è radunata, ancora una volta, a piazza S.Giovanni. Decine di migliaia di persone, raccolte in una manifestazione nazionale forte politicamente, per i suoi contenuti e per il messaggio lanciato, anche se non straordinaria nei numeri. Donne e uomini in cassa integrazione, esodati, precari, altrimenti soli nella disperazione, nel dramma che ormai diventa funesta cronaca quotidiana, hanno ripreso parola, con la rabbia, la determinazione, la voglia di difendere la democrazia, la dignità di ciascuno e di tutti.
Questa carica emotiva interpretata da operai e impiegati della Fiom, accompagnata dalla presenza di quelli di Sel, dei grillini, dei comunisti italiani, tanto più colpisce se paragonata alla paura che il Pd ha persino della propria ombra. Al punto da disertare, con qualche eccezione, la mobilitazione sindacale. Come se in quella piazza non ci fosse il cuore e la ragione della sinistra. E, proprio come ha scritto Maurizio Landini sul manifesto, e ripetuto ieri dal palco, è difficile capire come si può essere al governo con Berlusconi e «avere paura di essere qui». La Fiom combatte una battaglia molto difficile, sull'estrema trincea di un paese che sembra aver smarrito la visione di un futuro civile e democratico. Perché le larghe intese riverberano sulle confederazioni sindacali e c'è il rischio che si torni indietro, su pressione della Confindustria, anche rispetto al diritto di voto sui contratti.
Perché il governo di Pd-Pdl, si stringe nelle maglie di una oligarchia che genera sentimenti populisti. Perché sotto il ricatto berlusconiano, il Pd marcia verso riforme istituzionali utili a manomettere i principi di fondo di una pur esangue democrazia rappresentativa. Perché si va verso la separazione tra democrazia e lavoro, dividendo quel che i costituenti unirono nel primo articolo della Carta. E allora non deve stupire se ieri chiunque prendesse la parola dal palco di S.Giovanni per raccontare la sua condizione di cassintegrato o la difficile vertenza della sua fabbrica, collegava crisi economica e perdita dei diritti costituzionali. Così si spiegano gli applausi verso Stefano Rodotà, e la sua nomina di presidente ad honorem dell'associazione no-profit degli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano. Rodotà sta diventando sempre più punto di riferimento a sinistra, proprio perché la sua storia politica è nel segno della difesa dei diritti, tutti, e della carta costituzionale, che oggi qualcuno vorrebbe cambiare, invece di applicare.
Con una crisi economica che trasferisce la sede della sovranità popolare dal parlamento al mercato, con la perdita di credibilità dei partiti politici, e di quelli della sinistra specialmente, con la difficoltà dei movimenti a trovare nuove forme di partecipazione capaci di fare massa critica, un obiettivo importante - tenere insieme lavoro e democrazia - può tuttavia traballare, fino a mettere a repentaglio la tenuta del paese. E un sindacato come la Fiom rischia di trovarsi quasi solo nella trincea più scomoda e scoperta. Riprendere il filo a sinistra tra questi pezzi di sindacato, di forze organizzate, da Sel a parti della ex sinistra libertaria e comunista, e quella parte del Movimento 5 Stelle che fa della Costituzione punto di riferimento, è oggi la condizione minima per tenere aperta una prospettiva e far esplodere le contraddizioni del Partito democratico. Anche prima del congresso.
Comunque è stato Landini a riassumere perfettamente il senso di un pensiero, di una strategia politica, di una difficoltà: «essere rivoluzionari oggi è fare applicare la Costituzione perché solo da qui potrà partire la ricostruzione sociale e politica del paese». Appunto: un'impresa di questa portata non può pesare solo sulle spalle di una parte del sindacato.
«Il Pd ha paura della piazza»
di Antonio Sciotto
«Non capisco come si può essere al governo con Berlusconi e avere paura di essere qui». Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, torna ad attaccare il partito democratico, e lo fa dalla storica piazza «rossa», San Giovanni. L’ultimo dei paradossi – ma in Italia si realizzano, si sa – è che alla manifestazione degli operai, il leader del Pd Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil, non si è fatto vedere manco in cartonato. I metalmeccanici ieri hanno sfilato in corteo a Roma, per chiedere «un cambiamento, subito» al governo Letta: nuove politiche economiche e del lavoro, attenzione ai diritti. Tra le 50 mila e le 100 mila persone, ma la piazza visibilmente non era piena. Bisognerà anche capire, a freddo, come mai mancavano gli studenti e i tanti precari che pure Landini aveva invitato. Contenuti belli e condivisibili, urgenti: ma il corteo era composto solo e soprattutto da tute blu e dallo zoccolo duro della sinistra – dai piddini anti «inciucio» fino a Sel e Prc-Pdci, inclusi pezzi di M5S – ma non si sono visti i movimenti, se non qualche bandiera di Action e No Tav.
Landini ha rivendicato la centralità della piazza operaia: «Siamo la parte migliore del Paese, per noi pagare le tasse è un diritto». «Ogni volta che parliamo di diritti salta fuori il bocconiano di turno che ha studiato e dice: "ma dove si trovano i soldi?". Io non ho studiato tanto ma le cose vanno cercate dove sono. La Banca d’Italia spiega che negli ultimi 20 anni c’è stato un passaggio di 15 punti di Pil dai salari ai profitti e alle rendite, pari a 230 miliardi di euro. Soldi che non sono finiti negli investimenti ma nella rendita finanziaria e nella speculazione. Bisogna ripartire da lì».
La Fiom chiede quindi una «reale redistribuzione della ricchezza», e Landini critica la riforma dell’Imu: «È vero, era una tassa fatta coi piedi – dice – Ma non credo che il vero problema sia cancellarla per tutti. Le ricchezze, dove ci sono, vanno tassate. A partire dalle rendite finanziarie».
Quindi lo scollamento del governo, in primis del Pd, dai problemi reali del Paese: «Trovo folle che dopo l’esperienza Monti, bocciata alle elezioni, ci ritroviamo al governo sempre le stesse forze politiche, mentre il voto popolare si era espresso per un vero cambiamento. E infatti l’astensionismo dilaga». La «cura», per Landini, sta nella Costituzione: «Dobbiamo difenderla, e non accettare che la Ue ce la stravolga. Ma, al contrario, dobbiamo essere noi a estenderla in Europa. Noi della Fiom saremo con Rodotà e Zagrebelsky il 2 giugno a Bologna».
In concreto, quello che il governo Letta deve fare subito, è «investire sul lavoro: contrattando in Europa un allentamento dei vincoli di bilancio, e per esempio spingendo i fondi pensione a investire i loro 100 miliardi, che sono soldi di lavoratori e imprese, su titoli e aziende italiane». E poi: «Cancellare l’articolo 8; tornare alla tutela piena dell’articolo 18, che è stato stravolto. Defiscalizzare i contratti di solidarietà e rimodulare gli orari per bloccare i licenziamenti. Estendere a tutti la cassa integrazione ordinaria, così da non dover più mettere risorse sulla cassa in deroga, e poter finalmente istituire il reddito di cittadinanza. E poi estendere i diritti di cittadinanza: è assurdo che possano votare gli italiani all’estero e non gli immigrati che da tanti anni vivono e lavorano in Italia».
Dal palco hanno parlato diversi operai, tra i quali quelli della Fiat di Pomigliano, oggetto di un braccio di ferro infinito conl’ad Sergio Marchionne. Molto applaudito l’intervento della cantante Fiorella Mannoia. «Queste facce sono quelle che avrei voluto vedere alla guida del Paese. Penso che insieme noi ce la possiamo ancora fare – ha detto – Le risorse per il lavoro si possono trovare mettendo mano alle spese militari. Solo un casco da pilota di un F35 costa circa 500 mila euro. E noi siamo ancora in Afghanistan: non sono bastati migliaia di morti, gli oltre 2 milioni di euro che spendiamo ogni giorno». Gino Strada, di Emergency, ha parlato della povertà: «Abbiamo assistito a una cosa vergognosa sul piano politico – ha detto – Anche l’Italia è un Paese in guerra. C’è una guerra contro i poveri, i cittadini, che ogni giorno fa migliaia di vittime».
Infine, applauditissimo come sempre negli ultimi mesi, è intervenuto Stefano Rodotà, che è tornato a difendere la Costituzione e ha messo in guardia dal progetto di introdurre il presidenzialismo. Poi ha smontato la propaganda del Pd sulla «pacificazione nazionale», quella che dovrebbe giustificare l’"inciucio": «Dobbiamo pacificarci con chi? Per tutelare quali interessi? Abbiamo sentito tante volte la parola "sacrifici", ma io voglio fare due domande: sacrifici perché? E per chi?
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