Buon 1° maggio! Una
proposta per la creazione di nuovo lavoro
Pubblicato
su maggio 1, 2013 da Giovanni Nuscis sul blog http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/
Sul lavoro
il nuovo Governo, leggendo le anticipazioni del neo premier e del ministro
dell’economia, parrebbe accingersi a riproporre vecchie e ingannevoli ricette
neoliberiste, che lungi dal creare nuova e valida occupazione (a tempo
indeterminato e ragionevolmente risolutiva per i milioni di disoccupati e
inoccupati) continueranno a sottrarre risorse pubbliche a vantaggio di imprese
e banche. E’ necessario invece rompere con politiche inefficaci, pensando nuove
forme di lavoro e con esso un nuovo modello sociale ed economico, nell’ottica
di una più equa distribuzione della ricchezza e di un benessere diffuso.
I. E’ in atto una guerra dura e inapparente per il
permanere di un’egemonia economico finanziaria, in Italia come nella
maggior parte del pianeta. La posta in gioco è il denaro pubblico, i beni
comuni e quelli personali di milioni di persone. I miliardi di euro,
innanzitutto, di tasse ed imposte sempre più stritolanti per la maggior parte
della popolazione; e il patrimonio immobiliare degli enti pubblici che si vuole
svendere (terre e immobili demaniali, monumenti etc.) col pretesto di ridurre
il debito pubblico; beni comuni come l’acqua, l’ambiente, la terra. Ma anche le
risorse personali dei privati, che l’eccesso di tassazione, l’aumento
incontrollato dei prezzi, il bisogno disperato di liquidità, la schiavitù del
gioco d’azzardo, delle droghe, della prostituzione strappano via per andare a
incrementare, in buona parte, i conti bancari di potenti lobbies o gruppi
malavitosi; in modo spontaneo o attraverso il braccio impietoso degli enti di
riscossione, o della giustizia civile.
Questa lotta cruenta ha un bollettino di guerra di cui
si conosce il numero delle vittime giunte al gesto estremo (oltre mille persone
dal 2011), ma non i milioni di persone spogliate in tutto o in parte dei
beni e della capacità di auto sostentamento. Quanto meno conosciamo le mani che
sottraggono subdolamente ricchezza: quelle, ovviamente, dei beneficiari finali.
Non basta più limitarsi a capire che chiunque accumuli ricchezza oltre il
ragionevole guadagno probabilmente lo fa a danno di altre persone. E’
necessaria un’azione collettiva e politica, dura quanto è dura l’aggressione
che stiamo subendo, conoscendo, prima, i meccanismi che fanno confluire la
ricchezza in determinate tasche per interromperli, poi, o riportarli ad una
misura accettabile nell’ottica di un’equa ridistribuzione.
Il cambio di paradigma dev’essere totale: prima
dello “sviluppo”, della “crescita”, della “ripresa dell’economia”,
dell’”obbligo di pareggio di bilancio”, della “messa in sicurezza dei
conti pubblici”, parole sentite fino alla nausea da parte dei governi negli
ultimi vent’anni, ci sono le persone coi loro diritti: quello di
sopravvivere onestamente, innanzitutto, quello di realizzarsi come persone
vivendo un’esistenza dignitosa. E’ la stessa Costituzione a dettare questa
priorità, incardinandola non a caso nei primi articoli: “E’ compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana…”(art. 3, 2. co Costituzione), “La Repubblica
riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere,
secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione
che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (Art. 4, 1° co.
Cost). E se è vero che “L’iniziativa economica privata è libera.” essa però
“Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” (Art. 41 Cost). La vera
rivoluzione è questa: dare applicazione a questi principi scritti col sangue
dei padri, e invocati ogni giorno da una moltitudine senza più tutela e
rappresentanza politica.
Le politiche sul lavoro sono consistite,
da decenni, nell’erogazione di miliardi alle imprese e al sistema finanziario,
ai loro vertici spesso strapagati, senza con ciò evitare il licenziamento o
l’esodo dei lavoratori stessi, favorito per giunta, attraverso la modifica
dell’art. 18 Statuto dei lavoratori, dall’impossibilità del loro reintegro
qualora fosse riconosciuta giudizialmente la mancanza di una giusta causa.
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