01 maggio 2013

Proposta per la creazione di nuovo lavoro




Buon 1° maggio! Una proposta per la creazione di nuovo lavoro


Sul lavoro il nuovo Governo, leggendo le anticipazioni del neo premier e del ministro dell’economia, parrebbe accingersi a riproporre vecchie e ingannevoli ricette neoliberiste, che lungi dal creare nuova e valida occupazione (a tempo indeterminato e ragionevolmente risolutiva per i milioni di disoccupati e inoccupati) continueranno a sottrarre risorse pubbliche a vantaggio di imprese e banche. E’ necessario invece rompere con politiche inefficaci, pensando nuove forme di lavoro e con esso un nuovo modello sociale ed economico, nell’ottica di una più equa distribuzione della ricchezza e di un benessere diffuso.
I.     E’ in atto una guerra dura e inapparente per il permanere di un’egemonia economico finanziaria, in Italia come  nella maggior parte del pianeta. La posta in gioco è il denaro pubblico, i beni comuni e quelli personali di milioni di persone. I miliardi di euro, innanzitutto, di tasse ed imposte sempre più stritolanti per la maggior parte della popolazione; e il patrimonio immobiliare degli enti pubblici che si vuole svendere (terre e immobili demaniali, monumenti etc.) col pretesto di ridurre il debito pubblico; beni comuni come l’acqua, l’ambiente, la terra. Ma anche le risorse personali dei privati, che l’eccesso di tassazione, l’aumento incontrollato dei prezzi, il bisogno disperato di liquidità, la schiavitù del gioco d’azzardo, delle droghe, della prostituzione strappano via per andare a incrementare, in buona parte, i conti bancari di potenti lobbies o gruppi malavitosi; in modo spontaneo o attraverso il braccio impietoso degli enti di riscossione, o della giustizia civile.
Questa lotta cruenta ha un bollettino di guerra di cui si conosce il numero delle vittime giunte al gesto estremo (oltre mille persone dal 2011), ma non i milioni di persone spogliate in tutto o in  parte dei beni e della capacità di auto sostentamento. Quanto meno conosciamo le mani che sottraggono subdolamente ricchezza: quelle, ovviamente, dei beneficiari finali. Non basta più limitarsi a capire che chiunque accumuli ricchezza oltre il ragionevole guadagno probabilmente lo  fa a danno di altre persone. E’ necessaria un’azione collettiva e politica, dura quanto è dura l’aggressione che stiamo subendo, conoscendo, prima, i meccanismi che fanno confluire la ricchezza in determinate tasche per interromperli, poi, o riportarli ad una misura accettabile nell’ottica di un’equa ridistribuzione.
Il cambio di paradigma dev’essere totale: prima dello “sviluppo”, della “crescita”, della “ripresa dell’economia”, dell’”obbligo di pareggio di bilancio”, della “messa in sicurezza dei conti pubblici”, parole sentite fino alla nausea da parte dei governi negli ultimi vent’anni, ci sono le persone coi loro diritti: quello di sopravvivere onestamente, innanzitutto, quello di realizzarsi come persone vivendo un’esistenza dignitosa. E’ la stessa Costituzione a dettare questa priorità, incardinandola non a caso nei primi articoli: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”(art. 3, 2. co Costituzione), “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (Art. 4, 1° co. Cost). E se è vero che “L’iniziativa economica privata è libera.” essa però “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” (Art. 41 Cost). La vera rivoluzione è questa: dare applicazione a questi principi scritti col sangue dei padri, e invocati ogni giorno da una moltitudine senza più tutela e rappresentanza politica.
Le politiche sul lavoro sono consistite, da decenni, nell’erogazione di miliardi alle imprese e al sistema finanziario, ai loro vertici spesso strapagati, senza con ciò evitare il licenziamento o l’esodo dei lavoratori stessi, favorito per giunta, attraverso la modifica dell’art. 18 Statuto dei lavoratori, dall’impossibilità del loro reintegro qualora fosse riconosciuta giudizialmente la mancanza di una giusta causa.


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