Mircea Eliade è stato una delle “penne
dell'Arcangelo”, come furono chiamati gli intellettuali vicini alla Guardia di
Ferro (o Legione dell'Arcangelo Michele) del fascista Codreanu. E questo è
politicamente imperdonabile, ma i suoi scritti sul sacro sono (assieme a quelli
di Jung) fondamentali per aiutarci a comprendere (e controllare) la potenza
creativo/distruttiva che alberga nelle profondità del nostro inconscio.
Giorgio
Montefoschi - Eliade sedotto dall’India erotica
Nel 1929, ad appena ventidue anni, Mircea Eliade, lo storico delle religioni rumeno, sbarca a Ceylon dalla motonave Hakone Maru che ha preso ad Alessandria d'Egitto e, dopo una settimana di stordimento, dovuta ai colori, ai profumi, al rigoglio della vegetazione, tocca la punta della penisola indiana e di lì — racconta in uno dei tre brani che compongono Erotismo mistico indiano (Castelvecchi, pagine 90, 9) — si reca in treno a Madurai, nel Tamil Nadu. Chi conosce i lunghi corridoi del grande tempio di Madurai in cui dimorano gli elefanti sacri, le sue aule fitte di colonne, i bui penetrali in fondo ai quali una fiamma illumina le statue del pantheon induista e i bramini seminudi che compiono il sacrificio e accolgono le offerte, sa qual è l'emozione ineffabile che comunica quel tempio famosissimo.
È una emozione non dissimile da quella che si prova negli altri sublimi templi dravidici dell'India del Sud (Kanchipuram, forse, coi suoi misteriosi suoni di tube il più bello); non dissimile da quella provocata dalla morbida campagna; dalle sue notti tiepide; dalla luce; dai palazzi sontuosi o diroccati dei maharaja; dai mercati brulicanti; dalla misteriosa «idea dell'India» che non ha un luogo inscindibile dagli altri, una parola definitiva.
Eliade rimane in India tre anni. Sa pochissimo inglese e niente di hindi e di sanscrito. Guidato da Dasgupta, uno storico della filosofia indiana incontrato nella biblioteca della Società Teosofica di Adyar, impara sia l'hindi che il sanscrito, studiando dodici ore, come minimo, al giorno. Intanto, sempre consigliato e guidato da Dasgupta, è arrivato a Calcutta. Dorme nella pensione — che va descritta: un piano, grandi stanze affacciate sull'ingresso-salotto con vecchi mobili e pianoforte, cortile, giardino tropicale — della signora Perri s, un'anglo-indiana. Costei ha una figlia attraente, Norinne, diciassettenne, che divide la sua camera con una ballerina del Globe Theater. L'amicizia è presto fatta. E spalanca notti assai intriganti, confuse, che spaziano da case incredibilmente ricche in cui si balla e si beve champagne ghiacciato di fronte a domestici coi piedi nudi, a più estenuanti ancora fumerie d'oppio. Questo, naturalmente, non impedisce al giovane Eliade di seguire all'università le lezioni di Dasgupta, e di leggere e tradurre, stare sui libri dall'alba al crepuscolo, sotto le pale dei ventilatori, la camicia zuppa di sudore. Né, gli impedisce, di muoversi, fare viaggi: a Jaipur, per esempio; o Benares (il momento indimenticabile in cui si approda al primo ghat sul Gange, l'Asi-Ghat, confinante con i campi); o ai duemila metri di Darjeeling da dove, nelle giornate limpide, si vedono i ghiacci eterni della catena himalayana.
Mircea Eliade nel periodo indiano
Grandi anni;
beati. E grandi incontri. Come quello con Giuseppe Tucci, il famoso
orientalista, impegnato all'epoca nella ritraduzione in sanscrito di alcuni
testi di logica buddhista di cui si erano smarriti gli originali, e di cui non
si conservava che la traduzione cinese o tibetana; o quello con Tagore, nella
sua università di Shantiniketan:con tutto il cerimoniale delle lezioni all'aria
aperta e delle apparizioni del poeta mistico sempre impegnato a creare o a
meditare, e quell'atmosfera per la quale ogni oggetto, ogni fiore, ogni sprazzo
di luce era una epifania; o quello con l'esile maharaja di Calcutta, quasi
povero per aver donato la maggior parte delle sue ricchezze in beneficenza.
L'incontro con il tantrismo («così scandalosamente trascurato tanto dagli intellettuali indiani che dagli studiosi occidentali») è la scoperta che suggella la prima permanenza indiana di Eliade. La scoperta di un'India non solo ascetica o idealistica, bensì custode di una tradizione che è dalla parte della vita e del corpo (non più considerate come illusione e sorgente di sofferenza), e che anzi esalta «l'esistenza incarnata come l'unica possibilità di conquistare in questo mondo la libertà assoluta».
Nuda — dicono i testi tantrici — la donna incarna la natura e il Mistero cosmico. L'unione sessuale è il rituale per mezzo del quale la coppia umana si trasforma in coppia divina.
(Da: Il
Corriere della Sera del 13 maggio 2013)
E' stato bello e interessante leggere Mircea Eliade a suo tempo. Ne conosco tutti gli scritti. Però sarebbe bene ormai per gli studiosi prenderne un po' le distanze.
RispondiEliminaELSA GUGGINO
Cara Elsa condivido pienamente il tuo punto di vista. Comunque va ricordato che l'opera di Eliade, per la sua grande forza suggestiva, ha attratto tanti. Anche un non sprovveduto come Pasolini ne subì il fascino.
RispondiElimina