02 dicembre 2012

AMORE E PSICHE 1 e 2




Amore e Psiche, la scultura di Antonio Canova, e Psyché et l’Amour, il dipinto di François Gérard, saranno esposti per la prima volta insieme grazie ad Eni, in partnership con il Museo del Louvre, a Milano nella tradizionale mostra ospitata, per il quinto anno consecutivo, dal Comune di Milano, in Sala Alessi, dal 1 dicembre 2012 al 13 gennaio 2013.
L’esposizione straordinaria è dedicata ai capolavori concepiti da due tra i massimi esponenti del Neoclassicismo, ispirati al mito di Amore e Psiche, tratta dalle Metamorfosi di Apuleio del II sec d.C., e fonte di ispirazione nella letteratura e nell’arte, in particolare tra il Settecento e Ottocento, quando il mito vive una fase di intensa fortuna proprio perché molto vicino alla sensibilità Neoclassica e poi romantica.
La scultura di Antonio Canova Amore e Psiche del 1797 fissa i canoni estetici delle “sue divinità” ricche di dolcezza e di bellezza sensuale. Di un anno successivo è il dipinto Psyché et l’Amour di Francois Gérard, fortemente ispirato all’opera di Canova ma denso di un erotismo che gli assicurò un grande successo di pubblico.
Protagonisti delle precedenti edizioni in partnership con il Museo del Louvre (di cui Eni è mécène exceptionel) sono stati i capolavori San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci (2009), Donna allo specchio di Tiziano (2010), l’Adorazione dei pastori e il San Giuseppe falegname di Georges de La Tour (2011).
L’innovativa formula proposta da Eni per una fruizione dell’arte basata sulla gratuità e su un ampio corredo di strumenti di approfondimento, attività ed eventi, ha trovato conferma della sua validità con l’apprezzamento degli oltre 210 mila visitatori dell’esposizione dello scorso anno.


 La mostra, curata da Valeria Merlini e Daniela Storti, è integrata sia da apparati didattici e supporti video, sia da un percorso digitale con un sito web – www. amoreepsicheamilano.it, un’app dedicata, video e approfondimenti su YouTube, Facebook, Twitter, Google+ e Foursquare e laboratori dedicati per le scuole elementari e medie. Il catalogo è pubblicato da Rubettino Editore e curato da Vincent Pomarède, Valeria Merlini e Daniela Storti.
Anche la serie di incontri organizzati da Eni presso la sala conferenze di Palazzo Reale (con ingresso gratuito su prenotazione) e materiali specifici per le scuole a disposizione sul sito eni.com contribuiranno ad approfondire il tema di Amore e Psiche.
Novità di quest’anno, in linea con l’obbiettivo di apertura e continuo dialogo con la città, sono gli incontri preparatori e di approfondimento nelle biblioteche civiche di Milano, che ospiteranno conferenze sui temi legati al neoclassicismo e alle opere in mostra.



Oggi, alla notizia della straordinaria Mostra milanese, vogliamo aggiungere due bellissimi articoli che, oltre a fornire ulteriori dettagli sui capolavori esposti, contribuiscono a fare luce sulle ragioni della perenne attualità del mito che li ha ispirati:


Cesare De Seta - Il matrimonio di due capolavori

"La Repubblica",  1 dicembre 2012

Sin dall’antichità la pittura è considerata da Plinio la più nobile tra le arti figurative. Leonardo da Vinci eleva la pittura a “discorso mentale”, anche perché l’artista non deve sottoporsi al labor fisico che comporta la scultura, e ne esalta la dignità di conoscenza considerandola superiore alla scultura e la colloca tra le arti liberali. Mettere a confronto due opere dello stesso soggetto quale Amore e Psiche di Antonio Canova e di François Gérard, di uno scultore e di un pittore, è idea felice in sé, ma anche o soprattutto per la specifica e singolare pertinenza del marmo e della tela in oggetto. Succede per la prima volta a Milano, a Palazzo Marino. Nella Sala Alessi è allestita da oggi grazie ad Eni, in partnership con il Louvre, questa mostra, che si inserisce nel solco di quelle fortunate promosse dall’azienda negli anni passati: il San Giovanni Battista di Leonardo (2009), la Donna allo specchio di Tiziano (2010) e L’Adorazione dei pastori e il San Giuseppe falegname di Georges de La Tour. Tornando a Canova, lo scultore di Possagno aveva già realizzato tra il 1789 e il ’92 una Psiche stante con una farfalla in mano, da questa prima idea sboccia il gruppo con le due figure stanti abbracciate tra loro. I due bozzetti, al Museo Correr di Venezia e al Museo e Gipsoteca di Possagno, fissano la prima idea: «rapidissima, striata con la stecca sull’argilla per cogliere un istante della rappresentazione che sarebbe stata sviluppata nel primo modello al naturale ed in argilla», ben scrive Mario Cuderzo. Dal bozzetto fu tratta la forma per la realizzazione del modello in gesso definitivo, che è nella Gipsoteca. Il marmo, alto 145 cm, ha un’intenzionalità che per la modulata finezza è proprio definire pittorica; come in un inconsapevole specchio, Gérard dipinge una tela il cui modellato è proprio definire scultoreo. Ciò detto le due opere, accomunate da questo sottile gioco del ribaltamento dei ruoli formali, non hanno nulla in comune nel rappresentare il mito di Amore e Psiche.
Canova a partire dal 1796 per alcuni anni lavorò a questo gruppo su commessa del colonnello inglese John Campbell che aveva incontrato a Napoli nel soggior- no del 1787, ma l’opera non giunse mai in Inghilterra per la difficoltà del trasporto e fu acquistata dal maresciallo Gioacchino Murat, futuro re di Napoli, che la collocò nel castello di Compiègne: questo è l’esemplare al Louvre, mentre la seconda versione con variazioni sul panneggio di Psiche – dopo un giro per l’Europa – giunse in Russia ed è all’Ermitage di San Pietroburgo. Il soggetto di Amore e Psiche risale ad Apuleio, ma Canova nell’iconografia attinse a un dipinto di Ercolano con Fauno e Baccante, e sappiamo quanto fu importante per lo scultore la visita agli scavi delle città vesuviane dissepolte. Quel che va sottolineato è il pensiero che ispira il gruppo: non è né grazioso né eroico, poetiche congeniali a Canova e al Neoclassicismo, come nota Fernando Mazzocca, è piuttosto una riflessione sul concetto di anima, cioè “psiche” in greco, che assume le sembianze della farfalla che la fanciulla regge per le ali. Il dio sembra quasi farsi proteggere dalla fanciulla, è visto di profilo e reclina il capo sulla spalla di lei, un braccio la cinge ponendole la mano sulla spalla. L’altra mano di Amore sembra voglia custodire la farfalla che l’amata ha in mano: Psiche è raffigurata frontalmente e c’è un arcano senso di mistero in questo gruppo che s’evince dall’amorosa intesa tra i due che è pura, esaltata questa purezza dalla straordinaria venustas con cui sono modellati i corpi dei giovani. Che il referente sia la statuaria antica è fuori discussione. François Gérard, nato a Roma nel 1770 dove visse fino a dieci anni, aveva madre italiana e sposò un’italiana, ritornò a Roma dal 1782 al ’86, e poi ancora tre anni dopo all’Accademia di Francia, per essersi guadagnato il secondo posto al Prix de Rome, dopo Girodet. A Parigi nel 1786 era stato ammesso nell’atelier di Jacques-Louis David che lo protesse evitandogli la coscrizione e lo considerò sempre tra i suoi allievi più dotati, tra i quali figurano Girodet, Serangeli, Chaudet e Prud’hon. Ingres entrò nello studio di David nel ’97. È questo il clima culturale in cui matura Amore e Psicheche viene presentata al Salon del 1798, suscitando reazioni contrastanti. Sylvaine Laveissièr ce ne dà conto in catalogo, ricordando il tema del primitivismo e la consonanza con l’antico che furono evocati. Quantunque avesse uno studio al Louvre, Girodet si guadagnò da vivere facendo per anni l’illustratore per opere di lusso dell’editore Pierre Didot, assieme a altri allievi di David, che era il regista di questa prestigiosa collana. Infatti Gérard aveva illustrato lo stesso tema per Les Amour de Psiché et de Cupidon di La Fontaine: ma l’iconografia è assai diversa dal dipinto. I due giovani sono in piedi e si abbracciano con una certa voluttà. Pierre-Paul Prud’hon aveva presentato al Salon del 1793 L’unione di Amore e Amicizia, che è una variazione del tema, ma in tal caso dio e fanciulla sono seduti e inseriti in un contesto paesistico non esente da reminiscenze roccaille. Dunque il dipinto di Gérard è l’esito di una ricerca innovativa e nell’iconografia prescelta ha una variazione molto sensibile rispetto al gruppo canoviano: Psiche è seduta su un sasso, Amore si accosta a lei in piedi, le bacia la fronte e ha due vistose ali. La tela, che misura 186 per 133 cm, fu esposta al Salon dell’anno VI nel 1798 e incarna un’idea di bellezza raffinata e sublime, che evoca la pittura rinascimentale. Psiche ci guarda con il suo bellissimo volto di raffaellesca eleganza, mentre il giovane è visto di profilo col corpo reclinato per accostarsi all’amata. In questa tela alita un’intenzionalità metafisica e neoplatonica, così diffusa in età rinascimentale e resuscitata in età neoclassica, vale a dire l’unione dell’anima umana e dell’amore divino. In tal caso la farfalla volteggia sul capo della fanciulla e non è tra le sue mani. La tela, che era stata preceduta dal gruppo di Canova di alcuni anni, esprime originalmente la sottile mescolanza tra una contenuta sensualità e una certa freddezza. La fanciulla è nuda, solo un velo ricopre gambe e bacino, ha un sguardo sognante. Il paesaggio, in cui sono immersi gli eroi di questo dolce mito amoroso, è idillico, forse con una inclinazione poussiniana.




Umberto Galimberti - Il tabù di Eros, dio bello e invisibile

Perché nel mito alla fanciulla-Anima è vietato vedere il suo amante


Narra il mito che una fanciulla di nome Psiche, figlia di un re, a causa della sua straordinaria bellezza, aveva suscitato l’invidia di Afrodite. La dea allora incarica Eros, suo figlio, di accendere in lei un amore insopprimibile per il più brutto degli uomini, ma Eros, quando la vide, si innamorò di Psiche, la rapì e, dopo averla portata in un luogo segreto, ogni notte, senza farsi riconoscere, la incontrava, per poi lasciarla ai primi raggi di sole senza svelare la sua identità. Ma Psiche, su istigazione delle sorelle che le fecero credere che ogni notte abbracciava un mostro orribile, si accostò ad Eros dormiente con una lampada accesa. E fu allora che si accorse che non di un mostro si trattava ma di un giovane e bellissimo dio. Accadde però che una goccia d’olio cadde sul corpo di Eros che, destatosi, abbandonò Psiche, la quale, in preda alla disperazione per la perdita dell’amato, prese a vagabondare disperata finché giunse nel palazzo di Afrodite che la ridusse in schiavitù. Ma Eros, che non poteva a sua volta trovar pace senza Psiche, riprese a incontrarla, e alla fine i due l’ebbero vinta sulla gelosia di Afrodite e restarono uniti per l’eternità. È curioso che uno dei miti più amati e rappresentati nella storia dell’arte occidentale sia basato proprio sull’invisibilità: Eros non vuol farsi riconoscere da Psiche (l’anima), perché l’amore non ha un volto, non ha un’identità, non ha dei lineamenti riconoscibili, per la semplice ragione che amore è una “forza” che, quando invade l’anima, la possiede e la fa peregrinare, tra entusiasmi e sofferenze, in un mondo fantastico che ha poca attinenza col mondo reale. Infatti, conosciamo Amore non perché lo “vediamo”, ma perché lo “sentiamo”, non perché sta di fronte a noi o abbracciato a noi, ma perché ci “possiede”, e in questo stato di possessione ci fa delirare, ossia uscire dal “solco ( lira) ” in cui monotonamente trascorreva la nostra vita, gettandoci in un’altra vita piena di “entusiasmo” perché, posseduta da amore, l’anima è abitata dal dio (en-theos).
Ma chi sono gli dèi se non la rappresentazione trasfigurata della follia che ci abita, e che quotidianamente teniamo a bada con i nostri sforzi di ragionevolezza che amore rende vani, mettendoci in questo modo a contatto diretto con la nostra follia? Sarà per questo che Platone, che pure ha inventato il nostro modo di pensare e ragionare, parla di amore come di una “divina follia”, anzi della «più eccelsa sotto l’influsso di Afrodite e di Eros» (Fedro, 265 b), e perciò dice che «la follia dal dio proveniente è assai più bella della saggezza d’origine umana» ( Fedro, 244 d). La follia generata da amore non ha un volto, perché tutti i volti sono suoi, perciò non è riconoscibile, non la si può “vedere”, la si può solo “sentire”, anzi “subire”, anzi “patire”. Per questo parliamo d’amore come di una “passione”, perché in preda alle cose d’amore il nostro io, la nostra razionalità “patiscono” una dis-locazione che Socrate chiama a-topia. Amore infatti porta fuori dal luogo (topos) dove solitamente si svolge la vita. Crea uno stato di estraneità rispetto agli spazi e ai tempi che scandivano la nostra esistenza. E-straneo al consueto svolgersi della quotidianità, l’amore e a-topos, è fuori luogo.
Si dirà, ma a differenza di Psiche, io vedo in volto chi mi ha catturato l’anima e mi possiede. Certo, ma non è da lui o da lei che sei posseduta o posseduto, ma dalla tua follia che lui o lei ha risvegliato e con la quale ti ha messo in contatto. Non diresti altrimenti nell’acme dell’amore: “mi fai perdere la testa”, “mi fai impazzire”. Non sono modi di dire, ma modi d’essere nella possessione d’amore.
Per effetto di questo contatto con la propria follia, grazie all’altro o all’altra che l’ha risvegliata, dopo una storia d’amore, qualunque sia il suo esito, non siamo più quello che prima eravamo. Perché, prima della violazione dei corpi, è la nostra anima che è stata violata squilibrando la nostra identità e le sue difese. Siamo entrati in contatto con l’altra parte di noi stessi e il nostro volto non è più riconoscibile come eravamo abituati a conoscerlo. Per questo Psiche non può vedere il volto di Eros. Amore non ha volto. Amore è una forza che possiede l’anima e, dopo averla posseduta, con la potenza che può avere solo un dio, la ri-genera.
 

 

Da  "La Repubblica",  1 dicembre 2012


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