Amore e
Psiche, la scultura di Antonio Canova, e Psyché et l’Amour, il dipinto di
François Gérard, saranno esposti per la prima volta insieme grazie ad Eni, in
partnership con il Museo del Louvre, a Milano nella tradizionale mostra
ospitata, per il quinto anno consecutivo, dal Comune di Milano, in Sala Alessi,
dal 1 dicembre 2012 al 13 gennaio 2013.
L’esposizione
straordinaria è dedicata ai capolavori concepiti da due tra i massimi esponenti
del Neoclassicismo, ispirati al mito di Amore e Psiche, tratta dalle
Metamorfosi di Apuleio del II sec d.C., e fonte di ispirazione nella
letteratura e nell’arte, in particolare tra il Settecento e Ottocento, quando
il mito vive una fase di intensa fortuna proprio perché molto vicino alla
sensibilità Neoclassica e poi romantica.
La scultura di Antonio Canova Amore e Psiche del 1797 fissa i canoni estetici delle “sue divinità” ricche di dolcezza e di bellezza sensuale. Di un anno successivo è il dipinto Psyché et l’Amour di Francois Gérard, fortemente ispirato all’opera di Canova ma denso di un erotismo che gli assicurò un grande successo di pubblico.
Protagonisti delle precedenti edizioni in partnership con il Museo del Louvre (di cui Eni è mécène exceptionel) sono stati i capolavori San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci (2009), Donna allo specchio di Tiziano (2010), l’Adorazione dei pastori e il San Giuseppe falegname di Georges de La Tour (2011).
L’innovativa formula proposta da Eni per una fruizione dell’arte basata sulla gratuità e su un ampio corredo di strumenti di approfondimento, attività ed eventi, ha trovato conferma della sua validità con l’apprezzamento degli oltre 210 mila visitatori dell’esposizione dello scorso anno.
La scultura di Antonio Canova Amore e Psiche del 1797 fissa i canoni estetici delle “sue divinità” ricche di dolcezza e di bellezza sensuale. Di un anno successivo è il dipinto Psyché et l’Amour di Francois Gérard, fortemente ispirato all’opera di Canova ma denso di un erotismo che gli assicurò un grande successo di pubblico.
Protagonisti delle precedenti edizioni in partnership con il Museo del Louvre (di cui Eni è mécène exceptionel) sono stati i capolavori San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci (2009), Donna allo specchio di Tiziano (2010), l’Adorazione dei pastori e il San Giuseppe falegname di Georges de La Tour (2011).
L’innovativa formula proposta da Eni per una fruizione dell’arte basata sulla gratuità e su un ampio corredo di strumenti di approfondimento, attività ed eventi, ha trovato conferma della sua validità con l’apprezzamento degli oltre 210 mila visitatori dell’esposizione dello scorso anno.
La mostra, curata da Valeria Merlini e Daniela Storti, è integrata sia da apparati
didattici e supporti video, sia da un percorso digitale con un sito web – www.
amoreepsicheamilano.it, un’app dedicata, video e approfondimenti su YouTube,
Facebook, Twitter, Google+ e Foursquare e laboratori dedicati per le scuole
elementari e medie. Il catalogo è pubblicato da Rubettino Editore e curato da
Vincent Pomarède, Valeria Merlini e Daniela Storti.
Anche la serie di incontri organizzati da Eni presso la sala conferenze di Palazzo Reale (con ingresso gratuito su prenotazione) e materiali specifici per le scuole a disposizione sul sito eni.com contribuiranno ad approfondire il tema di Amore e Psiche.
Novità di quest’anno, in linea con l’obbiettivo di apertura e continuo dialogo con la città, sono gli incontri preparatori e di approfondimento nelle biblioteche civiche di Milano, che ospiteranno conferenze sui temi legati al neoclassicismo e alle opere in mostra.
Anche la serie di incontri organizzati da Eni presso la sala conferenze di Palazzo Reale (con ingresso gratuito su prenotazione) e materiali specifici per le scuole a disposizione sul sito eni.com contribuiranno ad approfondire il tema di Amore e Psiche.
Novità di quest’anno, in linea con l’obbiettivo di apertura e continuo dialogo con la città, sono gli incontri preparatori e di approfondimento nelle biblioteche civiche di Milano, che ospiteranno conferenze sui temi legati al neoclassicismo e alle opere in mostra.
Oggi, alla notizia della
straordinaria Mostra milanese, vogliamo aggiungere due bellissimi articoli che,
oltre a fornire ulteriori dettagli sui capolavori esposti, contribuiscono a
fare luce sulle ragioni della perenne attualità del mito che li ha ispirati:
Cesare De Seta - Il matrimonio di due
capolavori
"La Repubblica", 1 dicembre 2012
Sin dall’antichità la pittura è
considerata da Plinio la più nobile tra le arti figurative. Leonardo da Vinci
eleva la pittura a “discorso mentale”, anche perché l’artista non deve
sottoporsi al labor fisico che comporta la scultura, e ne esalta la dignità di
conoscenza considerandola superiore alla scultura e la colloca tra le arti
liberali. Mettere a confronto due opere dello stesso soggetto quale Amore e
Psiche di Antonio Canova e di François Gérard, di uno scultore e di un pittore,
è idea felice in sé, ma anche o soprattutto per la specifica e singolare
pertinenza del marmo e della tela in oggetto. Succede per la prima volta a
Milano, a Palazzo Marino. Nella Sala Alessi è allestita da oggi grazie ad Eni,
in partnership con il Louvre, questa mostra, che si inserisce nel solco di
quelle fortunate promosse dall’azienda negli anni passati: il San Giovanni
Battista di Leonardo (2009), la Donna allo specchio di Tiziano (2010) e
L’Adorazione dei pastori e il San Giuseppe falegname di Georges de La Tour.
Tornando a Canova, lo scultore di Possagno aveva già realizzato tra il 1789 e
il ’92 una Psiche stante con una farfalla in mano, da questa prima idea sboccia
il gruppo con le due figure stanti abbracciate tra loro. I due bozzetti, al
Museo Correr di Venezia e al Museo e Gipsoteca di Possagno, fissano la prima
idea: «rapidissima, striata con la stecca sull’argilla per cogliere un istante
della rappresentazione che sarebbe stata sviluppata nel primo modello al
naturale ed in argilla», ben scrive Mario Cuderzo. Dal bozzetto fu tratta la
forma per la realizzazione del modello in gesso definitivo, che è nella
Gipsoteca. Il marmo, alto 145 cm, ha un’intenzionalità che per la modulata finezza
è proprio definire pittorica; come in un inconsapevole specchio, Gérard dipinge
una tela il cui modellato è proprio definire scultoreo. Ciò detto le due opere,
accomunate da questo sottile gioco del ribaltamento dei ruoli formali, non
hanno nulla in comune nel rappresentare il mito di Amore e Psiche.
Canova a partire dal 1796 per
alcuni anni lavorò a questo gruppo su commessa del colonnello inglese John
Campbell che aveva incontrato a Napoli nel soggior- no del 1787, ma l’opera non
giunse mai in Inghilterra per la difficoltà del trasporto e fu acquistata dal
maresciallo Gioacchino Murat, futuro re di Napoli, che la collocò nel castello
di Compiègne: questo è l’esemplare al Louvre, mentre la seconda versione con
variazioni sul panneggio di Psiche – dopo un giro per l’Europa – giunse in
Russia ed è all’Ermitage di San Pietroburgo. Il soggetto di Amore e Psiche
risale ad Apuleio, ma Canova nell’iconografia attinse a un dipinto di Ercolano
con Fauno e Baccante, e sappiamo quanto fu importante per lo scultore la visita
agli scavi delle città vesuviane dissepolte. Quel che va sottolineato è il
pensiero che ispira il gruppo: non è né grazioso né eroico, poetiche congeniali
a Canova e al Neoclassicismo, come nota Fernando Mazzocca, è piuttosto una
riflessione sul concetto di anima, cioè “psiche” in greco, che assume le
sembianze della farfalla che la fanciulla regge per le ali. Il dio sembra quasi
farsi proteggere dalla fanciulla, è visto di profilo e reclina il capo sulla
spalla di lei, un braccio la cinge ponendole la mano sulla spalla. L’altra mano
di Amore sembra voglia custodire la farfalla che l’amata ha in mano: Psiche è
raffigurata frontalmente e c’è un arcano senso di mistero in questo gruppo che
s’evince dall’amorosa intesa tra i due che è pura, esaltata questa purezza
dalla straordinaria venustas con cui sono modellati i corpi dei giovani. Che il
referente sia la statuaria antica è fuori discussione. François Gérard, nato a
Roma nel 1770 dove visse fino a dieci anni, aveva madre italiana e sposò
un’italiana, ritornò a Roma dal 1782 al ’86, e poi ancora tre anni dopo
all’Accademia di Francia, per essersi guadagnato il secondo posto al Prix de
Rome, dopo Girodet. A Parigi nel 1786 era stato ammesso nell’atelier di
Jacques-Louis David che lo protesse evitandogli la coscrizione e lo considerò
sempre tra i suoi allievi più dotati, tra i quali figurano Girodet, Serangeli,
Chaudet e Prud’hon. Ingres entrò nello studio di David nel ’97. È questo il
clima culturale in cui matura Amore e Psicheche viene presentata al Salon del
1798, suscitando reazioni contrastanti. Sylvaine Laveissièr ce ne dà conto in
catalogo, ricordando il tema del primitivismo e la consonanza con l’antico che
furono evocati. Quantunque avesse uno studio al Louvre, Girodet si guadagnò da
vivere facendo per anni l’illustratore per opere di lusso dell’editore Pierre
Didot, assieme a altri allievi di David, che era il regista di questa
prestigiosa collana. Infatti Gérard aveva illustrato lo stesso tema per Les
Amour de Psiché et de Cupidon di La Fontaine: ma l’iconografia è assai diversa
dal dipinto. I due giovani sono in piedi e si abbracciano con una certa
voluttà. Pierre-Paul Prud’hon aveva presentato al Salon del 1793 L’unione di
Amore e Amicizia, che è una variazione del tema, ma in tal caso dio e fanciulla
sono seduti e inseriti in un contesto paesistico non esente da reminiscenze
roccaille. Dunque il dipinto di Gérard è l’esito di una ricerca innovativa e
nell’iconografia prescelta ha una variazione molto sensibile rispetto al gruppo
canoviano: Psiche è seduta su un sasso, Amore si accosta a lei in piedi, le
bacia la fronte e ha due vistose ali. La tela, che misura 186 per 133 cm, fu
esposta al Salon dell’anno VI nel 1798 e incarna un’idea di bellezza raffinata
e sublime, che evoca la pittura rinascimentale. Psiche ci guarda con il suo
bellissimo volto di raffaellesca eleganza, mentre il giovane è visto di profilo
col corpo reclinato per accostarsi all’amata. In questa tela alita
un’intenzionalità metafisica e neoplatonica, così diffusa in età rinascimentale
e resuscitata in età neoclassica, vale a dire l’unione dell’anima umana e
dell’amore divino. In tal caso la farfalla volteggia sul capo della fanciulla e
non è tra le sue mani. La tela, che era stata preceduta dal gruppo di Canova di
alcuni anni, esprime originalmente la sottile mescolanza tra una contenuta
sensualità e una certa freddezza. La fanciulla è nuda, solo un velo ricopre
gambe e bacino, ha un sguardo sognante. Il paesaggio, in cui sono immersi gli
eroi di questo dolce mito amoroso, è idillico, forse con una inclinazione
poussiniana.
Umberto Galimberti - Il tabù di Eros, dio bello e
invisibile
Perché nel mito alla fanciulla-Anima è vietato vedere
il suo amante
Narra il
mito che una fanciulla di nome Psiche, figlia di un re, a causa della sua
straordinaria bellezza, aveva suscitato l’invidia di Afrodite. La dea allora
incarica Eros, suo figlio, di accendere in lei un amore insopprimibile per il
più brutto degli uomini, ma Eros, quando la vide, si innamorò di Psiche, la
rapì e, dopo averla portata in un luogo segreto, ogni notte, senza farsi
riconoscere, la incontrava, per poi lasciarla ai primi raggi di sole senza
svelare la sua identità. Ma Psiche, su istigazione delle sorelle che le fecero
credere che ogni notte abbracciava un mostro orribile, si accostò ad Eros
dormiente con una lampada accesa. E fu allora che si accorse che non di un
mostro si trattava ma di un giovane e bellissimo dio. Accadde però che una
goccia d’olio cadde sul corpo di Eros che, destatosi, abbandonò Psiche, la quale,
in preda alla disperazione per la perdita dell’amato, prese a vagabondare
disperata finché giunse nel palazzo di Afrodite che la ridusse in schiavitù. Ma
Eros, che non poteva a sua volta trovar pace senza Psiche, riprese a
incontrarla, e alla fine i due l’ebbero vinta sulla gelosia di Afrodite e
restarono uniti per l’eternità. È curioso che uno dei miti più amati e
rappresentati nella storia dell’arte occidentale sia basato proprio
sull’invisibilità: Eros non vuol farsi riconoscere da Psiche (l’anima), perché
l’amore non ha un volto, non ha un’identità, non ha dei lineamenti
riconoscibili, per la semplice ragione che amore è una “forza” che, quando
invade l’anima, la possiede e la fa peregrinare, tra entusiasmi e sofferenze,
in un mondo fantastico che ha poca attinenza col mondo reale. Infatti,
conosciamo Amore non perché lo “vediamo”, ma perché lo “sentiamo”, non perché
sta di fronte a noi o abbracciato a noi, ma perché ci “possiede”, e in questo
stato di possessione ci fa delirare, ossia uscire dal “solco ( lira) ” in cui
monotonamente trascorreva la nostra vita, gettandoci in un’altra vita piena di
“entusiasmo” perché, posseduta da amore, l’anima è abitata dal dio (en-theos).
Ma chi sono
gli dèi se non la rappresentazione trasfigurata della follia che ci abita, e
che quotidianamente teniamo a bada con i nostri sforzi di ragionevolezza che
amore rende vani, mettendoci in questo modo a contatto diretto con la nostra
follia? Sarà per questo che Platone, che pure ha inventato il nostro modo di
pensare e ragionare, parla di amore come di una “divina follia”, anzi della
«più eccelsa sotto l’influsso di Afrodite e di Eros» (Fedro, 265 b), e perciò
dice che «la follia dal dio proveniente è assai più bella della saggezza
d’origine umana» ( Fedro, 244 d). La follia generata da amore non ha un volto,
perché tutti i volti sono suoi, perciò non è riconoscibile, non la si può
“vedere”, la si può solo “sentire”, anzi “subire”, anzi “patire”. Per questo
parliamo d’amore come di una “passione”, perché in preda alle cose d’amore il
nostro io, la nostra razionalità “patiscono” una dis-locazione che Socrate
chiama a-topia. Amore infatti porta fuori dal luogo (topos) dove
solitamente si svolge la vita. Crea uno stato di estraneità rispetto agli spazi
e ai tempi che scandivano la nostra esistenza. E-straneo al consueto svolgersi
della quotidianità, l’amore e a-topos, è fuori luogo.
Si dirà, ma
a differenza di Psiche, io vedo in volto chi mi ha catturato l’anima e mi
possiede. Certo, ma non è da lui o da lei che sei posseduta o posseduto, ma
dalla tua follia che lui o lei ha risvegliato e con la quale ti ha messo in
contatto. Non diresti altrimenti nell’acme dell’amore: “mi fai perdere la
testa”, “mi fai impazzire”. Non sono modi di dire, ma modi d’essere nella
possessione d’amore.
Per effetto
di questo contatto con la propria follia, grazie all’altro o all’altra che l’ha
risvegliata, dopo una storia d’amore, qualunque sia il suo esito, non siamo più
quello che prima eravamo. Perché, prima della violazione dei corpi, è la nostra
anima che è stata violata squilibrando la nostra identità e le sue difese.
Siamo entrati in contatto con l’altra parte di noi stessi e il nostro volto non
è più riconoscibile come eravamo abituati a conoscerlo. Per questo Psiche non
può vedere il volto di Eros. Amore non ha volto. Amore è una forza che possiede
l’anima e, dopo averla posseduta, con la potenza che può avere solo un dio, la
ri-genera.
Da "La Repubblica", 1 dicembre 2012
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