Oggi è la giornata dell’immaginazione! Così, dopo il dialogo immaginario
con Gramsci, mi piace riprendere il diario immaginario che Evelina Santangelo attribuisce a Susanna Camusso, la segretaria generale della CGIL.
Evelina ha pubblicato il suo pezzo su Il
fatto quotidiano dello scorso 10 dicembre. Ma l’articolo, insieme ad altri
della stessa autrice, si può leggere anche su http://www.nazioneindiana.com .
Evelina riesce a dare corpo ai pensieri e ai sogni di chi ha vissuto attivamente i migliori anni
settanta, quando ancora si riusciva ad immaginare le cose che non c’erano, che non
esistevano ancora.
Beh, cara Evelina, siamo in tanti oggi a
pensare che “il futuro lo abbiamo
lasciato lì, in quel passato remoto”.
f.v.
Evelina Santangelo - Chiusa
nella mia stanza in un’abissale solitudine
Scrivere aiuta a capire chi siamo, dove stiamo andando…
Scrivere aiuta a capire chi siamo, dove
stiamo andando. Per questo di tanto in tanto la sera, scrivo.
Conosco il mare aperto, non lo temo. So
orientare la mia rotta, con vele e timoni. Conosco i venti e li so dominare e
anche le correnti. L’ho imparato e praticato… come ogni bravo velista, d’altro
canto, che sa quel che bisogna fare.
Posso ritenermi una donna dotata di un
certo coraggio, dunque, che sa affrontare il mare aperto e che ha partecipato a
battaglie sociali e civili coraggiose. E il coraggio, in battaglie del genere,
è una qualità che si nutre anche di contagio. Ho contagiato coraggio e ne sono
stata contagiata.
Ora, il coraggio di cui vado più
orgogliosa ha a che vedere con la capacità di immaginare quel che non esiste
ancora. Ho fatto la mia parte nell’immaginare ad esempio una formazione
collettiva in nome di un’azione collettiva. Era l’autunno caldo del ’73 e io,
ancora studentessa – in quel tempo glorioso delle lotte operaie – ho lottato
per il riconoscimento delle 150 ore di permesso retribuito, per il
riconoscimento di un diritto permanente allo studio di tutti i lavoratori, per
la diffusione di un sapere critico, di una cultura con dimensioni di massa
capace di intrecciare sapere e lavoro, scienza, sviluppo tecnologico e critica
al sistema di produzione, all’organizzazione stessa del lavoro… Ho partecipato
con passione a quella battaglia in cui operai metalmeccanici, sindacalisti,
intellettuali, studenti, insegnanti stavano reinventando la scuola, stavano
progettando, ecco, una scuola che non c’era. Erano gli anni delle scuole
popolari, ispirate a Don Milani e alla scuola di Barbiana degli anni ‘50. Erano
gli anni delle 150 ore delle donne, con i corsi di formazione sulla condizione
di lavoro, di vita, sulla sessualità delle donne… Erano gli anni in cui si
immaginavano diritti che non c’erano.
Ho cominciato così. Di slancio. Ho
ricoperto incarichi impensabili per una donna, conquistando terreno giorno dopo
giorno, per arrivare fin qui: prima donna segretario generale della CGIL… E da
qui, dall’alto di questa mia posizione, l’altro giorno a Taranto, nella città
delle acciaierie dell’Ilva dove si muore di lavoro e dove il lavoro è morto…
perché non può avere futuro un lavoro così in un paese civile… nel giorno dello
sciopero europeo… davanti a lavoratori in mobilità, precari, giovani
disoccupati, insegnanti mal retribuiti, studenti defraudati… dinanzi a tutte
queste solitudini… mi è successa una cosa assurda… Dicevo: «un paese che si
frantuma…». Dicevo: «Bisogna ridare reddito al lavoro… gli esodati partecipano
di una lotteria… l’iva incide sui consumi obbligati, mangiare, vestirsi, andare
a scuola…il welfare non è un costo, quando sono le pensioni, i lavoratori,
quando bisogna pulire una scuola o dare assistenza a una persona … siamo
tornati nel mondo in cui per andare a studiare bisogna essere dottori… senza
diritto alla mobilità sociale…» e intanto pensavo: «Stiamo mendicando, stiamo
mendicando… stiamo qui a seppellirci in rivendicazioni misere, a porre argini
dinanzi a un fallimento». E, mentre tenevo quel mio discorso, mi sono girata
idealmente verso quel passato remoto e… in quella capacità di immaginare le
cose che non c’erano, che non esistevano ancora, ho visto il futuro. Così, beh,
mi è venuta paura al pensiero che il futuro lo abbiamo lasciato lì, in quel
passato remoto.
«Abissale solitudine», mi viene da
scrivere, chiusa nella mia stanza, mentre dalla strada mi arrivano le note del
«Nowhere Man» dei Beatles. «He’s a real
nowhere Man/Sitting in his nowhere Land/Making all his nowhere plans for
nobody…»
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