Sul singolare modo in cui il
Prof. Monti, con la benedizione di Santa Romana Chiesa, si è riproposto ieri
alla guida del nostro Paese tanto è stato detto e scritto.
Il commento migliore a me è sembrato questo:
La quasi candidatura
Bizantino, è stato detto, che
inventa la “quasi candidatura”, così come Bisanzio aveva indebolito il saldo
diritto romano coi “quasi contratti” e i “quasi delitti”. Ma è anche più di
questo: Monti ha potuto dire di “ascendere” alla politica, e di proporsi a
“guida del Paese”, senza suscitare risate e nemmeno sorrisi. Di un Paese che
sta mandando al fallimento (si dice default?), con lo strozzinaggio di Stato.
Monti dunque è la “buona coscienza” del Paese: dei media, delle istituzioni,
presidente della Repubblica in testa, e dei comici.
Non bisogna del resto sottovalutare
la potenza della retorica. I gesuiti, alla cui scuola Monti si è formato e di
cui si fa scudo, ne conoscevano la forza e l’hanno ampiamente usata. Fino a
farne un marchio, il “gesuitico” appunto. Che vuol dire spaccare il capello in
quattro, cioè pignoleggiare, ma con un sottinteso: contrabbandare merce falsa
per vera. Avremo dunque il quasi Monti per lungo tempo, e bisogna rifletterci.
Una cosa poi Monti sicuramente, un
milanese a parte intera. Uno che pensa al bene dello Stato in termini dei
propri interessi. Qui proprio in senso specifico, di obblighi di
intermediazione a favore delle banche. Pochi euro qui è lì, naturalmente,
è un quasi salasso. Anche i tre punti di reddito in più sfumati in tasse,
pagati dai soliti noti, una quasi lotta all’evasione.
Fonte: http://www.antiit.com
P.S. : ho segnalato alla fonte l'incompiutezza dell'inizio dell'ultimo capoverso. Intanto riprendo dallo stesso blog questo ulteriore giudizio sul Professore voluto da Banche e Vaticano:
P.S. : ho segnalato alla fonte l'incompiutezza dell'inizio dell'ultimo capoverso. Intanto riprendo dallo stesso blog questo ulteriore giudizio sul Professore voluto da Banche e Vaticano:
"Monti è il cavaliere dell’ipotesi neo guelfa. Il
progetto di riprendere il controllo del paese attraverso una Democrazia
Cristiana ribattezzata Grande Centro. Anche da posizione minoritaria, come è
avvenuto in questo anno di supplenza, concessa improvvidamente da Napolitano
sotto la minaccia dello spread. Ma
forte dell’appoggio delle banche, ormai confessionali al 90 per cento. E
dell’“opinione pubblica”: la Rai, casiniana in percentuale di poco minore, Sky,
La 7, e l’editoria giornalistica: Rcs, Espresso-Repubblica-Finegil, Itedi-Fiat-
Caltagirone-Messaggero, Riffeser, Sole-24 Ore. Che ne hanno imposto all’Italia
l’urgenza, e quasi il bisogno, malgrado un’esperienza disastrosa di governo, il
primo della storia della Repubblica che abbia provocato da solo una recessione.
Monti è ipotesi forte a Milano, grazie alle due grandi
banche e alla Confindustria di Emma Marcegaglia. E ha una sponda ferma nel
cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi, e nella Confindustria di Squinzi.
Gli editori sono allineati per il ripristino delle “provvidenze” all’editoria,
e per interessi di bottega, a Torino e a Roma." Infine raccomando la lettura del seguente articolo pubblicato oggi dal sito http://www.democraziakmzero.org :
Pierluigi Sullo - La
bomba fine-di-mondo di Monti
Dunque, un ventesimo del debito pubblico l’anno, fino al raggiungimento di un rapporto tra debito e prodotto interno lordo del 60 per cento, il limite fissato dal Trattato di Maastricht. Bene, tralasciamo il fatto che il Pil continua a precipitare, per cui il 60 per cento di una cifra che scende è uno “stock di debito” che corre all’ingiù, e che dire “un ventesimo” dell’insieme del debito ogni anno, senza specificare un traguardo, significa in realtà dire che questa dovrebbe diventare una politica permanente. Guardiamo piuttosto alla cifra. Non bisogna essere economisti laureati alla London School per fare il seguente calcolo: se, come ha annunciato la Banca d’Italia a fine 2012, il debito pubblico italiano ha superato – nonostante l’”auterità” – la soglia dei 2000 miliardi euro, un ventesimo di questa cifra ammonta a 100 miliardi.
E’ una di quelle cifre che sembrano astratte, tanto sono piene di zeri. Bisogna fare qualche raffronto, per capire meglio. Ad esempio: lo stato italiano spende ogni anno per la spesa corrente, in totale, oltre 400 miliardi di euro: 100 miliardi sono un po’ meno di un quarto di questa cifra. Il servizio sanitario nazionale è costato, nel 2009 (ultimo dato disponibile), circa 110 miliardi di euro: lo si abolisse del tutto, avanzerebbero pure una decina di miliardi. Si capisce perché, il mese scorso, il governo “tecnico” abbia lanciato segnali sul fatto che la sanità pubblica deve trovare altri finanziamenti, diversi da quelli del bilancio pubblico: nessuno ha specificato quali altri, si suppone che il modello sia quello delle assicurazioni private, come negli Stati uniti; però, lanciato il sasso, Monti ha rassicurato: la sanità pubblica non verrà privatizzata. Ma si sa come vanno queste cose.
La sanità è la spesa maggiore. Per scuola, università e ricerca, lo Stato spende un po’ meno di 60 miliardi: soldi che, se questa voce di bilancio sparisse, non aiuterebbe che a dimezzare il taglio dello “stock”. Tanto meno le spese militari, il cui ammontare è valutato – da diverse fonti – tra gli oltre 20 e i 37 calcolati dal Sipri, l’Istituto di Stoccolma (che giustamente aggiunge a questa voce anche l’Arma dei carabinieri). Se si facesse quel che Sbilanciamoci propone, sulla base di accurati studi, cioè un taglio di 10 miliardi, non si arriverebbe che a un decimo della cifra che secondo Monti va tagliata ogni anno e per un numero di anni indefinito. Aiuterebbe di sicuro abolire tutte le “grandi opere”, dalla Tav alle decine di autostrade ecc., ma 100 miliardi in meno sono davvero qualcosa di apocalittico. Magari i Maya hanno intravisto Mario Monti, nel lontano futuro di un paese a forma di stivale.
Nella conferenza stampa di fine d’anno, il professor Monti ha avuto una battuta tanto banale quanto sintomatica. Per replicare a chi lo aveva definito un “liberale conservatore” (l’hanno detto Fassina, il responsabile economico del Pd, e Camusso, la segretaria della Cgil), l’ormai ex presidente del consiglio ha sibilato: “Liberale di sicuro, ma conservatori a me paiono loro”. Una litania: sono trent’anni che gli iper-liberisti si presentano con i panni dei rivoluzionari, o almeno degli innovatori. I “conservatori” sono coloro che difendono, scavando trincee, il modello del “compromesso socialdemocratico” elaborato tra il ’45 e la fine degli anni settanta: contratti collettivi, lavoro a tempo indeterminato, welfare generalizzato e sanità pubblica e gratuita, eccetera. Loro, i rivoluzionari, credono – con una coerenza che molti hanno definito “religiosa”, visti anche gli esiti attuali – che ogni ostacolo “pubblico” o “statale” alla libera volontà o realtà del “mercato” sia un danno, un freno. Tanto è vero che, nell’”Agenda” di Monti si dice: la “crescita” (obiettivo supremo) non si fa spendendo soldi pubblici, anzi viene favorita da finanze pubbliche a posto e, appunto, da non-leggi che lascino al mercato di invadere ogni ambito della vita civile. Pochi ad esempio hanno sussultato quando il governo, pochi giorni prima del terremoto in Emilia, manifestò l’intenzione di abolire le provvidenze pubbliche per le vittime delle calamità naturali, imponendo a tutti – singoli cittadini o enti locali – di stipulare assicurazioni. Come si fa per le auto.
Tagliare 100 miliardi l’anno, dal 2015, dal bilancio dello stato è una autentica rivoluzione. L’Italia è un paese che si è retto su due gambe, dopo al fine del “boom” econimico degli anni cinquanta e sessanta: sul risparmio delle famiglie, che aveva indici eccezionali se paragonato a quello dei paesi che hanno puntato tutto sull’aumento abnorme del debito privato (come nel caso dei mutui “suprime”, causa della crisi finanziaria del 2008 ed inizio della crisi generale); secondo, su un sistema di solidarietà sociale ed inter-comunitario (nei confronti del sud, ad esempio), che, se ha aumentato il debito pubblico (il quale però è esploso grazie ad idiozie come l’alta velocità ferroviaria, occasione di corruzione generalizzata), ha però grosso modo tenuto insieme la società, impedendo una estremizzazione della povertà o del divario tra poveri e ricchi alla maniera di quel che accade negli Stati uniti. Contro queste due gambe l’”austerità” ha sparato i proiettili dell’iper-tassa sulla casa e del saccheggio delle casse degli enti locali. Il passo successivo è il taglio di 100 miliardi l’anno, che renderà lo stato e le istituzioni locali pure appendici di quel che il mercato vorrà fare di noi e del territorio.
L’ultima domanda è: cosa contrapporre a questa bomba-fine-di-mondo del professor Monti? Forse sarebbe bene smetterla di cercare di far tornare all’indietro gli orologi, fino al 1979, poniamo, e di proporsi un’altra politica per tutelare ciò che è “pubblico” (e non necessariamente “statale”). E comunque, di sicuro, emendare una tale politica, come si apprestano a fare il Pd e i suoi alleati, è una “mission impossible”. Ma questo è un altro discorso.
http://www.democraziakmzero.org
E' ORMAI EVIDENTE CHE IL VATICANO, CON MONTI, PUNTA A CREARE UNA NUOVA DC!
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