Il
linguaggio ci ha fatto inequivocabilmente intendere che la memoria non è uno
strumento per l'esplorazione del passato, ma piuttosto il luogo in cui si
annida. È il substrato del vissuto come il suolo terrestre è il substrato in
cui giacciono sepolte le città antiche. Chi si sforza di avvicinarsi al proprio
passato sepolto deve comportarsi come un uomo che scava. Soprattutto non deve
temere di continuare a ritornare ad un solo e medesimo fatto - di disperderlo
come si disperde la terra, di rivoltarlo come si rivolta il terreno. Perché i
‘fatti’ non sono altro che gli strati che consegnano alla ricerca più
meticolosa solamente quello per cui vale la pena di scavare. Vale a dire le
immagini, che, liberate di tutti i contesti precedenti, risiedono come oggetti
preziosi nelle stanze sobrie della nostra comprensione successiva - come i
torsi nella galleria del collezionista. E certo è utile, quando si scava,
procedere secondo un piano, ma è indispensabile un colpo di vanga cauto, a
tentoni, nella terra oscura. E ci si priva del meglio, se si effettua solo
l'inventario dei reperti e non si riesce a designare nel suolo attuale il luogo
in cui esso custodisce l'antico. Così i veri ricordi devono procedere molto
meno per resoconti che designare con precisione il luogo in cui il ricercatore
se ne impossessa. Quindi bisogna che il ricordo reale dia al contempo nel senso
più stretto epicamente e rapsodicamente un'immagine di colui che si ricorda,
come una buona descrizione archeologica non deve solo restituire gli strati da
cui originano i reperti, ma prima di tutto gli altri strati attraverso cui si è
dovuto precedentemente penetrare.
Walter Benjamin
Gesammelte Schriften, IV
Gesammelte Schriften, IV
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