13 dicembre 2012

DIALOGO IMMAGINARIO CON GRAMSCI




Non so quanti lettori di questo blog hanno seguito il dibattito sviluppatosi negli ultimi  mesi, sulle pagine culturali di giornali e periodici, sul cosiddetto nuovo realismo che avrebbe soppiantato in letteratura e in filosofia il pensiero debole che ha dominato gran parte della cultura contemporanea. In questo dibattito, insieme a tante mosche cocchiere, è circolata tanta aria fritta. Fa bene, pertanto, Paolo Pecere stamane a cercare di fare un po’ di chiarezza, immaginando di coinvolgere un pensatore d’altri tempi in questa fumosa querelle. 
f. v.

PAOLO PECERE – DIALOGO IMMAGINARIO CON GRAMSCI

Pausa caffè: mi appare il fantasma di Antonio Gramsci. Mi chiede spiegazioni sul “nuovo realismo” di cui si parla molto sui giornali italiani; con un gesto di preghiera, mi ricorda la battuta di Maurizio Ferraris:«è uno Spettro che si aggira per l’Europa!». La domanda è inevitabile. I convegni sul nuovo realismo si susseguono negli ultimi mesi al ritmo di urgenti vertici politici internazionali (New York, Torino, Bonn, Freiburg). Da ultimo se n’è parlato a Roma alla Fondazione Rosselli il 19-20 Novembre, a proposito di una batteria di libri tra cui Il senso dell’esistenza di Markus Gabriel (Carocci), La filosofia nell’età della scienza di Hilary Putnam (Il Mulino) e la miscellanea a cura di Mario De Caro e Maurizio Ferraris, Bentornata realtà (Einaudi). Nell’ultima sessione il discorso è passato sul piano politico, a partire da Quale filosofia per il Partito Democratico e la Sinistra? (a cura di Luca Taddio) e l’ultimo numero di Alfabeta2.
­Io (passandogli una bustina di zucchero): Conviene cominciare dal piano teorico. Di “nuovo realismo” in Italia ha parlato per la prima volta Ferraris, presentandolo come antidoto al decostruzionismo e al pensiero debole.
Gramsci tace. Tira fuori un quaderno dal cappotto e lo appoggia sul distributore del caffè. Annota ‘pensiero debole’, con l’aria poco convinta.
Io: Ci sarebbe la diatribatra Ferraris e il maestro Vattimo… ma lasciamo stare: fin qui è una questione di nicchia. Per chi (come te) non sia mai stato turbato dalle argomentazioni di qualche filosofo che ha preteso di dissolvere ogni verità in un gioco d’interpretazioni, il nuovo realismo può sembrare una difesa contro i mulini a vento. Ma in Bentornata realtà, ora, Ferraris e De Caro propongono un nuovo attacco che aiuta a far chiarezza: si tratta di recuperare nozioni come ‘verità’ e ‘realtà’ di contro a un ampio e eterogeneo movimento “postmoderno” internazionale che insistendo sul condizionamento culturale di ogni giudizio (da Kuhn a Foucault, da Feyerabend a Rorty) le ha ritenute obsolete, mettendo però in dubbio la validità oggettiva della scienza e minando le basi documentarie del giudizio storico. Riabilitare queste nozioni sarebbe indispensabile per poter esercitare quella stessa funzione di critica dei saperi e delle istituzioni che era cara al movimento postmoderno.
In questo senso il realismo, come chiarisce De Caro nel suo saggio, non è già una tesi particolare, ma piuttosto una funzione fondamentale della filosofia, a cui si è fatto male a rinunciare. Si è realisti quando si afferma che qualcosa – il corpo, la mente, i numeri, le specie, il narcisismo, le classi sociali, il bosone di Higgs, Dio – esiste indipendentemente dalle teorie con cui lo definiamo. Si potrebbe dire che ‘realismo’ è sinonimo di ‘filosofia’, da quando Platone tentò di stabilire ciò che «è veramente», provando a guardare oltre i limiti delle effettive conoscenze umane. L’antirealismo sarebbe invece un proposito paradossale, che non si può a rigore nemmeno formulare, proprio perché anche i suoi promotori credevano nella verità delle proprie tesi.
Gramsci (finisce il caffè e getta il bicchierino di plastica, fa per chiudere il quaderno pieno di nomi, m’incalza): Insomma: dogmatici contro scettici. Che cosa c’è di “nuovo”?
Io: Come mostra la presenza, in questo volume, di anziani maestri della filosofia delXX secolo (Putnam, Searle, Eco) qualche forma di realismo non è mai venuta meno. Lo saprai meglio di me, tu che hai polemizzato da marxista contro il realismo sovietico. Il “nuovo” realismo si propone però di assimilare la lezione costruttivista dei suoi avversari. Putnam: «noi siamo effettivamente in contatto con le proprietà degli oggetti […] ma queste proprietà sono in parte antropocentriche».«Ogni fatto è intrecciato con aspetti normativi». Esempio: le particelle atomiche sono definite da una teoria fisica, che trae il suo valore di verità dai fatti sperimentati, ma al tempo stesso organizza questi fatti secondo norme del pensiero umano, come la semplicità e la coerenza.
Altro esempio: la definizione di malattia dipende da schemi culturali (pensa alla passata medicalizzazione dell’omosessualità), ma al tempo stesso richiede un sottofondo oggettivo rispetto al quale distingueregli errori di questi schemi. Searle e De Caro provano così la quadratura del cerchio, individuando il problema comune nel trovare una prospettiva unitaria tra il “realismo del senso comune”, che ammette l’esistenza di oggetti postulati dalle “pratiche quotidiane”, come corpi e alberi, e il “realismo scientifico”, che considera reali le entità definite dalle scienze.
Searle: «Credo che il problema fondamentale della filosofia contemporanea consista nel tentativo di conciliare la nostra autorappresentazione di esseri coscienti, ragionevoli ecc., con la visione secondo cui la struttura della realtà è composta, in ultima analisi, da particelle fisiche prive di mente e di significato». Un modo di risolvere il problema è distinguere diverse descrizioni degli oggetti, tutte condizionate da una medesima realtà di fondo (lo «zoccolo duro dell’Essere» di cui parla Eco): così una falce e un martello possono essere alternativamente utensili, ammassi di molecole, prove di colpevolezza, opera d’arte, simbolo politico [a Gramsci brillano gli occhiali]. Ma non si possono interpretare come strumenti per viaggiare nel tempo: la realtà dice NO a questa interpretazione.
Gramsci (un po’ confuso): Siamo d’accordo: la Realtà con la R maiuscola è là fuori, non nei capricci dei letterati o nella poesia. Su questo sarebbe stato già d’accordo un critico militante come Francesco De Sanctis. Ma è dunque questa la tesi del nuovo realismo?
Io: No, questa è solo una premessa. I curatori citano Montale, un poeta dei tuoi tempi (che ti consiglio): «Il nuovo realismo dice anzitutto “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”». Il resto è per ora un programma. Tentando di stabilire cosa esiste veramente e in che senso, le tesi (e i “realismi”) si moltiplicano. De Caro: «mai nessun filosofo è stato del tutto realista e mai nessuno del tutto antirealista». Nelle pagine del libro trovo discusse almeno 19 versioni di “realismo”. Il programma, formulato un po’ in astratto, è di combinarli. In particolare, l’idea di realtà va elaborata mediante l’analisi e il confronto dei discorsi disciplinari più diversi, come estetica, semiotica, psicoanalisi, fisica, metafisica, neuroscienze.
Gramsci (finendo di scrivere e ripetendo pensoso “…neuroscienze”): Qui [mi punta l’indice] si dà troppo peso alla percezione, alle scienze e poco alla Storia. Quasi che la realtà fosse un dato atemporale, come in quella che ho chiamato «la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica». Si trascura così lo sviluppo attraverso cui l’uomo elabora e modifica la realtà.
Io: Siamo d’accordo: una volta concesso che una qualche Realtà è là fuori, nel senso che quel che accade non si crea poeticamente, è fondamentale riconoscere che la stessa idea di realtà ha una storia – come mostra, per esempio, l’impatto della scienza moderna su tutte le riflessioni qui raccolte. Ciò non comporta affatto il relativismo, mentre previene l’idolatria del “fatto” scientifico. Proprio un tuo contemporaneo, Cassirer, sottolineava che la verità oggettiva, intesa come perfetto rispecchiamento tra conoscenze e realtà, è un limite ideale cui tende per approssimazione il progresso dei sistemi di sapere, e che non si può dare mai una volta per tutte (Putnam, a p. 15, è sul punto di ricordarlo; e oggi i “realisti strutturali” fanno altrettanto)».
Gramsci (annotando su un quaderno il nome di Cassirer): Questo è molto importante! La consapevolezza storica, infatti, non significa solo che la realtà ha un passato, ma anche che ha un futuro. Forse, postulando una realtà immobile, perdono di vista questa discontinuità!
Io: A quest’obiezione, nel libro, dà voce Recalcati, contrapponendo la «regolarità» della realtà con il «trauma» del Reale, che la «scompagina». La distinzione resta ancora troppo generica (“Reale” è un sintomo, un amore, un’esperienza mistica, una scoperta scientifica…), ma invita a un chiarimento fondamentale: si dice ‘reale’ qualcosa di dato, presente, al limite risaputo; ma si dice ‘reale’ anche qualcosa di non ancora dato e ignoto, potenzialmente futuro. Si capisce allora come la formulazione di una nuova verità (una scoperta scientifica, una diagnosi medica, l’accertamento di un magistrato) possa modificare la realtà presente, e in fin dei conti cambiare l’esperienza.
Gramsci (esultando): …e cioè cambiare il mondo!
Io (facendo con la mano un vago gesto di assenso): Eccoci comunque all’aspetto politico della questione, che sta molto a cuore ai nuovi realisti. Ferraris opponeva il nuovo realismo al berlusconismo, che avrebbe approfittato della debolezza della nozione di verità per fare i propri interessi. Insieme a De Caro, ora, rivendica una funzione politica della filosofia: questa non fornirà mai «la cura del cancro», ma ha «la capacità di rivolgersi a uno spazio pubblico, consegnando a questo spazio risultati elaborati tecnicamente, però in forma linguisticamente accessibile». Quest’apologia della filosofia riflette uno stato di cose: i dipartimenti di filosofia qui da noi chiudono, e si cercano nuove strade per sottrarsi alla mortificazione cui la disciplina– come in genere tutto il pensiero critico – è costretta da politiche di governo ostili all’istruzione e alla ricerca. In questa proposta l’approfondimento scientifico nella sua inevitabile complessità non deve mai perdere di vista l’obiettivo didattico e civile della divulgazione (per es. sugli allegati dei quotidiani). Anche se…
Gramsci (interrompendomi): Purché non si cada nella semplificazione, proprio mentre indeboliscono la scuola e l’università. E poi… attenzione! Galilei si divulgava benissimo da solo.
Io: Come darti torto? D’altra parte, se è necessario stampare manifesti per reclamare un interlocutore politico, si capisce che vengano meno molti distinguo, come quando alle manifestazioni, sotto la bandiera che dice “Giustizia”, ci capita di trovarci accanto chi non la pensa come noi. Così il nuovo realismo cala sul tavolole sueparole d’ordine apertamente politiche: ‘critica’, ‘illuminismo’.
Gramsci (con aria scontenta): Ma come si fa a raccogliere questi valori sotto una formula come quella del Manifesto di Ferraris: «Il mondo ha le sue leggi e le fa rispettare»?
Io: I nuovi realisti rispondono che la realtà va prima conosciuta, per poterla cambiare. Si dissociano nettamente dal “realismo politico”.
Gramsci (schiarendosi la voce, con tono da comizio): Vedremo se questi filosofi riusciranno – come ho scritto una volta – ad assolvere il loro compito di «suscitare nuovi modi di pensare». Procedano pure al dialogo con le forze politiche, ma stiano attenti a non dimenticare che la “realtà” di cui parliamo si modifica, anche nelle scienze come la fisica… e l’economia.
Io (annuendo): Questo libro, dicono i curatori, intende «avviare un confronto»: c’è da auspicare che sia più ampio possibile, che non si blocchi alle polemiche personali, che insieme a eminenti studiosi del passato coinvolga anche chi nello “spazio pubblico” già lavora, spesso senza supporti istituzionali;che si torni a discutere di problemi specifici senza perdere di vista la capacità della filosofia di “guardare attraverso” le teorie e le narrazioni che descrivono la realtà semplificandola (In fondo, le bugie di Berlusconi non facevano leva proprio su questo? Sul togliere complessità presentando “una storia italiana” senza fratture e con una sola via d’uscita? E non dice oggi Monti – basandosi sulle “previsioni” dell’economia – che in realtà«la crisi ha colpito» e dunque il futuro è già scritto? Se un tale realismo fosse «inemendabile» non ci sarebbe tolto ogni futuro che non sia prolungamento del presente?)
Gramsci (stanco, ma finalmente soddisfatto): Ne parlerò su “L’Ordine Nuovo”.
Io: Da che anno vieni?
Gramsci (con aria fiera): Il 1921. Torno da Livorno. Abbiamo fondato il Partito Comunista d’Italia!
1921. Rabbrividisco. Tra un anno avrà cose ben più gravi di cui occuparsi. Tra cinque lo arresteranno. Gramsci chiude il quaderno, si stringe nel cappotto, poi dice:
Toglimi un’altra curiosità: che cos’è questo PD?


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