17 dicembre 2012

CHE FINE HA FATTO LA COSTITUZIONE?












Benigni ha indubbiamente ragione: la nostra Costituzione è una delle più belle che esistano al mondo. Ha un difetto però: non è quasi mai stata rispettata, soprattutto, da chi aveva il potere ed il dovere di farlo. Potete leggere, ad esempio,  sopra l’art. 34 della Legge fondamentale della nostra Repubblica. Conoscete un luogo, in Italia, dove tale norma è stata osservata?
Ma questo non è l’unico articolo della Costituzione rimasto lettera morta. Gran parte di essa è rimasta inattuata. Basti pensare alla fine che ha fatto il principio più avanzato contenuto in essa (l’art. 3).
Per tornare a parlare, anche in questo blog, della nostra Costituzione  recupero oggi un articolo di Adriano Prosperi, pubblicato lo scorso 24 novembre sul settimanale LEFT, in sintonia con quanto sostenuto da Settis nell’intervista che abbiamo ripreso qualche giorno fa.

Adriano Prosperi – Mentre il futuro si dilegua

 Nessuno finora si era spinto a scrivere sulle colonne di un autorevole quotidiano che la nostra Costituzione non è altro che «un puro totem ideologico» . Come dovrebbe essere evidente a tutti,  le formule “seconda Repubblica”, “terza Repubblica”, sono semplici invenzioni verbali. Riprendono la scansione della storia francese, che ha avuto diverse repubbliche (1792, 1848, 1871, 1946, 1958) perché ha cambiato ogni volta la sua legge fondamentale: la Costituzione. Con la quarta si passò dal regime parlamentare a quello semipresidenziale. Noi, in Italia, siamo ancora alla prima Repubblica e al sistema parlamentare, nonostante la corruzione dei partiti e i tentativi di tipo golpistico. Abbiamo ancora la stessa Costituzione, in vigore dal 1° gennaio 1948. Va detto che nessuno finora si era spinto fino a dire sulle colonne di un autorevole quotidiano che la Costituzione italiana non è altro che «un puro totem ideologico» (Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della sera, 19 novembre) e a proporre che il futuro governo metta all’ordine del giorno la modifica della Costituzione. Certo, se questo avvenisse allora ci sarebbe davvero il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Ma c’è chi la pensa diversamente: intorno a una proposta di Gustavo Zagrebelsky e di altri ha preso corpo un movimento di “cittadini per il bene comune”. Ed è proprio questa la sigla che leggiamo nel sottotitolo del recentissimo libro di Salvatore Settis, Azione popolare (Einaudi). Difficile riassumere il vigoroso e densissimo lavoro di Settis. Al centro, proprio la Costituzione: che per lui non è un totem ma un vero e proprio manifesto politico, ancora pienamente valido. L’unico difetto che ha è di essere rimasta inattuata. Ma se ripresa e posta al centro della battaglia politica la Costituzione può – deve – diventare «un’arma da usare contro chi ignora gli obblighi verso le generazioni future, sacrifica sull’altare del profitto i valori dell’eguaglianza e della giustizia sociale». Solo così, sostiene Settis,  si potrà ristabilire il legame interrotto tra passato e presente e aprire una prospettiva verso il futuro. Dominati dal potere invisibile della finanza e della tecnocrazia ma anche da quello fin troppo  visibile di politici e amministratori incapaci e/o corrotti, veniamo spossessati giorno dopo giorno di beni  comuni e di diritti in nome del vero totem dominante oggi – quello del mercato autoregolantesi. Le nostre città si impoveriscono a vista d’occhio, monumenti, opere d’arte, biblioteche, luoghi di incontro sono fagocitati da operazioni speculative, il paesaggio naturale è avvelenato e cementificato. E intanto svanisce il legame tra le generazioni, la profondità del passato si appiattisce in operazioni di artificiale nostalgia di assessorati e fabbricanti di immagini. Mentre il futuro si dilegua con lo scomparire delle speranze di studio e di lavoro dall’orizzonte dei giovani. Ne è risultato un orizzonte schiacciato sull’immobile ripetizione del presente, in cui abitiamo col senso di non essere più padroni della nostra vita. Solo tornando alle ragioni profonde che hanno iscritto nel cuore della nostra Costituzione i fondamenti dell’esercizio del diritto di cittadinanza si potrà recuperare il senso del futuro e riappropriarsi di quei beni comuni – l’aria, l’ambiente, il patrimonio culturale immenso del nostro Paese – che sono stati abbandonati o mercificati. è solo così che potremo ridare vita alla politica riempiendo di contenuti le agende dei partiti.

left 47 - 24 novembre 2012



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