Benigni ha indubbiamente ragione: la nostra Costituzione è una delle più belle che esistano al mondo. Ha un difetto però: non è quasi mai stata rispettata, soprattutto, da chi aveva il potere ed il dovere di farlo. Potete leggere, ad esempio, sopra l’art. 34 della Legge
fondamentale della nostra Repubblica. Conoscete un luogo, in Italia, dove tale norma è stata osservata?
Ma questo non è l’unico articolo della Costituzione rimasto lettera morta. Gran parte di essa è rimasta inattuata. Basti pensare alla fine che ha fatto il principio più avanzato contenuto in essa (l’art. 3).
Ma questo non è l’unico articolo della Costituzione rimasto lettera morta. Gran parte di essa è rimasta inattuata. Basti pensare alla fine che ha fatto il principio più avanzato contenuto in essa (l’art. 3).
Per tornare a parlare, anche in questo blog, della
nostra Costituzione recupero oggi un
articolo di Adriano Prosperi, pubblicato lo scorso 24 novembre sul settimanale
LEFT, in sintonia con quanto sostenuto da Settis nell’intervista che abbiamo
ripreso qualche giorno fa.
Adriano Prosperi – Mentre il
futuro si dilegua
Nessuno finora si
era spinto a scrivere sulle colonne di un autorevole quotidiano che la
nostra Costituzione non è altro che «un puro totem ideologico» . Come dovrebbe essere evidente a tutti, le
formule “seconda Repubblica”, “terza Repubblica”, sono semplici invenzioni
verbali. Riprendono la scansione della storia francese, che ha avuto diverse
repubbliche (1792, 1848, 1871, 1946, 1958) perché ha cambiato ogni volta la sua
legge fondamentale: la Costituzione. Con la quarta si passò dal regime
parlamentare a quello semipresidenziale. Noi, in Italia, siamo ancora alla
prima Repubblica e al sistema parlamentare, nonostante la corruzione dei
partiti e i tentativi di tipo golpistico. Abbiamo ancora la stessa
Costituzione, in vigore dal 1° gennaio 1948. Va detto che nessuno finora si era
spinto fino a dire sulle colonne di un autorevole quotidiano che la
Costituzione italiana non è altro che «un puro totem ideologico» (Ernesto Galli
Della Loggia, Corriere della sera, 19 novembre) e a proporre che il futuro
governo metta all’ordine del giorno la modifica della Costituzione. Certo, se
questo avvenisse allora ci sarebbe davvero il passaggio dalla prima alla
seconda Repubblica. Ma c’è chi la pensa diversamente: intorno a una proposta di
Gustavo Zagrebelsky e di altri ha preso corpo un movimento di “cittadini per il
bene comune”. Ed è proprio questa la sigla che leggiamo nel sottotitolo del
recentissimo libro di Salvatore Settis, Azione popolare (Einaudi). Difficile
riassumere il vigoroso e densissimo lavoro di Settis. Al centro, proprio la
Costituzione: che per lui non è un totem ma un vero e proprio manifesto
politico, ancora pienamente valido. L’unico difetto che ha è di essere rimasta
inattuata. Ma se ripresa e posta al centro della battaglia politica la
Costituzione può – deve – diventare «un’arma da usare contro chi ignora gli
obblighi verso le generazioni future, sacrifica sull’altare del profitto i
valori dell’eguaglianza e della giustizia sociale». Solo così, sostiene
Settis, si potrà ristabilire il legame interrotto tra passato e presente
e aprire una prospettiva verso il futuro. Dominati dal potere invisibile della
finanza e della tecnocrazia ma anche da quello fin troppo visibile di
politici e amministratori incapaci e/o corrotti, veniamo spossessati giorno
dopo giorno di beni comuni e di diritti in nome del vero totem dominante
oggi – quello del mercato autoregolantesi. Le nostre città si impoveriscono a
vista d’occhio, monumenti, opere d’arte, biblioteche, luoghi di incontro sono
fagocitati da operazioni speculative, il paesaggio naturale è avvelenato e
cementificato. E intanto svanisce il legame tra le generazioni, la profondità
del passato si appiattisce in operazioni di artificiale nostalgia di
assessorati e fabbricanti di immagini. Mentre il futuro si dilegua con lo
scomparire delle speranze di studio e di lavoro dall’orizzonte dei giovani. Ne
è risultato un orizzonte schiacciato sull’immobile ripetizione del presente, in
cui abitiamo col senso di non essere più padroni della nostra vita. Solo
tornando alle ragioni profonde che hanno iscritto nel cuore della nostra
Costituzione i fondamenti dell’esercizio del diritto di cittadinanza si potrà
recuperare il senso del futuro e riappropriarsi di quei beni comuni – l’aria,
l’ambiente, il patrimonio culturale immenso del nostro Paese – che sono stati
abbandonati o mercificati. è solo così che potremo ridare vita alla politica
riempiendo di contenuti le agende dei partiti.
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