Il Tradimento dei chierici di Julien Benda, nonostante i suoi quasi 90 anni (uscì nel 1927), rappresenta ancora oggi un punto di partenza fondamentale per chiunque voglia trattare del rapporto fra intellettuali e potere. Lo conferma anche il volume appena uscito nelle librerie italiane di cui pubblichiamo una recensione:
Lorenzo Mondo - Da Voltaire al 900 gli intellettuali davanti al potere
Come deve comportarsi lo scrittore nei confronti della vita politica e di
chi detiene le leve del potere? Come atteggiarsi davanti a quello che, con
parola piuttosto obsoleta, si definisce «impegno»? Le diverse opzioni, e il
loro accidentato percorso negli ultimi tre secoli, in cui prende forma la
modernità, sono oggetto di un appassionante saggio di Lionello Sozzi: Cultura e
potere, che reca come sottotitolo L’impegno dei letterati da Voltaire a Sartre
al dibattito novecentesco (Guida, pp. 174, € 13). Sozzi è un eminente
francesista ma, pur avvantaggiandosi dei decisivi contributi offerti al
dibattito in terra di Francia, conferisce alla sua indagine un largo profilo
europeo, dedicando all’Italia una speciale attenzione).
Voltaire dunque, che nelle sue battaglie per la libertà e contro
l’oscurantismo viene a patti con il potere assoluto, illudendosi (e non è il
solo tra i philosophes) di correggerlo con i «lumi» della ragione. La sua lunga
frequentazione di Federico II si chiuderà con un amaro e mordace disincanto,
quando capirà di essersi ridotto a correttore dei versi che il sovrano gli
sottoponeva con «frenetico ritmo». Antitetica, e in modo radicale, la posizione
di Alfieri che proclama la saldatura insopprimibile tra cultura e libertà,
condannando non soltanto le compromissioni con il mecenatismo ma ogni
collaborazione con il «principe».
Sono atteggiamenti che prendono timbro e coloritura in tempi di conclamata
tirannide ma trovano proiezione anche nel futuro. Ad esempio, sembra a Sozzi
che la posizione di Alfieri anticipi il «disimpegno» professato da Julien Benda
nella Trahison des clercs: «In qualsiasi clima politico, sotto qualsiasi forma
di potere, il compito del clerc, termine medievale che Benda preferisce a
intellectuel (...) deve indurlo a porsi, in un certo senso, fuori del tempo,
fuori della storia, ad operare in qualità di “custode dei valori”, valori universali
ed eterni». Ma quando questi vengono violati, non sarà giusto prendere partito,
schierarsi con chi li difende opponendosi a ogni sorta di prevaricazione? Come
non consentire al rovente J’accuse scagliato da Zola, ai tempi dell’affare
Dreyfus, contro militarismo e razzismo?
È il dilemma che turba gli scrittori di buona coscienza, che induce un Hugo
a dividersi tra il poeta che tiene i piedi per terra e quello che rivolge gli
occhi al cielo dell’ideale. Anche se, e qui il discorso si complica, occorrerà
confrontare il comportamento dell’uomo e dello scrittore, il riflesso del suo
impegno civile nell’opera creativa. (In fondo, non occorreva essere uno
scrittore, sia pure così autorevole, per riconoscere l’innocenza di Dreyfus).
Resta poi, connaturato all’impegno, il rischio di battersi per un contropotere
che si rivelerà altrettanto tirannico e funesto. Significativa la parabola di
un Sartre, che nega ogni autonomia alla produzione letteraria, trasformando lo
scrittore in portavoce della classe operaia: fino ad accusare Baudelaire e
Flaubert di bieca connivenza con la borghesia, fino ad assolvere l’Unione
Sovietica e la civiltà dei Gulag. Quanto luminosa, al confronto, la posizione
di un Benda (non a caso apprezzata, con tutti i suoi limiti, da Norberto
Bobbio).
Ma esiste un altro disimpegno, diverso da quello che si affida alla
sorveglianza e alla critica dell’esistente. Immune dalle passioni politiche e
dalle infatuazioni storicistiche, Proust esalta una letteratura che sia
rivelazione, scoperta dell’«essenza permanente e abitualmente nascosta delle
cose», che garantisca il recupero, come dirà Pavese, del mito e dei valori
ancestrali. Sostiene Sozzi che l’intellettuale può muoversi, con pari dignità,
sul piano «orizzontale, cioè quello della verità oggettiva dei fatti e del loro
significato» e sul piano della «verticalità, della verità da indagare en
profondeur negli spazi dell’io, ove un’esile fiamma va pur sempre difesa. (...)
Forse è questo il modo migliore di conciliare impegno e disimpegno». Si chiude
così la sua lucida e intrigante disamina. Ovviamente, per quanto riguarda
l’opera creativa, l’importanza delle rispettive intuizioni e scoperte va
misurata, al di là dei pur generosi impulsi, nella decantazione della
scrittura.
(Da: La
Stampa del 20 dicembre 2012)
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