Sul sito http://www.nazioneindiana.com ho trovato stamattina un pezzo che offre spunti interessanti per riuscire a scrivere in modo diverso la storia:
Pubblichiamo di seguito la traduzione di una parte del prologo scritto da Reinaldo Arenas in contemporanea, si presume, alla revisione del romanzo El mundo alucinante, un atto di difesa della propria visione poetica della Storia, fatta di storie incastrate in un frenetico e semplice fluire del tempo. Nella speranza di vedere presto un’edizione italiana delle sue prime opere, mi scuso per gli eventuali errori di traduzione, e ringrazio Fabio Burani per l’aiuto.
[…] Ho sempre diffidato del dato “storico”, di questo elemento “minuzioso e preciso”. Perché, alla fine, cos’è la Storia? Una serie di fascicoli ordinati più o meno cronologicamente? […] Gli impulsi, le ragioni, le segrete percezioni che sollecitano (formano) un uomo non appaiono, non possono essere colti dalla Storia, così come il chirurgo non comprenderà mai il dolore di un uomo che soffre.
La Storia registra la data di una battaglia, i morti che ci hanno mostrato la stessa cosa, cioè l’evidenza. Questi temibili scartafacci riassumono (ed è sufficiente) ciò che è fugace. L’effetto, e non la causa. Per questo, più che nella Storia, io frugo nel tempo. In questo tempo incessante e diverso, un buco nella sua metafora. Perché l’uomo, tirate le somme, è la metafora della Storia, una sua vittima, anche quando, apparentemente, provi a modificarla e, secondo alcuni, vi riesca. Generalmente gli storici guardano al tempo come qualcosa di lineare e di per sé infinito. Ma quali prove dimostrano che è così? L’elementare ragionamento che il 1500 è precedente alla decapitazione di Maria Antonietta? Come se il tempo traesse qualche utilità da tali segni, come se il tempo si intendesse di cronologia, di progressi, come se il tempo potesse evolvere… Davanti all’ingenuità dell’uomo che cerca di sfogliarlo, schedandolo, con un’intenzione progressiva, e perfino “progressista”, il tempo, semplicemente, si oppone. D’altra parte, come schedare l’infinito? Però l’uomo non si rassegna a questo timore, e dunque l’incessante invasione di codici, date, calende, etc. I suoi progressi… Quello che ci sorprende quando nel tempo incontriamo, in qualunque tempo, un personaggio autentico, lacerante, è proprio la sua atemporalità, e cioè, la sua attualità; la sua condizione di eterno. Perché eterno – e non storico – è Achille con la sua collera e il suo amore, indipendentemente dal fatto che sia esistito o meno; come eterno sarà Cristo a causa della sua impraticabile filosofia, che la Storia ne prenda nota o meno. Queste metafore, queste immagini, appartengono all’eternità.
Credo che l’infinito non sia né lineare né evidente, poiché vedere la realtà come una sfilata o una fotografia è osservare, in verità, qualcosa di molto distante dalla realtà. Per questo, il cosiddetto realismo mi sembra esattamente il suo contrario. Dal momento che, nel tentativo di sottomettere questa realtà, di incasellarla, di osservarla da una sola prospettiva (“il realista”) finisce per perderne la percezione completa.
Inoltre, ultimamente, non solo ci ritroviamo (soffriamo) il realismo, ma addirittura il realismo-socialista, cosicché la realtà non solo è osservata da una sola prospettiva, ma da una prospettiva politica. Quale realtà, da questa prospettiva e visuale, dovranno rassegnarsi a registrare (e a vivere) le vittime di questa forma di realismo…? Sinceramente, se dobbiamo parlare di opere realiste socialiste, possiamo ricordare solo i romanzi di Aleksàndr Solženicyn. Essi, almeno, riflettono parte di una realtà socialista, la più evidente e superficiale: i campi di concentramento.
Non mi stancherò di scoprire che l’albero delle sei della mattina non è quello di mezzogiorno, né quello il cui profilo ci consola al crepuscolo. E questa brezza che avanza nella notte, può essere la stessa della mattina? E l’acqua salmastra, che all’imbrunire il nuotatore solca tagliandola come torta, è forse la stessa del mezzogiorno? Dal momento che il tempo influisce, in modo così evidente, su un albero o un paesaggio, noi, le creature più sensibili, restiamo davvero noi stessi, immuni a tali segnali? Io credo fermamente il contrario: siamo crudeli e gentili, egoisti e generosi, terribili e sublimi, come il mare… Perciò, forse, in quel poco che ho fatto, e di ciò che ho fatto, e per quel poco che mi riguarda, ho provato a rispecchiare non una realtà, ma tutte le realtà, o per lo meno alcune.
Chi, per truculenza del caso, leggerà qualche mio libro, non troverà una contraddizione, ma tante; non uno stile, ma molti; non una linea, ma vari cerchi. Per questo non credo che i miei romanzi possano leggersi come il racconto di avvenimenti concatenati, bensì come onde che si espandono, ritornano, si ingrossano, rientrano, più lievi, più ardenti; incessanti, nel bel mezzo di situazioni così estreme che da tanto intollerabili risultano a volte liberatorie.
E penso che anche la vita sia così. Non un dogma, non un codice, non una storia, ma un mistero da aggredire da più fronti. E non con lo scopo di sviscerarla (sarebbe orribile), ma con il fine di non darci mai per sconfitti.
Ed è in questo contesto, quello di vittima inconsolabile e infaticabile della Storia, del tempo, che il nostro amato Fra’ Servando trova la sua corretta ubicazione. Egli giustifica e motiva questa specie di poema informe e disperato, questa menzogna torrenziale e galoppante, irriverente e grottesca, afflitta e amorevole, questo (bisogna pur identificarlo in qualche modo) romanzo.
Reinaldo Arenas.
Caracas,
13 luglio 1980.
P.S. : Il testo di Reinaldo Arenas, sopra riportato, mi ricorda una pagina di uno dei libri più belli di Leonardo Sciascia che mi piace ricordare:
“
Tutta un’impostura. La storia non esiste. Forse che esistono le generazioni di
foglie che sono andate via da quell’albero, un autunno appresso all’altro?
Esiste l’albero, esistono le sue foglie nuove: poi anche queste foglie se ne
andranno e a un certo punto se ne andrà anche l’albero: in fumo, in cenere. La
storia delle foglie, la storia dell’albero. Fesserie! Se ogni foglia scrivesse
la sua storia se quest’albero scrivesse la sua, allora diremmo: eh sì la
storia…Vostro nonno ha scritto la sua storia ? E vostro padre? E il mio ? E i
nostri avoli e trisavoli? Sono discesi a marcire nella terra né più né meno che
come foglie, senza lasciare storia… c’è ancora l’albero, sì ,ci siamo noi come
foglie nuove... Ce ne andremo anche noi. L’albero che resterà, se resterà, può
anche essere segato ramo a ramo: il re, i viceré, i papi, i capitani; i grandi
insomma… Facciamone un po’ di fuoco, un po’ di fumo: ad illudere i popoli, le
nazioni, l’umanità vivente…La storia! E mio padre? E vostro padre? E il
gorgoglio delle loro viscere vuote? E la voce della loro fame? Credete che si
sentirà nella storia? Che ci sarà uno storico che avrà orecchio talmente fino
da sentirlo ?”
Leonardo
Sciascia, Il Consiglio d’Egitto
Le parole di Reinaldo Arenas mi ricordano tanto quelle scritte da Sciascia ne "Il Consiglio d'Egitto".
RispondiEliminaF. Virga