08 dicembre 2012

RENATO GUTTUSO A PALERMO







Chi ci segue sa quanto amiamo la pittura di Renato Guttuso. Anche per questo gli abbiamo dato spazio in questo blog. Oggi vogliamo riprendere l’articolo di un addetto ai lavori che ieri, nelle pagine palermitane di Repubblica, ha evidenziato l'atteggiamento schizofrenico che la città di Palermo ha mostrato nei confronti del grande maestro.

SERGIO TROISI – PALAZZO RISO INTESTATO AL MAESTRO BAGHERESE


Riso, il museo d’arte contemporanea della Regione, cambia, dunque, nome, e verrà intestato a Renato Guttuso. Cambia anche identità e raggio d’azione, e prenderà la denominazione di museo d’arte moderna e contemporanea, coerentemente col disegno di legge che lo istituiva e in modo conseguente vista la intitolazione a un artista la cui parabola è per intero compresa nell’arco del Novecento. Detto così, sembra soltanto l’ultimo atto della lunga scia di polemiche che da un anno a questa parte ha coinvolto la struttura di corso Vittorio Emanuele compromettendone attività e credibilità; in realtà dietro questa scelta si intravede anche altro: la diffidenza antica di larga parte delle istituzioni culturali cittadine nei confronti dei linguaggi della contemporaneità da un lato e, dall’altro, il rapporto mai veramente affrontato e risolto con l’opera e l’eredità culturale del pittore di Bagheria.

Due piani inevitabilmente intrecciati, visto che il sospetto nei confronti dell’arte contemporanea attraversa buona parte del secolo scorso con l’eccezione di alcuni momenti specifici, ed è alla radice per esempio della presenza sporadica del Novecento siciliano nelle collezioni pubbliche, dalle esperienze degli anni Sessanta via via arretrando verso la stagione del futurismo e includendo in questa mancata musealizzazione lo stesso Guttuso, che infatti a Palermo, almeno negli spazi pubblici, è presente con un numero esiguo di opere.

Proviamo a enumerarle: alla Gam si trovano solo l’importante autoritratto del ’36 e un Nudo del ’60, allo Steri la Vucciria, nella collezione della Regione quattro dipinti non fruibili perché collocati nelle sale di Palazzo d’Orleans o in altri uffici. Poi poco altro: le testimonianze più significative sono i grandi pannelli di “Sicilia” già collocati nella sede del Banco di Sicilia in via Ruggero Settimo, e le vetrate poco note nella sede ora Banca Intesa San Paolo di via Mariano Stabile. Più organiche alcune raccolte private, a partire da quella storica di Lia e Guglielmo Pasqualino con gli splendidi dipinti drammatici degli anni Trenta; mentre quando, di recente, un’altra collezione storica come quella di Nino Sofia è stata parzialmente dispersa, un’opera importante come il “Palinuro” del ’31 messo all’asta non ha trovato nessun ente pubblico in grado di farsi avanti per acquisirlo, nonostante in un primo momento l’opera fosse rimasta invenduta.

Nell’anno ormai in scadenza in cui si celebra il centenario, la nuova titolazione può quindi apparire un risarcimento tardivo, considerando anche che l’ultima mostra significativa risale all’ormai lontano 1985, quando la Provincia organizzò a Palazzo Comitini una rassegna dedicata a Guttuso e la Sicilia con opere dal 1970. Però, nel frattempo, nella galleria comunale di Bagheria di Villa Cattolica tre grandi mostre (nel 1987, 2003 e 2007) hanno ripercorso per intero con una documentazione imponente e prestiti prestigiosi, l’intera produzione dell’artista.

Paragone che potrebbe essere imbarazzante per il nuovo museo, visto che quello di Bagheria reca come nome ufficiale Galleria d’arte moderna e contemporanea “Renato Guttuso”: dizione identica a quella assunta adesso da Riso a dispetto di ogni strategia mirante a rendere immediatamente riconoscibile una identità e un brand: non sarà facile spiegare, ad esempio in occasione di richieste di prestito o progetti con fondi europei, che due musei a venti chilometri di distanza si chiamano col medesimo nome e hanno una diversa fisionomia giuridica, anche perché, a differenza
di Villa Cattolica che possiede come è noto una sia pure diseguale collezione di dipinti dell’artista frutto di una donazione, il nuovo Museo Guttuso invece ne è privo, a meno che la mutata dizione in museo d’arte moderna e contemporanea non renda possibile la collocazione in pianta stabile delle quattro opere di proprietà della Regione: i Tetti di Roma attualmente
in mostra al Vittoriano, un paesaggio di Bagheria del ‘53, un altro paesaggio forse di Torre del Greco del ‘55, una Donna che scende le scale della fine dei Sessanta.

Saranno sufficienti quattro opere a giustificare il nuovo nome o il visitatore, varcata la soglia di Palazzo Riso e presa visione della targa, si attenderà lecitamente di potere ammirare una collezione più nutrita? E poi, è davvero così semplice fare convivere negli stessi spazi moderno e contemporaneo? In realtà le esperienze recenti hanno da tempo individuato strategie di indagine e espositive diverse se riferite all’arte moderna o contemporanea, caratterizzata come è noto da codici, strumenti e linguaggi che necessitano di una specifica spazialità.
E allora: ha senso intitolare a Guttuso un museo nato per l’arte contemporanea, e come tale già protagonista di un piano di importanti acquisizioni mirate e di una stagione breve di attività comunque significativa, che si è proposto come interlocutore nei confronti di musei, curatori, artisti e pubblico con il nome — conciso ed efficace di Riso?
Discussione aperta, che sarebbe stato auspicabile portare a un dibattito ampio anziché imporre come un blitz. È probabile che dietro questa scelta si agiti l’equivoco di un artista assunto a feticcio rassicurante, celebrato nei suoi fraintesi elementi agiografici e al contrario in gran parte rimosso nella sua figurazione problematica e persino contraddittoria, anche nella produzione tarda degli anni cui era spesso presente a Palermo nella residenza settecentesca di Palazzo Galati di via Ruggiero Settimo. A proposito: lì nessuna autorità, nell’anno del centenario, ha proposto di apporre una targa. In psicoanalisi, si chiama atto mancato.










1 commento:

  1. Da rileggere il profilo di Guttuso fatto da Vincenzo Consolo e pubblicato mesi fa in questo stesso blog

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