24 maggio 2022

CI VORREBBE UN ALTRO BERLINGUER!

 

Enrico Berlinguer (1922-1984)




BERLINGUER TI VOGLIAMO ANCORA BENE

Luciana Castellina

"Enrico è stato il primo comunista che ho conosciuto, forse il secondo. Ho un ricordo nitido del nostro primo incontro: timido, austero, con quel rigore che caratterizza la sardità. Ma non riesco a liberarmi dal senso di dolore e sgomento dell'ultima volta, quando lo vidi nell'ospedale di Padova ormai senza coscienza. Un'immagine che ancora mi accompagna". Luciana Castellina sembra indifferente agli agguati della vecchiaia, il bel volto ancora perfettamente disegnato, la voce importante di chi è abituato a parlare nelle piazze. Ad agosto compie 93 anni, molti dei quali trascorsi in accordo e disaccordo con Berlinguer, il segretario del Pci di cui il 25 maggio ricorre il centenario della nascita. "Il nostro è stato un rapporto anomalo. È lui che ci ha cacciati dal partito nel 1969. Ed è lui che ha insistito nell'84 perché noi del Manifesto vi ritornassimo. La sua scomparsa ha segnato il nostro destino, e quello della storia del paese".

Era timido?

"Non so se fosse timidezza o scarsa abitudine a stare con gli altri. Mi apparve subito meno socievole del fratello Giovanni, che avevo conosciuto a casa mia insieme al loro padre, un avvocato antifascista amico del mio patrigno. Enrico sembrava più chiuso. La sua ironia l'avrei scoperta più tardi".

Che cos'era la sua ironia?

"Un tono scherzoso, che gli evitava le rotture sul piano personale. Anche nei momenti più difficili sapeva alleggerire. E nella distanza politica la sua ironia impediva che la contrapposizione degenerasse in uno scontro violento".

La timidezza traspare anche davanti al suo popolo in festa. Sembra sempre un po' a disagio, non alza mai il pugno. L'esatto contrario del tribuno populista.

"Questo è vero. Ma, attenzione, la sobrietà era una cifra dei dirigenti comunisti. Togliatti parlava come un professore di liceo, Enrico con uno stile scabro, asciutto. Mi ricordo una donna vicino a me ai suoi immensi funerali. Mi disse: nei suoi discorsi non ci sono mai i fronzoli, si vede che è sincero. Nel Pci non si gridava. Sia Togliatti che Berlinguer si sarebbero vergognati a usare toni urlati o a far leva sugli istinti più bassi".

Fu lui a scegliere come icona femminile la santa martire Maria Goretti, vittima di un omicidio a seguito di un tentativo di stupro.

"Sì, proprio lui. Ma non per puritanesimo sessuale. La scelse perché incarnava il valore della resistenza, per di più era cattolica. Certo, il partito all'epoca era molto bacchettone. Ricordo la faccia che aveva fatto Enrico a Praga, quando chiesi ospitalità a Bubi Campos Venuti, futuro urbanista, per un bucato. Dividevano la stessa stanza e Berlinguer restò perplesso davanti al filo steso con le mie mutandine. Dovetti combattere non poco all'interno di Botteghe Oscure per conquistare un rapporto più moderno tra uomini e donne".

Ma sul biliardino era più avanti Berlinguer.

"Una parte di noi difendeva la natura politica dei nostri circoli, escludendone il profilo ricreativo. Ma Enrico aveva capito che mentre i giovani cattolici potevano disporre dei giochi in oratorio, i nostri militanti - per larghissima parte contadini poverissimi - sarebbero rimasti esclusi da ogni divertimento. Così ci impose il calciobalilla nelle sezioni del Fgci".

Lei prima ha detto che fu Berlinguer a espellere gli eretici del "Manifesto" nel 1969. In realtà tentò in tutti i modi di mediare.

"Cercò di trattenerci, consentendoci il dissenso all'interno del Pci a condizione però che rinunciassimo alla nostra rivista. Non voleva che anche i filosovietici facessero il loro giornale, cosa che gli metteva molta più paura. Noi non cedemmo e il partito ci espulse. Lui all'epoca era il vicesegretario, destinato a succedere a Longo".

Ma non ci fu una rottura sul piano personale.

"No, con Enrico non ci furono mai toni aspri. Questo era il tratto umano a cui facevo riferimento prima. Anche durante i conflitti più accesi tra ingraiani e amendoliani evitava di schierarsi. Ma non certo per opportunismo. Aveva una sua forma di disciplina fortemente interiorizzata. E non assumeva atteggiamenti che avrebbero potuto incrinare l'unità del partito".

Lei era a Trieste quando fu colpito da ictus durante un comizio in piazza delle Erbe a Padova.

"Partimmo l'indomani all'alba con Tortorella. Lo vidi sul letto intubato, accanto i figli ancora piccoli. Non sono mai riuscita a liberarmi da quell'immagine di dolore e sgomento. Fu per me un lutto personale e un lutto politico. Con la perdita di Enrico tramontava il nostro progetto comune".

Ancora si discute dei limiti della sua azione politica e delle sue fondamentali aperture. Ma a distanza di tanti anni resta indiscutibile la tempra morale. E la coerenza.

"Sì, anche tra i più giovani è ancora molto viva la sua immagine di onestà e di integrità morale. Per tutti noi la politica è stata innanzitutto "la scoperta degli altri", e questo continua ad affascinare molto i ragazzi".

(dall'intervista di Simonetta Fiori a Luciana Castellina pubblicata su La Repubblica del 24 maggio 2022)


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