22 maggio 2022

L' OSSO E L' ANIMA di BARTOLO CATTAFI

 


E’ uscita da poco per la collana “novecento/duemila” delle Lettere una nuova edizione di uno dei libri più belli, necessari e dirompenti della poesia italiana del secondo Novecento: L’osso, l’anima di Bartolo Cattafi, originariamente apparso nel 1964. Lo cura, con la consueta attenzione e dedizione al “suo” autore , il condirettore di collana Diego Bertelli, che qualche anno fa ha curato anche l’edizione di Tutte le poesie di Cattafi. Propongo volentieri alcune poesie del libro seguite da un estratto del saggio finale di Bertelli. Rileggiamo Cattafi. (Massimo Gezzi).

Pezzo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/?p=44205


Da L’osso, l’anima di Bartolo Cattafi

 

Qualcosa di preciso

Con un forte profilo,
secco, bello, scattante,
qualcosa di preciso
fatto d’acciaio o d’altro
che abbia fredde luci.
E là, sul filo della macchina, l’oltraggio

d’una minima stella rugginosa

che più corrode e corrompe più s’oscura.

Un punto da chiarire, sangue
d’uomo, briciola
vile oppure grumo

perenne, blocco di coraggio.

 

Favola

 

Era una zona franca, senza reti

d’ascisse d’ordinate.
L’insetto impazzì. Visse
da solo, ronzando nella bianca

libertà, rimpiangendo iridati

pericoli di morte.

 

Un prisma

 

Man mano che giungevano alla mente

erano ben disposte, illuminate.
Vi furono scosse, trambusto, quei colori

che dividono le cose

divennero indistinti.
La vita porta disordine, dolore.

Colpimmo all’impazzata
finché durò la carica al congegno.

Rovistando – inventario
di cocci, osservazione
di perduti pianeti, rimembrare
parole lontane in mezzo ai libri –,
ci ferimmo col filo
tagliente dell’errore.
Avemmo sempre un triste intermediario

un prisma dalle troppe divergenze.

 

Da qui non puoi

 

Da qui non puoi vederlo

devi ancora salire
o scendere gradini:

rotola perduto,

spinto da qualche vento sulla sabbia

sull’acqua trascorsa
della tua clessidra.
Intanto ami, abbracci, ignori

perché di là dal morbido, dal tenero, dal caldo

avverti un’ambigua rigidezza.
Non sai ch’è morto e ignori
l’anima aguzza, d’acciaio,

che ti scruta e attende
il come il quando il dove.

 

Ipotesi

 

Avanzammo le ipotesi migliori.

Non ressero,
al lume dei fatti
andarono in frantumi.

Avanzammo le altre, le peggiori.

La mente è un’abile

astuta acrobata. Teme l’abisso, il vuoto.

Ricompose col mastice i frantumi.

 

Al mercato

 

C’è un calmiere che regola i rapporti

col prossimo tuo e con te stesso.
Sei solo e vinto,
debole, deforme,

devi andare al mercato.

Stordirti e scegliere
le voci nel brusio.

Stipulare contratti,

vendere, comprare

i beni che consumano la vita.

 

Delle pene

 

Alla prova dei fatti
non ci fu di che essere allegri:
torti, errori, viltà,
debolezze del cuore,
insanie che inquinarono la mente.

Pagammo in disparte nascondendo
le voci, l’ammontare,
i conti d’impossibile chiusura.

Vorremmo un’era
forte, aperta, precisa,
di pubblica chiarezza per le pene.
Non più pagare mediante equivalenze,

con conguagli privati, silenziosi,
ma tormenti, tenaglie squillanti

maschera gogna ruota rogo.
Visibile a tutta la città
la corda che ci tira per il collo.

 

Anabasi

 

Aruspici ed auguri s’opposero.
Sulla soglia un piede s’impuntò,nel viaggio

avemmo presagi che solo pochi ignorano.

Anabasi e non un’ombra
di rimpianto per i calmi
quartieri, l’estivo

l’invernale.



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