06 maggio 2022

PER LA PACE CON ALDO CAPITINI

 


Dove si ferma il pacifismo

Annamaria Manzoni
06 Maggio 2022

Il grido non ascoltato contro la guerra e contro l’invio delle armi in Ucraina trova nel pensiero e nelle esperienze di Aldo Capitini uno straordinario riferimento. Tra le manifestazioni del suo andare controcorrente, per cui fu isolato, ci fu, oggi a quanto pare rimossa, la sua adesione al vegetarismo, in tempi in cui, in Italia, il concetto era sconosciuto. Quella scelta maturò, non per caso, in pieno regime fascista. “Oggi non ci sono prezzi quantificabili da pagare per una scelta vegana – scrive Annamaria Manzoni -, ma l’ideale di un’armonia cosmica continua a essere ritenuto minaccioso, per il suo attacco mortale all’antropocentrismo e a tutti i rapporti di potere…”

“Chi è nonviolento è portato ad avere simpatia particolare
con le vittime della realtà attuale, i colpiti dalle ingiustizie,
dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati,
i miti e i silenziosi, e perciò tende a compensare queste persone
ed ogni altro essere (anche il gatto malato e sfuggito)
con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia
del mondo ottenuta buttando via le vittime”.

In questi dannati tempi di guerra, la riproposizione della marcia Perugia-Assisi ha assunto una valenza più forte del solito: quello che, “dalle nostre parti”, sembrava per sempre superato, ci sta invadendo con la furia di un incubo, da cui ci si aspetta inutilmente un risveglio salvifico che ci rimmetta nel mondo che credevamo fosse il nostro. E così quella che da oltre sessant’anni sembrava avere il sapore di una celebrazione, capace di onorare i valori della pace e della nonviolenza in un’atmosfera festosa, è diventa oggi una marcia definita straordinaria in tutti i sensi: fuori dall’ordinario di un omaggio routinario alla pace; appello drammatico a che la ragione umana, esaltata come certezza fin dagli albori dell’illuminismo, torni a essere il navigatore di riferimento; richiamo angosciato alla intollerabilità degli orrori in atto.

Nella tragica immersione in questo presente che neppure la peggio distopia aveva immaginato, sembra però offuscato il richiamo all’origine di questa marcia, che si deve ad Aldo Capitini, il “Gandhi italiano”, che sono in tanti a non ricordare: filosofo della nonviolenza, pensatore libero e precursore dei tempi, pronto ad abbracciare ogni causa di libertà e di giustizia, ben oltre le possibilità di comprensione della gente del suo tempo (e, ahimè, dei tempi che sarebbero venuti dopo), sempre contro corrente, all’epoca del fascismo a cui si oppose strenuamente quando era pericoloso farlo, ma anche nell’epoca post-fascista quando si rifiutò di iscriversi a qualunque partito. E se l’opposizione al fascismo poteva fare di lui un’icona, l’opposizione allo strapotere dei partiti venne vista come molto più imbarazzante, per le critiche implicite che conteneva.

Tra le manifestazioni del suo andare controcorrente ci fu, oggi a quanto pare rimossa, la sua adesione al vegetarismo, in tempi in cui, in Italia, persino il concetto era pressoché sconosciuto: lo decise nel 1932, in pieno regime fascista, in ossequio alla sua opposizione al clima di sopraffazione in atto e di preparazione ad una nuova guerra. Sua precisa convinzione era essere la violenza sugli animali parte integrante di tutte le altre forme di violenza: combatterla, evitando quindi anche di ucciderli per l’alimentazione, era un elemento fondamentale del rifiuto ad uccidere gli umani.

La sua battaglia per la nonviolenza applicata anche alla relazione con i nonumani divenne basilare nel suo pacifismo, e lo portò molti anni più tardi a fondare la Società Vegetariana (poi Associazione Vegetariana) e a organizzare nel 1952 a Perugia, insieme a Edmondo Marcucci, un convegno dal titolo “La nonviolenza riguardo al mondo animale e vegetale”.

Stupefacente la modernità del suo pensiero innovatore, pacifista, anticonformista: parlò dei doveri morali che abbiamo nei confronti degli altri animali, con grande anticipo sui filosofi contemporanei che se ne stanno occupando da qualche decennio e sottolineò come la scelta nonviolenta nei loro confronti abbia delle ricadute sul nostro modo di essere e di percepirci, e si esprima in un accrescimento di valore interiore. Anche in questo caso ha preceduto con l’intuizione e l’abitudine ad un pensiero non ingabbiato in dogmi, gli studi che oggi si vanno moltiplicando sul legame che unisce tutte le forme di crudeltà, quella intraspecifica sui nostri simili e quella interspecifica sugli altri animali. Tanto per citare, la psicologia ne ha preso atto e l’ha in qualche modo codificata ufficialmente solo nel 1987, con la terza edizione del DSM (Manuale dei Disturbi Mentali), per altro con molta prudenza e decisamente maggiore timidezza di quanto lui non fece, teorizzando, tra l’altro, la necessità di una educazione “eroicamente nonviolenta”.

La teoria era per lui inscindibile dai comportamenti, che quindi comportavano il rifiuto di qualunque manifestazione di sfruttamento dei nonumani, sulla scorta certamente della compassione nei loro confronti, ma anche di un pensiero che contemplava un cambiamento esistenziale, vicino all’approccio orientale, buddista, jainista, delle filosofie sviluppatesi a contatto con la natura, che hanno inserito gli animali nel proprio universo. Un pensiero quindi, quello di Capitini, lucido, estraneo a sofismi, edulcorazioni e mitigazioni che, per renderlo accettabile da parte di una opinione pubblica acerba e impreparata, finissero per deturparne il senso.

A distanza di molti decenni, caratterizzati da cambiamenti velocissimi in tutte le aree della vita, ciò che lui aveva intuito, messo in pratica in prima persona ed esposto con grande chiarezza, è diventato patrimonio culturale condiviso solo da una limitata fetta di persone e da una percentuale ridicola del mondo politico, quest’ultimo caratterizzato da imbarazzanti forme di un immobilismo mentale, che rende troppo spesso i suoi rappresentanti sepolcri imbiancati, mummificati in miserevoli interessi di parte nel vortice di un mondo che si trasforma alla velocità della luce.

Capitini pagò il prezzo dell’isolamento per le sue scelte, che ben sapeva sarebbero state ritenute destabilizzanti, perché un approccio nonviolento nei confronti degli animali, pur nella mitezza dei comportamenti che suggerisce, è in grado di rovesciare le gerarchie e i rapporti di potere tipici della società. Lui, come i grandi pacifisti della storia, Tolstoj, Shweitzer, Gandhi, lo sapeva bene.

Oggi non ci sono prezzi quantificabili da pagare per una scelta vegana, ma l’ideale di un’armonia cosmica continua a essere ritenuto minaccioso, per il suo attacco mortale all’antropocentrismo e a tutti i rapporti di potere.

Non è un caso, quindi se, a fronte di una diffusa rimozione della sua figura, la sua posizione nei confronti dei nonumani sia pressocché assente da ogni riferimento alla filosofia di vita che andava propugnando.

È difficile da accettare, ma questo risulta vero anche da parte di coloro che hanno a cuore ideali di giustizia e rispetto universale: la chiesa (limitiamoci a quella cattolica), agenzia di pace per eccellenza, frena il suo comandamento a non uccidere al confine dell’umano e celebra le sue feste con i peggio eccidi di animali, delegati, non si sa come né perché, a togliere i peccati dal mondo, peccati che noi, non loro, commettiamo. I partiti cosiddetti “di sinistra” (con tutte le virgolette del caso) sembrano i più decisi a disinteressarsi di tutta la sofferenza esistente subito al di là di tale confine, come se farsene carico fosse fonte di vergogna e testimoniasse interessi bagatellari a fronte dei grandi ideali di giustizia sociale che sono (ancora?) il loro mantra.

Ma ci sono anche gli psicologi che pure hanno inquadrato teoricamente il legame tra tutte le forme di violenza, ma non sembrano ritenere che, a questa consapevolezza, debba seguire una sterminata rivisitazione dello stato delle cose. Mentre conferenze che si occupano di mettere l’interesse per la natura e l’ambiente al centro dei loro programmi (quali le annuali COP, Conference of parties) sono convegni miliardari dove il menu è rigorosamente carnista.

La primavera, inondata dalle immagini dell’orrore che arriva da un’Ucraina martoriata (solo perché non è di moda parlare di AfgHanistan, Siria, Palestina né fare reportages dai luoghi delle attuali guerre in corso, 59 secondo i dati riportati dalla ONG Armed conflict location & event data project Acled) viene invasa dall’odore di carne bruciata che si solleva da centinaia di migliaia di grigliate organizzate festosamente ovunque ci sia uno spazio adatto a permetterle. Tanto i talk show dove si discute dottamente su come perseguire la pace e si inneggia alla nonviolenza tacciono fino a sera.

In questo panorama, adeguato spazio è stato riservato alla marcia Perugia-Assisi, che ben si colloca all’interno della richiesta non violenta di cui tutti noi, persone per bene, ci sentiamo portatori. Dal 2020 la pace agognata si fa coincidere con la necessità della cura. Cura degli altri e dell’ambiente, cura contro violenza e guerra (nelle parole di papa Francesco) per sconfiggere egoismi, indifferenza, violenza, rassegnazione, ingiustizia (in quelle di Sergio Mattarella), perché tutto è connesso (aveva detto David Sassoli). E gli animali? E il messaggio totalizzante di Aldo Capitini, da cui questa stessa marcia è nata, il quale sosteneva la necessità di una ”educazione eroicamente nonviolenta” e un pacifismo che “non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita”? Dove è la consapevolezza che non può essere tollerato un mondo come il nostro, che è di fatto un immenso mattatoio di esseri indifesi, uccisi per soddisfare gola e pancia di noi specie eletta di otto miliardi di individui? Niente da fare. Nulla serve. Per non limitarci a denunciare per l’ennesima volta la schizofrenia dei nostri agiti, vale la pena ricordare che Pietro Nenni, nel discorso celebrativo alla morte di Aldo Capitini (1968), ricordò come, per la poliedricità dei suoi interessi e delle sue iniziative, il filosofo fosse sempre stato considerato dagli altri uno stravagante: non un uomo geniale, ma uno stravagante, vale a dire, nel significato corretto del termine, uno eccentrico, originale, strano. Ottima politica quella di delegittimare l’ingegno e l’altezza morale con i parametri di una originalità bislacca, da cui prendere le distanze in nome dell’adesione a uno status quo che definirebbe il sano buon senso a cui sarebbe auspicabile ognuno si adeguasse.

Ecco: ancora oggi chi viene etichettato come un po’ strano, uno da lasciare ai suoi deliri perché si oppone al terribile sfruttamento di miliardi di esseri senzienti, può allora inorgoglirsene. E sentirsi comunque al sicuro dal momento che, in Italia i manicomi, dove spesso quelli eccentrici finivano rinchiusi, sono chiusi.

Pezzo ripreso da:  https://comune-info.net/


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