GRAMSCI E LA MUSICA
Gramsci non smette mai di sorprendere. Dopo 85 anni della sua prematura morte (aveva soltanto 46 anni!), dovuta alle sofferenze patite nelle carceri fasciste, vengono alla luce nuovi suoi scritti mentre è ancora in corso la stampa della prima edizione nazionale di tutte le sue opere. (fv)
È
come se al ben noto laboratorio di Gramsci si fosse aggiunta una
nuova stanza, la stanza della musica. Nel volume sono raccolti 83
articoli di argomento musicale. Quelli noti prima che si avviasse la
pubblicazione delle Opere complete (Edizione nazionale), erano 16 in
tutto e ricompaiono qui. 34 riguardano l’operetta, 34 l’opera, 2
la musica lirica, 13 la musica classica strumentale. Anche quando si
occupa di musica, Gramsci rimane un grande intellettuale. Intanto
colpisce la vasta gamma dei settori da lui considerati. Anche in
letteratura Gramsci si è occupato di Dante come di Carolina
Invernizio. E qui c’è don Giocondo Fino accanto a Beethoven. Poi è
nuova e originale l’attenzione per la sociologia dello spettacolo,
come nota nella postfazione Fabio Francione. Infine quando si trova
di fronte alla grande musica, Gramsci si mostra capace di formulare
opinioni significative. Non è un critico musicale, e lo sa, si muove
da ascoltatore sensibile e attento. Su questo aspetto sono assai
utili le indicazioni di Maria Luisa Righi nella prefazione. Fu Italo
Calvino a suggerire per primo il titolo di Cronache musicali, nel
1950. Già Gramsci stesso aveva scritto: “Non siamo critici, ma
cronisti” (p. 68). Aveva una sua cultura da esperto in materia,
conosceva bene la Storia
universale della musica di
Hugo Riemann, aveva letto Jean-Christophe di Romain Rolland e ne era
stato segnato: ”Il nostro amore per Beethoven è l’aspirazione
profonda alla fraternità umana, alla giustizia, alla bellezza, al
socialismo” (p. 69).
Gli mancavano per sua stessa ammissione i
ferri del mestiere, eppure dai suoi scritti si può ugualmente
ricavare un inquadramento teorico della materia considerata. Al
centro si trova l’emozione sincera: “la musica – Franck o
Beethoven o Wagner - esprime appunto quello che costituisce la
comunione delle anime: l’emozione. L’emozione pura e
indeterminata, come dice Nietzsche, la possanza emozionale
dell’anima. Ah! Ci dicono ingenui nel nostro linguaggio: certo, lo
siamo: e vogliamo rimanerlo, sempre” (p. 65). César Franck, sia
detto per inciso, era visto come “unico erede di Beethoven” (p.
63). C’era, bisogna riconoscerlo, qualcosa di ingenuo in una tale
assolutezza di principio. A farne le spese fu Puccini in particolare.
Ampiamente riconosciuto come il successore di Verdi, per Gramsci era
invece un musicista mediocre. Non vengono citati i critici autorevoli
che si erano espressi in tal senso, Ildebrando Pizzetti soprattutto e
Fausto Torrefranca. Nel giudizio l’ideologia prevaleva su ogni
altra considerazione. Puccini era un modesto piccolo borghese come i
protagonisti delle sue opere. Il successo teatrale veniva attribuito
alla bravura degli interpreti. Se Stravinskij viene definito
“indubbiamente un musicista di valore” (p. 66), Puccini è
regolarmente demolito senza nessun riguardo. Sull’operetta grava
una generale svalutazione: il libretto e la trama scenica contano
poco, la musica nei casi migliori appare improntata a grazia e
vaporosità leggera. Quanto all’opera, il repertorio classico
incontra un generale apprezzamento.
In un tempo successivo alla
stesura delle cronache musicali, Gramsci sposò una violinista.
“Nello stentato rapporto tra i coniugi – scrive Maria Luisa Righi
– si percepisce come nella musica si riverberassero tutti gli
elementi del loro difficile rapporto” (p. 15). Una passione per la
vita.
Giovanni Carpinelli
Recensione del libro:
Concerti
e sconcerti. Cronache musicali
a
cura di Fabio
Francione e Maria
Luisa Righi
pp.
168, €
16
Mimesis
edizioni, Milano, 2022
Recensione ripresa da: https://palomarblog.wordpress.com/2017/04/18/gramsci-e-la-musica/
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