15 maggio 2022

"SACRO, SACRIFICIO ED EROTISMO" NELL' ANTROPOLOGIA DI LEARIS

 


SACRO, SACRIFICIO, EROTISMO”: UN ESTRATTO DA “LEIRIS ETNOLOGO” DI Renzo Guolo

da minima&moralia pubblicato venerdì, 13 Maggio 2022 ·

Pubblichiamo, ringraziando autore ed editore, un estratto dal libro di Renzo Guolo “Leiris etnologo. Un terreno di lacerazione”, uscito per Meltemi. 

di Renzo Guolo

L’antropologia leirisiana ruota attorno ai concetti di sacro, sacrificio, erotismo. Se dopo i frammenti africani il tema della possessione, che vi è collegato, sarà esplorato compiutamente solo negli anni Cinquanta, le riflessioni sui primi tre temi prendono forma già negli anni Trenta.

L’interesse per il sacro è di lunga data in Leiris: risale al periodo surrealista e già ne L’Africa fantasma vi sono richiami al tema, evocato anche in Età d’uomo. Ma è con Il sacro nella vita quotidiana, presentato al Collegio di Sociologia, che si traduce in una specifica riflessione. Il testo, però, non esaurisce la ricerca. Tra il 1937 e il 1939, Leiris sviluppa ulteriormente l’argomento in un quaderno che verrà pubblicato solo dopo la morte. L’homme sans honneur. Notes pour Le sacré dans la vie quotidienne è costituito dalle note preparatorie alla conferenza del Collegio, ma include anche annotazioni successive che precisano, o addirittura rivisitano, i concetti espressi nel gennaio 19381. Mutamento intervenuto anche a seguito del confronto con Colette Peignot, la Laure compagna di Georges Bataille, a cui Michel è legato da profonda amicizia. La Peignot sembra nutrire riserve sul testo presentato al Collegio da Leiris, anche se gli scritti che lascerà a Bataille si aprono evocando uno degli interrogativi che vi sono contenuti: “Che colore ha per me il sacro?”.

Data la sua natura di quaderno di lavoro, L’homme sans honneur non ha caratteri di sistematicità e non pare rifarsi, metodologicamente, a quel Durkheim insistentemente richiamato da Leiris nella lettera a Bataille che apre la crisi del Collegio di Sociologia. Se ne ricavano, però, elementi che consentono di comprendere più compiutamente il suo concetto di sacro: in particolare in relazione alla definizione, alle tipologie, alla differenza con la religione. A partire dal titolo del quaderno, stabilito, sia pure a preposizioni inverse, dallo stesso autore. Per Leiris l’uomo senza onore è quello per il quale le cose hanno perso magia, sono diventate indifferenziate e indifferenti, oltre che profane; “prive di virtù come lui stesso è ‘senza onore’ per mancanza d’azione”. Liberato da ogni patto, l’uomo senza onore “non partecipa a nulla di sacro e allo stesso tempo senza legami si trova fuori dalla legge; colpevole di amare chiunque, non ha diritto all’amicizia di nessuno”. L’uomo senza onore è, dunque, quello senza passione e legami.

Il sacro, che per Leiris riveste un aspetto soprannaturale, si presenta, in questa definizione, come qualcosa che l’uomo ha perduto sotto i pesanti colpi di maglio della secolarizzazione, che ne ha indebolito i legami sociali e personali. Come ritrovarlo? E, soprattutto, quale sacro? Non certo il “sacro pietrificato” delle religioni istituzionalizzate che, secondo l’autore di Età d’uomo, rappresenta l’ordine e la regola ma non suscita alcuna emozione e, perciò stesso, nemmeno legame. Solo il legame, non certo un oggetto che può essere votato alla distruzione, costituisce il sacro, del quale l’oggetto non è che mero supporto. Il sacro, infatti, non è proprietà di un oggetto o un essere ma, puntualizza Leiris, è un rapporto fluido, non substanzializzato: non esiste nelle cose e nelle persone ma nel rapporto che si intrattiene con esse.

Nello sguardo leirisiano la religione istituzionalizzata equivale all’addomesticamento del sacro. Condizione che emerge nella ritualità artificiale tesa a resuscitare ciò che può esistere solo nell’istante: pratica che, per Leiris, fa della religione il massimo dello svilimento. Il sacro, invece, deve restare “secco e trasparente, fuori da ogni vapore di chiesa”: nel momento in cui si istituzionalizza perde autenticità. È, dunque, un sacro incandescente, caldo, contrapposto a quello freddo e svilito delle religioni formalizzate, quello che viene evocato. Un sacro allo stato nascente, che sarebbe sbagliato evincere dal suo aspetto esteriore: “errore che commette anche l’etnografia, attratta dagli elementi che provocano ‘effervescenza’”, dalla musica alla danza all’uso di bevande.

Un sacro ambiguo, straniero e intimo, “eterogeneo, esteriore a me ma al quale aderisco per andare oltre me”, che può essere arbitrario e ingiusto, oltre che smisurato. È di fronte a questo tipo di sacro che si è “a volte più se stessi e più fuori di sé. Perché ci si mette […] sul piano della totalità”. Un sacro che necessita della trasgressione, perché solo oltrepassando il limite è possibile avvertirlo pienamente: per questo chi vuole percepirlo deve commettere sacrilegi.

Il colore psicologico del sacro di Leiris è, dunque, quello che mette l’accento sull’interdetto, sul tabù. E sulla sua violazione. Un sacro “acuto” molto vicino alle concezioni di Bataille, che si scatena, appunto, nel forzare la porta proibita che vi dà accesso; contrapposto al sacro “latente”, caratterizzato dalla pace che protegge. Un sacro febbrile, che fronteggia quello, angosciante, prodotto di “rassegnati timori”. E che, sul piano personale, Leiris collega alla presenza della morte.



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