PER BIANCAMARIA FRABOTTA
di Marco Corsi
La poesia non è fatta per essere ricordata, ma per vivere di bocca in bocca, nelle letture silenziose, sulla pubblica piazza, con toni pacati oppure oscenamente, in allegria, nella tensione, nella più evidente indifferenza. Ecco, gli occhi di Biancamaria non potranno mai risultare indifferenti, neanche ai più indifferenti alla letteratura, perché in quegli occhi ha sempre vissuto l’intelligenza della poesia, con studio, rigore e passione. Ma soprattutto con una straordinaria e pungente umanità attraverso la quale, lei, Bianca, ha saputo farsi interprete partecipe del nostro tempo. Dal movimento femminista degli anni Settanta ai classici, trovando una strada naturale nell’esperienza dei giorni, la sua poesia si è fatta sempre più prossima alla vita, filosofica e a suo modo religiosa, eleggendo a proprio vessillo, negli ultimi anni, il “buen retiro” di Cupi. Quella casa a due passi dall’Uccellina divenuta un luogo di incontri e di amicizia, una spiaggia di poeti senza lido. Gli eterni lavori, I nuovi climi, e poi Da mani mortali sono libri di una maturità estrema e bucolica, profondamente coerente rispetto alla tensione degli esordi. I primi flutti di Affeminata e de Il rumore bianco erano già felicemente approdati nel porto de La vindanza, primo libro uscito nello Specchio Mondadori nel 1995, uniti da quella solida struttura gemellare che congiunge il poemetto Eloisa, che chiude la raccolta dell’82, a quello autobiografico, in senso pieno e compiuto, eponimo al libro uscito più di un decennio dopo. Un libro di assalti e rinunce, ruvidamente attaccato al polipaio della vita, alla sua profondità insondabile, araldica, turbolenta, come un anticiclone. Fu così che si rivelò in maniera forte la sua voce, che già risuonava da decenni sui banchi della Sapienza, a Roma, indicando ai suoi studenti più di una via d’accesso alla poesia, promuovendone lo studio, affidando tesi di laurea su qualcosa di vivo, niente a che fare con la filologia.
Le ragioni del fare poesia sono infaticabili, un «cantiere sempre aperto», manutenzione costante alla vita, quella «sedentaria», quella nomade, quella «ammaestrata» e accudita con prudenza, anche attraverso le parole. Non stupisce dunque il profondo legame della poesia di Bianca con le tante “terre contigue” che ha attraversato, trovando nella distanza un centro inesauribile. Così è stato anche ne La materia prima, raccolta inedita pubblicata nel complessivo Tutte le poesie del 2018, e così sarà ancora nel libro che tra poco vedrà la luce per consegnarci ancora, intera, la sua voce: Nessuno veda nessuno.
Sarà ancora occasione per trovarci annullati nel suo nome, tutti parte del coro umanissimo dell’esistenza.
*
da Il rumore bianco (1982)
per adelaide
Come
deve farsi esile, minuta la vita
nel filo scabro di un rigo di
poesia
non come una giovinetta tuffarsi
ma assottigliarsi fino
a sparirsi
a tradirsi, non il collo maudit
di Ade che ride
sotto il cappello
ma un’ode minore, minima, un soffio
eppure
una gabbia per le tue movenze
di felino domestico, pulcino
danzante, elegante
non chiedermi più, accontentati
la
metamorfosi delle tue forme leggiadre
mima, perdonami: è mimesis
anch’io.
da La viandanza (1995)
AUTORITRATTO IN TERZA PERSONA
Ieri
vantava l’aderanza allo specchio
la sazietà dei piedi ben
fatti, patti
in vista di ulteriori concessioni, tempi
più
lunghi e magari il tiro
corretto al selvatico bilancio d’età.
Oggi
nutre raminghe speranze di sparire
nelle sembianze di un gatto, un
colpo di tosse
il lento vogare di un cappello a mezz’aria.
Domani
non ci sarà più tempo
per l’uso pigramente italiano
del
verbo, il sereno ottativo
del dovrei essere stato.
Ma
divampando potesse essere lei una
combusta orma al fuoco
dell’ellisse
temeraria, mite ombra e pur sostanza
di quel
sole che non teme eclisse.
da Terra contigua (1999)
Arrogante
garrivi alle stelle la tua dolce nenia
il fiore ancora in nuce
nello scapo
e la felicità, l’ottusità d’una caccia
svogliata
mai così rasente alle promesse dell’età sfacciata
ti
annoiava e ti seguiva come una cagna fedele
nel subbuglio dei tuoi
astratti furori.
E ti eludeva anche da quel suo astuto
gioco a
tutti commestibile, ma non a te
che la morte segreta stornavi ad
ogni giro
e t’era consorte l’incanto, l’incubo dei bari.
Tu
non volevi altro se non l’impossibile
la tratta di favore, il
pagamento del riscatto
minacciando altrimenti colpi di testa
colpi
di teatro memorabili che l’indomani
bruciavi al nuovo giorno
sotto dettatura.
Non tolleravi la dittatura del giorno.
E
libertà t’erano gli scuri chiodati
il fresco osceno invito
della notte.
da La pianta del pane (2003)
Quasi
che il sonno, l’uno all’altra
li rapisse, nel buio intrecciano
le dita
si sfiorano con la punta del piede
e pensano – gli
estremi si toccano
nel cuore della notte.
Uno dei due già
sogna anche per l’altro.
Incline più al contagio che al
presagio
s’addormenta l’amore coniugale
mano nella mano, la
vita cinta
come per una danza, mentre l’altra
vita preme ai
cancelli del rimosso
e li piega. Entrambi sul fianco
sinistro.
L’alba li sveglia un poco più fratelli.
da Da mani mortali (2012)
Oltre
la soglia del letargo, una foglia
pende ancora a lato del legno,
trema
si rimette al vento con l’astuzia dei deboli.
Ha
conosciuto la pietra e l’agio delle erbe
la prima generazione
dei biancospini.
Irti più del filo spinato che li
regge
proclamano la resistenza all’inverno
mentre un riemerso
brulichio di molti
silenziosamente li lavora nel tepore.
La
pianta è un cantiere sempre aperto
a chi vi torna senza avere
memoria.
Sappi che frenerò ogni desiderio
di spronarla, questa
ottusa pazienza
di durare, per ora, senza dare ombra.
da La materia prima (2018)
Parlò
per bocca tua e disse.
Non stai morendo Bianca.
E fu vero il
mio nome.
E fu pace dalla prima linea
ai miei mozzati
respiri
fu silenziato il silenzio.
Senza il tuo amore
il suo
pensare secondo
l’agire, mio teste
di chiara
visione
m’avrebbe rapito, quella
druda, col passo pesante
del
suo fiato. Eccomi. Eccoti.
Chiama me, smunta e di poco
sangue.
Non posso fermarmi.
Devo andare al confronto
al conforto
sicuro
abbandonare la guida del giudizio.
Ma tu insistetti, mio
maratoneta
sgomitando, maleducatamente.
Imparate maldestri
innamorati.
Non ci si può limitare
a guardare quello che
succede.
I testi sono tratti dal volume Tutte le poesie. 1971-2017, postfazione di Roberto Deidier, nota biobibliografica di Carmelo Princiotta, Mondadori, Milano 2018.
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