(1900)
di
Errico Malatesta
Amare tutti somiglia molto a non amare alcuno.
Nota
Una riflessione problematica e per questo estremamente interessante sul sentimento dell’amore.
Fonte: La Questione Sociale, Paterson, New Jersey, nuova serie, n. 18, 6 gennaio 1900.
A prima giunta può sembrare strano, ma è un fatto che la questione dell’amore – dell’amore tra i due sessi – e tutte quelle che ad essa si connettono, preoccupano molto la mente di una gran parte degli uomini e delle donne, anche quando problemi più urgenti, se non più importanti, sembrerebbero dovere attirare tutta l’attenzione e tutta l’attività di coloro che cercano il modo di rimediare ai mali che affliggono l’umanità.
Tutti i giorni incontriamo gente, che è schiacciata sotto il peso delle istituzioni della Proprietà e del Governo; gente che non ha abbastanza da mangiare o è minacciata ad ogni momento di cadere, per mancanza di lavoro o per malattia, nella più assoluta miseria; gente che non può allevare decentemente i proprii figliuoli e spesso li vede morire per non poter dar loro le cure necessarie; gente cui sono preclusi i vantaggi e le gioie dell’arte e della scienza; gente che è condannata a passare la vita senza essere un giorno solo padrona di sé, sempre sottoposta all’arbitrio dei padroni e dei birri; gente per la quale il diritto di avere una famiglia, il diritto di amare, è niente altro che un’atroce ironia – e che pure non accetta i mezzi che le proponiamo per sottrarsi alla schiavitù economica e politica, se prima non siamo riusciti a soddisfarla sul modo come in una società anarchica si soddisferebbe al bisogno di amare e come si organizzerebbe la famiglia. E naturalmente questa preoccupazione cresce, e certe volte fa trascurare e disprezzare gli altri problemi, nelle persone che han risolto per loro il problema della fame, che possono normalmente soddisfare i più imperiosi bisogni, e vivono in un ambiente di relativa agiatezza.
Il fatto si spiega, perché grande, immensa, è la parte che l’amore occupa nella vita morale e materiale dell’uomo, e perché è nella casa, nella famiglia, che l’uomo spende la parte maggiore, e migliore, della sua vita.
E si spiega pure per una tendenza verso l’ideale che infiamma l’animo umano non appena esso si apre alla luce della coscienza. Fino a che l’uomo soffre senza darsi conto delle sue sofferenze, senza cercarvi un rimedio e senza ribellarvisi, esso vive animalescamente e piglia la vita come viene, o come gliela fanno. Ma quando incomincia a pensare, ed a capire che i suoi mali non dipendono da insuperabili fatalità naturali, ma da cause umane che gli uomini possono distruggere, allora è subito invaso da un bisogno di perfezione e vuole, almeno idealmente, godere di una società in cui regni l’armonia assoluta, ed il dolore sia scomparso completamente e per sempre. Tendenza questa utilissima, poiché sprona sempre in avanti; ma che riesce dannosissima quando induce a trascurare il realizzabile ed a restare nello stato in cui si è per la ragione che anche in questo realizzabile s’incontrano dei difetti e dei pericoli.
Ora, diciamolo subito, noi non abbiamo nessuna soluzione per rimediare ai mali che possono venire all’uomo dall’amore, perché essi non si possono distruggere con riforme sociali e nemmeno con un cambiamento di costumi. Essi dipendono dai sentimenti profondi, diremmo fisiologici, dell’uomo, e non sono modificabili, se lo sono, che per lenta evoluzione ed in un modo che noi non sapremmo prevedere.
Noi vogliamo la libertà; noi vogliamo che gli uomini e le donne possano amarsi ed unirsi liberamente senz’altro motivo che l’amore, senz’alcuna violenza legale, economica o fisica. Ma la libertà, pur essendo la sola soluzione che noi possiamo e dobbiamo offrire, non risolve radicalmente il problema, visto che l’amore per esser soddisfatto ha bisogno di due libertà che s’accordano, e che invece molto spesso non si accordano affatto: e visto che la libertà di fare come si vuole è una frase vuota di senso se non si sa che cosa volere.
È presto detto “quando un uomo ed una donna si amano si uniscono, e quando non si amano più si separano”. Ma bisognerebbe, perché questo principio fosse fonte sicura e generale di felicità, che essi si amassero e cessassero di amarsi contemporaneamente. Ma se uno ama e non è riamato? Ma se uno ama ancora quando il suo coniuge non lo ama più e vuol correre a nuovi amplessi’! E se uno ama nello stesso tempo più persone, e queste non sanno adattarsi a tale promiscuità?
“Io sono brutto”, ci diceva un tale; come farò se nessuna donna vorrà amarmi!” La domanda si presta al riso; ma non è meno rivelatrice di vere, strazianti tragedie!
Ed un altro, preoccupato dallo stesso problema diceva: “Oggi, se non trovo amore, lo compro, magari economizzando sul mio pane: come farò se non vi saranno più donne costrette a vendersi’?” La domanda è orribile, poiché mostra il desiderio che vi siano esseri umani che la fame costringa a prostituirsi; ma è anche terribile – e terribilmente umana!
Alcuni dicono che il rimedio sarebbe l’abolizione radicale della famiglia; l’abolizione della coppia sessuale più o meno stabile, riducendo l’amore al solo atto fisico, o meglio trasformandolo, col congiungimento sessuale in più, in un sentimento simile all’amicizia, che ammetta la molteplicità, la varietà, la contemporaneità degli affetti. E i figli . . . figli di tutti.
Ma è possibile abolir la famiglia? È desiderabile?
Prima di tutto notiamo che, malgrado il regime di oppressione e di menzogna che ha prevalso sempre, e tuttora prevale, nella famiglia, questa è stata, e resta ancora, il più gran fattore di sviluppo umano, poiché essa è il solo luogo dove l’uomo normalmente si sacrifica per l’uomo e fa il bene per il bene, senza desiderare altro compenso che l’amore del coniuge e dei figli.
Certamente vi sono casi di sacrifizii sublimi, di lotte e martirii affrontati per il bene della collettività tutta quanta; ma sono sempre casi eccezionali, la cui influenza sullo sviluppo dell’istinto sociale dell’umanità non può paragonarsi a quella, più modesta sì, ma costante ed universale della coppia che si dedica all’allevamento ed all’educazione dei figliuoli.
Ma, si dice, eliminate le questioni d’interesse, tutti gli uomini diventerebbero fratelli e si amerebbero tutti.
Certo, non si odierebbero più; certo, si svilupperebbe fortemente il sentimento di simpatia e di solidarietà, e l’interesse generale degli uomini diventerebbe un fattore importante nella determinazione della condotta di ciascuno. Ma questo non è ancora l’amore.
Amare tutti somiglia molto a non amare alcuno.
Noi possiamo forse soccorrere, ma non possiamo piangere tutte le sventure, o dovremmo passare la vita piangendo: e pure la lagrima di simpatia è la più dolce consolazione per un cuore che soffre!
La statistica delle morti e delle nascite ci può offrire dati preziosi per conoscere i bisogni della società, ma non dice nulla ai nostri cuori. Noi non possiamo rattristarci per ogni uomo che muore; non possiamo sussultare per ogni bimbo che nasce.
E se non amiamo alcuno più intensamente degli altri, se non v’è alcun essere pel quale più specialmente siam disposti a sacrificarci, se non conosciamo altro amore che quello tiepido, moderato, quasi teorico, che possiamo sentire per tutti, non sarebbe la vita meno ricca, meno feconda. meno bella? la natura umana non ne resterebbe castrata nei suoi slanci più nobili? Non resteremmo privi delle gioie meglio sentite? non saremmo più infelici?
Del resto, l’amore è quello che è. Quando uno ama fortemente, sente il bisogno del contatto costante, del possesso esclusivo dell’essere amato. La gelosia, intesa nel senso migliore della parola, sembra essere, è generalmente una cosa sola coll’amore. Il fatto si può lamentare, ma non si può cambiare a volontà, nemmeno a volontà di colui stesso che ne è affetto.
Secondo noi, dunque, l’amore è una passione per sé stessa generatrice di tragedie: tragedie che certamente non si tradurrebbero più in atti violenti e brutali, quando l’uomo avesse il senso del rispetto che si deve alla libertà altrui, quando esso avesse abbastanza controllo sopra sé stesso per comprendere che non si rimedia ad un male aggiungendovene un altro peggiore, e quando l’opinione pubblica non fosse più, come è oggi, morbosamente indulgente pei cosiddetti reati passionali, ma che resterebbero sempre dolorosissime.
Fino a che gli uomini avranno i sentimenti che hanno – e non ci pare che basti a cambiarli un cambiamento nell’assetto economico e politico della società – l’amore produrrà, nello stesso tempo che grandi gioie, anche grandi dolori. Si potrà diminuirli ed attenuarli eliminando tutte le cause eliminabili, ma non si potrà completamente distruggerli. Ma è questa una ragione per non accettare l’anarchia, e voler restare nello stato attuale? Sarebbe fare come uno che non potendo vestirsi di costose pellicce volesse andare ignudo, o non potendo mangiare pernici tutti i giorni rinunziasse anche al pane; o come un medico che, vista l’impotenza attuale della scienza a guarire tutte le malattie, non volesse curare nemmeno quelle che si possono guarire.
Distruggiamo lo sfruttamento e l’oppressione dell’uomo sull’uomo, combattiamo la brutale pretesa del maschio a credersi padrone della femmina, combattiamo i pregiudizii religiosi, sociali e sessuali, assicuriamo a tutti, maschi e femmine, uomini e fanciulli, il benessere e la libertà, diffondiamo l’istruzione . . . e avremo ben ragione di rallegrarci se non vi resteranno altri mali che quelli d’amore.
In tutti i casi, gl’infelici in amore potranno rifarsi con altre gioie, poiché allora non sarebbe più come oggi che l’amore – insieme all’alcool -·è la sola consolazione della più gran parte dell’umanità.
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