J.L. Borges, Caricatura di Kyriakos Mauridis -> kyriakosmauridis.gr
Quest’anno per Adelphi è uscito Storia della notte di Borges, a cura di Francesco Fava, con testo a fronte. Ne pubblico alcuni testi,ripresida https://www.nazioneindiana.com/2022/12/27/la-storia-della-notte-di-borges/ringraziando l’editore.
__
UN LIBRO
Niente
più che una cosa tra le cose
però anche un’arma. Forgiata
nell’anno
1604, in Inghilterra,
è stata caricata con un
sogno.
Racchiude suono e furia e notte e porpora.
La soppeso
sul palmo. Chi direbbe
che contenga l’inferno: le
barbute
streghe che sono le parche, i pugnali
esecutori di
leggi dell’ombra,
l’aria leggera che avvolge il castello
che
ti vedrà morire, la leggera
mano che sa coprir di sangue i
mari,
la spada e le alte grida di battaglia.
Quel
silenzioso strepito ora dorme
entro lo spazio di uno dei
volumi
del placido scaffale. Dorme e attende.
–
L’INCISIONE
Perché,
mentre la chiave apre la porta,
torna ai miei occhi con stupore
antico
l’incisione di un tartaro che infilza
dal suo cavallo
un lupo della steppa?
La belva si contorce eternamente.
Il
tartaro la guarda. La memoria
mi offre questa tavola di un
libro
il cui colore e la cui lingua ignoro.
Saranno anni ormai
che non la vedo.
A volte la memoria mi spaventa.
Le sue concave
grotte e i suoi palazzi
(disse Agostino) accolgono di
tutto.
L’inferno e il cielo in lei trovano posto.
Del primo
ne racchiude a sufficienza
il più comune e tenue dei tuoi
giorni
e un incubo qualsiasi della notte;
per l’altro, c’è
l’amore di chi ama,
la freschezza dell’acqua nella gola
della
sete, il pensiero e il suo esercizio,
il nitore dell’ebano
invariabile
o – luna e ombra – l’oro di Virgilio.
–
L’INNAMORATO
Avori,
lune, marchingegni, rose,
le lampade e la linea di Albrecht
Dürer,
le nove cifre e il mutevole zero.
Farò finta che
queste cose esistano.
Fingerò che ci furono in passato
Roma e
Persepoli e che una sottile
sabbia segnò i destini di
fortezze
che i secoli di ferro hanno disfatto.
Fingerò armi,
fingerò la pira
dell’epopea e i mari che gravosi
erodono i
pilastri della terra.
Fingerò che altri esistano. È menzogna.
Tu
solamente, sei. Tu, mia sventura
e mia ventura, tu incessante e
pura.
–
LE CAUSE
I
crepuscoli e le generazioni.
I giorni senza il giorno del
principio.
La freschezza dell’acqua nella gola
di Adamo.
L’ordinato Paradiso.
L’occhio che indaga e scruta nella
tenebra.
I lupi che si accoppiano nell’alba.
La parola.
L’esametro. Lo specchio.
La Torre di Babele e la superbia.
La
luna contemplata dai Caldei.
Le sabbie innumerevoli del
Gange.
Chuang Tzu e la farfalla che lo sogna.
Le tre mele
dorate del giardino.
I passi dell’errante labirinto.
La tela
senza fine di Penelope.
Il tempo circolare degli stoici.
La
moneta che il morto ha nella bocca.
Sulla bilancia il peso della
spada.
Nella clessidra ogni singola goccia.
Le aquile imperiali
e le legioni.
Cesare la mattina di Farsaglia.
L’ombra delle
tre croci sulla terra.
L’algebra e la scacchiera del
persiano.
Le tracce delle lunghe migrazioni.
La conquista di
regni con la spada.
La bussola incessante. Il mare aperto.
L’eco
dell’orologio nel ricordo.
Il re decapitato dalla scure.
La
polvere di secoli di eserciti.
La voce d’usignolo in
Danimarca.
La scrupolosa riga del calligrafo.
Il volto del
suicida nello specchio.
La giocata del baro. L’oro avido.
Le
forme delle nubi nel deserto.
Ogni arabesco del
caleidoscopio.
Ogni rimorso pianto in ogni lacrima.
Sono
servite tutte queste cose
perché le nostre mani si incontrassero.
–
EPILOGO
Un
evento qualunque – un’osservazione, un incontro, una separazione,
uno di quei curiosi arabeschi di cui il caso si compiace – può
suscitare l’emozione estetica. Il destino del poeta è proiettare
quell’emozione, che è stata intima, in una favola o in una
cadenza. La materia di cui dispone, il linguaggio, è, come afferma
Stevenson, assurdamente inadeguata. Che cosa farsene, delle parole
logore – gli idola
fori di
Francis Bacon – e di alcuni artifici retorici contenuti nei
manuali? A prima vista nulla o molto poco. Eppure, è sufficiente una
pagina dello stesso Stevenson o una riga di Seneca per dimostrare che
l’impresa non sempre è impossibile. Per eludere la controversia,
ho scelto esempi trapassati; lascio al lettore il vasto passatempo di
ricercare altre felicità, forse più immediate.
Un volume di
versi altro non è che una successione di esercizi di magia. Il
modesto incantatore fa quel che può con i suoi modesti mezzi. Una
connotazione mal riuscita, un accento sbagliato, una sfumatura,
possono rompere l’incantesimo. Whitehead ha denunciato la fallacia
del dizionario perfetto: supporre che per ogni cosa ci sia una
parola. Lavoriamo a tentoni. L’universo è fluido e mutevole; il
linguaggio, rigido.
Fra tutti i libri che ho pubblicato, questo è
il più intimo. Abbonda in riferimenti libreschi, come pure vi
abbondò Montaigne, l’inventore dell’intimità. Si può dire lo
stesso di Robert Burton, la cui inesauribile Anatomy
of Melancholy –
una delle opere più personali della letteratura – è una sorta di
centone, inconcepibile senza lunghi scaffali. Come alcune città,
come alcune persone, una parte estremamente grata del mio destino
sono stati i libri. Mi sarà permesso ripetere che la biblioteca di
mio padre è stata l’evento capitale della mia vita? La verità è
che non ne sono mai uscito, come Alonso Quijano non uscì mai dalla
sua.
Buenos Aires, 7 ottobre 1977
J.L.B.
Nessun commento:
Posta un commento