Presepe in Terra Cotta
Santo Stefano di Camastra, Valdemone
La tortora
Vincenzo Consolo
Passò il cieco Provenzale chiamato Mangiafave con lo zoppo suo compare Cutropia: chitarra e mandolino. La madre prese la novena, il cieco, con la mano sicura d'un maestro, tracciò una croce di gesso sopra la porta.
Era quello pure il giorno del muschio e dello spino. Andarono Milo e Melo, i due fratelli, lungo il torrente Rosmarino. Un torrente stretto e profondo, incassato tra due alti terrapieni. Cammina e cammina, seguendo il serpeggiare del torrente, saltando da una sponda all'altra, schiacciando rane e rospi sotto pie-tre, arrostendo granchi vivi su fuocherelli d'arbusti.
A una svolta, si parò davanti, ritto e immobile, le mani incrociate sul nodo del bastone, gli occhi fissi al cielo, le capre che brucavano d'intorno, il vecchio Nocifora, lupo mannaro. «Guarda!» fece Melo con l'indice puntato, come avesse trovato la prova, tra le gambe di quell'uomo. Aveva, vero, un ingombro straordinario che gravava sul cavallo. Era l'ernia, la ragione del suo trasformarsi in bestia urlante. Ma per quanto il Nocifora fosse feroce e sanguinario nelle notti di luna piena, di giorno e l'altre notti era mite come un santo. Sorrise, staccò una mano dal bastone e fece segno ai due d'avvicinarsi oppure solo un saluto. Spaventati, s' arrampicarono su pel terrapieno e si diedero a correre sotto l'aranceto. Affannati, si buttarono sopra l'erba bagnata della conca d'un arancio.
Il sole filtrava a lame di tra le foglie e le mammelle rosse che pendevano fitte sopra le loro teste. Erano della razza d'Adrano o Portogallo, ovali, succose e con la buccia fine. Milo saltò su e in un baleno riempi il paniere che serviva per il muschio. Staccavano il capezzolo coi denti e poi le succhiavano mungendo forte intanto con le mani. Udirono a un tratto grida stridule come d'infante e poi grugniti e ronfamenti che venivano dal fondo degli aranci. Cercarono la sorgente di quel chiasso e si trovarono davanti a una casa che era quella dei mezzadri di donna Costanza Celi vedova Cracò, padre, madre, tre femmine e un maschio: fortissimo, nero nero e petroso, soggetto di frequente a insulti di epilessia.
Tra i fuochi e i fumi dello spiazzo, Michele teneva alto, sopra la testa, come fosse coniglio o capretto, un gran porcone nero. Poi ridendo lo costrinse dentro la madia a terra, legò insieme le zampe come un mazzo di carciofi, tirò fuori il coltello dalla tasca, fece scattare la lama e l'infilò nella gola all'animale.
Le donne accorsero con bacinelle e pentole sotto lo zampillo rosso. Il porco urlò in modo disumano e si zittì solo quando Michele, lavorando in giro in giro con la lama, non staccò la testa e la lanciò dentro il grembiule di sua madre. Poi le tre sorelle buttarono secchi d'acqua bollente sul maiale.
Michele e suo padre si misero a raschiare coi coltelli. Quando la cute fu bella liscia e rosea, il giovane forzuto tagliò profondo al centro della pancia e tirò fuori tutto il ben di dio, rosso, marrone e fumante. I vari pezzi furono disposti sopra un tavolino, tranne i budelli, presi e svuotati dalle donne, puliti bene bene e stesi su una corda per farne poi sanguinacci, salsicce e soppressate. Ecco, io allora infilzerò nello spiedo un rocchio di quella salsiccia fresca, condita con grani di pepe e semi di finocchio, la farò arrostire sopra la brace e quindi l'offrirò a te, mia gentile lettrice.
Le donne, quindi, attorno alle caldaie, ai fuochi e alle padelle, si diedero a bollire, friggere, arrostire.
Una, rossa accaldata, pettoruta e sbracciata, s'accorse della presenza dei ragazzi ai bordi dello spiazzo e fece cenno a Michele e a suo padre. Padre e figlio gli si fecero incontro coi coltelli in mano e «Avanti, avanti, favorite!» dissero spingendoli verso i fuochi e le caldaie. Li fecero ingozzare di coste, ciccioli e lardi. Poi la madre, con caraffa e bicchiere in mano, gli metteva il vino sotto il naso. Melo, a un certo punto, si fece bianco come questa carta sulla quale scrivo, cominciò a sudare e quindi si mise a vomitare lì davanti. La famiglia scoppiò in gran sghignazzi.
Melo guardò con odio quegli animali, guardò il fratello e fu quasi sul punto di lacrimare come un bambino. Milo spruzzò per terra mezzo bicchiere di vino, diede al fratello in testa un colpo di paniere e disse forte: «Porco d'un porco cane! Andiamo, andiamo! Il muschio, il muschio pel presepe». Andarono. L'inseguì Michele, li raggiunse. Si parò davanti e fece capire loro di fermarsi: era meglio. Sorrise, infilo la mano dentro la camicia, tirò fuori una tortorella piccola e soffice come un piumino, e la porse a Melo. Melo la prese senza dire ba e l'infilò a sua volta dentro la camicia. A casa, la depose dentro una cesta, sul cui fondo combinò un nido con la paglia e sparse molliche di pane e foglie di lattuga. Poi disposero il muschio sul piano del tavolo, fecero il lago con lo specchio, il fiume con stagnola, le montagne con lava porosa, il cielo di carta velina, la grotta di sughero e canne con sopra il ramo di spino e la stella filante. Poi spruzzarono tutto di farina bianca e disposero sulle cime dei monti, i declini e il piano case e mulini, la reggia d' Erode e le palme, pa-pere, greggi e armenti. E infine re magi e pastori, l'asino e il bue, Giuseppe e Maria.
A letto, sentirono dietro la porta il cieco Provenzale chiamato Mangiafave che cantava accompagnato da chitarra e mandolino il primo giorno di novena:
Quannu Cesari jittau
la cumannu 'impiriusu
'ntra la piazza si truvavu
san Giuseppi gluriusu.
E l'ultima sera, verso mezzanotte, dopo che Provenzale così concluse la sua novena:
Mangiafave vi saluta
ch'ha pirdutu li nuttati cu ddu sordi chi ci dati
Mangiafave lu payati,
Milo e Melo erano davanti al presepio, uno da una parte e uno dall'altra del sipario. C'erano pure, lì da-vanti, i genitori, i nonni, gli zii, i cugini, i vicini di casa. Quando sentirono il primo tocco delle campane della matrice, accesero tutte le luci e tirarono i due spaghi del sipario. Nel bagliore della grotta, sopra la mangiatoia, al posto del bambino, si vide luccicare un piumaggio nocciola-argento e s'udì un frullio d'a-li. Era la tortora di Melo. Tutti risero. Milo, furioso, afferrò l'uccello con tutte due le mani, lo serrò in un pugno e fece il gesto di scagliarlo, come una palla, contro il muro... Tu, al suo posto, cosa avresti fatto?
Vincenzo Consolo
Il teatro del sole, racconti di Natale.
Interlinea edizioni, Novara 1999
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