04 dicembre 2022

SALVATORE COSTANTINO SU PASOLINI e SCIASCIA

 





INTELLETTUALI E POTERE

PASOLINI e SCIASCIA


La Fondazione Sciascia ha reso pubblica in questi giorni la lettera che Leonardo Sciascia partendo da una lettera dello scrittore siciliano rimasta finora inedita, (e ora esposta nella sede della Fondazione Sciascia di Racalmuto) in occasione dei due centenari della nascita.
Si tratta di un documento molto importante che getta ancora più luce sull’ opera di Sciascia in quanto esempio concreto del vero valore dell’amicizia e di coraggio su come sia possibile rompere coi fatti (bisogna precisare: “coi fatti!) l’ “amicizia strumentale” basata sullo scambio corruttivo alimento della subcultura di derivazione mafiosa e non con vacue enunciazioni di principio o ricorrendo ad astratti simbolismi.
Giovanni Nicosia, un partigiano originario di Caltanissetta, autore di diversi libri e per qualche anno correttore di bozze all'Einaudi, alla vigilia del premio Strega di quell'anno chiama Sciascia chiedendogli di votare Alberto Bevilacqua. Nicosia chiede il voto per Bevilacqua che in cambio, si era impegnato per la "realizzazione televisiva di un racconto" di Sciascia.
Sciascia non solo rifiutò l’offerta, ma la condannò nelle ventotto righe scritte a macchina il 29 giugno 1968.
Nella lettera lo scrittore spiega le ragioni per cui avrebbe dato il suo voto a Pier Paolo Pasolini che quell'anno si era ricandidato per la terza volta allo Strega, con un susseguirsi di polemiche, con “Teorema”.
Scrive Sciascia:
“… Voglio dirti le ragioni per cui ho votato per Pasolini e non per Bevilacqua. In primo luogo perché lo scrittore, se non il libro portato in gara, merita, e specialmente in questo momento, tutta la mia stima e solidarietà. E poi perché direttamente e francamente ha chiesto il mio voto, senza offrirmi o farmi intravedere contropartite, in un rapporto di amicizia e di reciproca stima che, anche nel possibile dissenso, c’è tra noi da anni lontani. Questa seconda ragione vale credo, a spiegare perché non potevo votare per Alberto…Del mio affetto nei suoi riguardi e della mia ripugnanza a muovermi sul piano degli interessi personali lui non poteva né doveva dubitare. L’offerta da parte sua della realizzazione televisiva di un mio racconto, subito seguita dalla tua telefonata elettoralistica, mi ha sorpreso amaramente. Ho fatto di tutto infatti per far cadere l’offerta e ho risposto a te che avrei votato Pasolini. La tua lettera, ora, conferma che non mi sono sbagliato. Ma l’amicizia portata a questo livello è un’altra cosa: e tu sai che nome ha qui da noi.”
Appunto, l’amicizia che nome ha “qui da noi”? Tutta l’opera di Sciascia analizza l’“amicizia strumentale” come uno degli aspetti caratterizzanti di quei comportamenti che si sviluppano in contesti condizionati da quello che stato definito come “agire mafioso”.
Il problema storico fondamentale di sempre è ancora proprio quello di contrastare la genesi, la produzione e riproduzione subcultura mafiosa. Ricordiamone alcune caratteristiche: la violenza, l’illegalità, la corruzione, la vendetta, la prevaricazione, la furberia, il cinismo, l’omertà, l’ “aspettativa di impunità” di cui parlava Sciascia.
Nell’iniziativa antimafia Sciascia continua a spiegarci che è necessario, non fermarsi al solo dato simbolico e a guardare concretamente al che fare. In primo piano, al di là degli indubbi successi dell’azione di contrasto, è la permanenza di una, purtroppo ancora solida e diffusa, subcultura di derivazione mafiosa che si innerva in sistemi di pensiero e di comportamento, disvalori, costumi, pratiche e codici di interazione sociale, stili di vita, modi di vedere e di fare. Non si tratta di vedere mafia dappertutto, ma neppure di ignorare la persistenza di una subcultura di derivazione mafiosa che continua ancora ad ibridare istituzioni, politica, economia, cultura, società.
Sciascia ritornò più volte, e con diversità di accentuazioni, sul tema della violenza e sul carattere siciliano, tradizionalmente presentato, per natura e storia, come incline all’uso privato della violenza, alla ricerca individualistica della protezione.
In un intervento del 1982 Sciascia sviluppa un’analisi sulla natura non violenta/violenta dell’ ”anima” siciliana. Il suo punto di partenza è la non violenza dei siciliani. Ma ad essa si accompagnerebbero fenomeni radicati di chiusura, di tendenza all’isolamento, all’inibizione. In breve, l’anima siciliana sarebbe caratterizzata da un fascio di atteggiamenti che sprigionerebbero, nel loro reciproco rapporto interattivo, una sorta di energia o di miscela pronta ad esplodere improvvisamente nelle direzioni più diverse. A questa sorta di compressione della “visione della vita”, della “intelligenza delle cose”, della “ricerca della verità” entro le quattro mura familiari, corrisponderebbe una violenza esterna che, come dice lo stesso Sciascia, “ha quasi la garanzia dell’accettazione e della impunità”.
La narrazione sciasciana ci descrive mirabilmente questi processi e sbagliano quanti inchiodano le sue descrizioni alla categoria dell’irredimibilità della Sicilia.
Analizzando "Una storia semplice", l'ultimo romanzo breve di Sciascia, una storia di corruzione e di mafia, proprio nel momento in cui sembra che stia per trionfare la verità, proprio quando basterebbe pronunziarla quella verità nota a tutti. Ma sfugge proprio l’attimo del coraggio. La verità si dilegua beffardamente. La verità non viene detta. Non c’è il coraggio per dirla. Proprio come la verità si dissolve beffardamente nel finale di "Che cosa sono le nuvole?" di Pasolini. E così continua a trionfare la solita storia.
Sciascia ci dice che per spezzare davvero la relazione mafiosa non bastano le parole, non basta l’esausto riferimento agli eroi dell’antimafia. Ci vuole coraggio! Lo spiegava molto bene Giovanni Falcone quando parlava dei comportamenti concreti dei mafiosi:
“Gli uomini d’onore – diceva - non sono né diabolici né schizofrenici. Non ucciderebbero padre e madre per qualche grammo di eroina. Sono uomini come noi. La tendenza del mondo occidentale, europeo in particolare è quella di esorcizzare il male proiettandolo su etnie e su comportamenti che ci appaiono diversi dai nostri. Ma se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.
Qualche anno fa concludevo l’analisi di Una storia semplice con la citazione di un testo di un grande filosofo, Peter Sloterdijk, autore di un libro di grande importanza, “Critica della ragion cinica” che nasce dalla migliore tradizione europea. Vorrei riproporlo:
“Nei nostri istanti migliori, quando davanti allo splendore perseverante della buona riuscita, il fare, il più energico, fa luogo al lasciar stare, e il ritmo vitale ci sostiene spontaneamente, allora può annunciarsi all’improvviso il coraggio, come una chiarezza euforica oppure come una serietà mirabile e serena. In noi si risveglia il presente. L’attimo vigile si eleva con un balzo all’altitudine dell’essere. Freddo e chiaro, ogni istante entra nel tuo spazio, né tu differisci da quella chiarezza, da quella freddezza, da quella esultanza. Le cattive esperienze recedono davanti a nuove opportunità. Non vi è storia che ti invecchi. Il disamore di ieri non costringe a nulla. Nella luminosa presenza di spirito l’incantesimo di un continuo ripetersi è rotto. Ogni secondo consapevole estingue il disperante “già stato” e diventa il primo di un’altra storia”.

SALVATORE COSTANTINO

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