29 aprile 2024

ANTI-DELEUZE

 


Sergio Benvenuti,  Anti-Deleuze

Vorrei condividere un’esperienza della mia pratica di psicoanalista.

Da anni seguo via online persone che abitano all’estero. Alcuni vivono in paesi attraversati da disastri come guerre e profonde crisi sociali.  Soggetti dall’Ucraina, dalla Russia, dall’Armenia e dalla Siria. Si tratta talvolta di esuli, che vivono lo sradicamento imposto da forza maggiore.

Ebbene, anche quando la guerra infuriava o infuria – come in Ucraina – i soggetti nelle sedute parlano molto raramente, e di sfuggita, della condizione politica critica in cui stanno vivendo. I problemi che li assillano sono più o meno gli stessi che portano pazienti di Roma o di Vercelli – fiaschi amorosi, litigi con la suocera, difficoltà nel trovare l’impiego giusto, la solitudine… La guerra, la politica, è come se non esistessero. Direi anzi che parlano più della guerra in Ucraina pazienti italiani che ucraini.

 

Fui impressionato da una seduta avuta con una analizzante di Kyiv circa due anni fa. A Kyiv si aspettava la sirena che avrebbe avvertito la popolazione di un’incursione aerea russa, ma la signora parlò con foga solo del suo dilemma: se lasciare il marito per raggiungere il giovane amante a Leopoli.

Tengo a precisare che questi miei analizzanti ucraini e russi non sono contadini o persone di poca cultura, sono persone per lo più professori universitari, benestanti, o psicoanalisti a loro volta.

Quanto poi all’inconscio, è ancora meno politicizzato.

 

Lo psicoanalista Serge Leclaire a un congresso portò un sogno di una sua paziente che seguiva nel 1965. Questo sogno ruotava attorno a “le port de Djakarta”, il porto di Giacarta. Proprio a quell’epoca il mondo era sbigottito davanti allo sterminio dei comunisti e di altri indonesiani scomodi incoraggiato dal governo di Giacarta. Ciò si risolse nella morte di circa un milione di persone. Leclaire pensò che forse in questo caso l’inconscio fosse, una volta tanto, impressionato da un genocidio. Ma poi, analizzando bene il sogno, venne fuori che “le port de Djakarta” rimandava in realtà a quel “porc de Jacques”, quel porco di Jacques!, l’amante che tempo prima l’aveva lasciata. L’inconscio è politicamente scorrettissimo.

 

Proprio Leclaire raccontava un aneddoto personale che lo aveva molto colpito. Negli anni 1930 aveva uno zio ebreo in Francia il quale era sconvolto dalla politica di discriminazione degli ebrei iniziata dal governo nazista. La guerra sembrava ancora lontana, e lo zio, pur non essendo implicato in prima persona, era veramente ossessionato da questa politica… Paventava cose assurde, addirittura lo sterminio degli ebrei! I parenti pensarono che il poveraccio stesse esagerando per cui… lo mandarono a farsi curare per un po’ in una clinica psichiatrica.

Questo è un caso in cui la lungimiranza politica coincide con una diagnosi psicopatologica.

 

Il primato dei crucci privati mi ha certamente colpito ma non sorpreso. Perché non ho mai creduto alla predicazione di Deleuze e Guattari.

Come è noto, costoro rimproveravano alla psicoanalisi soprattutto freudiana di voler “familiizzare” tutto, di ridurre tutti i conflitti detti psichici a storie di mamma, papà, inauspicato fratellino, toccamenti di pisellino o patatina tra bambini… Mentre, altroché, i veri problemi inconsci sono cose serie, politiche, lotta di classe, rivoluzione degli oppressi, ecc. Gli schizofrenici, in particolare, vibrano per le sorti drammatiche del mondo.

Deleuze commentò criticamente lo scritto di Freud sul piccolo Hans, il bambino di cinque anni che aveva sviluppato una fobia per i cavalli che allora muovevano le carrozze. Deleuze disse che era un abuso da parte di Freud ridurre la paura-compassione di Hans per i cavalli da traino in città alla sua ambivalenza nei confronti del papà. Macché, dice Deleuze, il piccolo Hans era veramente commosso dalla triste condizione dei cavalli da tiro a Vienna. Insomma, il problema di Hans avrebbe potuto trovare sbocco in una militanza animalista.

 

In sé, la correzione di Deleuze potrebbe anche convincere. I bambini sono capaci di inaudite compassioni così come di stravaganti paure. Anzi, andrei anche oltre: i bambini si commuovono per la sorte di cose inanimate. Quando avevo cinque o sei anni andai a cinema con i miei genitori e fui colpito da una scena del film in cui la bicicletta del protagonista finiva sfasciata. Quella bicicletta mi impietosì e la sera mi misi a piangere per il suo triste destino. Ecco una sfida alla teoria così popolare dei neuroni specchio…

Eppure nella realtà clinica accade proprio l’opposto di quel che auspica Deleuze. L’analista, avendo a che fare con analizzanti che vivono in paesi magari a lui stesso ignoti, si augura che loro portino elementi finalmente nuovi, etnici, socialmente idiosincratici, vistosamente non-eurocentrici. E invece si confronta sempre con le solite storie banalmente “freudiane”. Non manca di esserne deluso. Le differenze storiche ed etniche risultano alquanto epifenomeniche. L’analista, anche se animale politico, deve convenire obtorto collo che “tutto il mondo è paese”, perché gli esseri umani sono fatti della stessa stoffa infantile.

 

Così, credo che sia molto più verosimile la tesi promossa da George Lakoff (in Moral Politics): che i grandi conflitti politici, quelli che portano anche a distruzioni e miserie immani, sono una proiezione espansiva, cosmica, delle nostre primitive relazioni con mamma, papà, la balia, la zia… In analisi, emerge la straordinaria pregnanza del Piccolo Mondo Antico.

Mi chiedo se certi colleghi possano portarmi esperienze ben diverse.

Articolo ripreso da: https://www.leparoleelecose.it/?p=49232

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