IN MEMORIA DI ANTONINO UCCELLO
STUDIOSO DI TRADIZIONI POPOLARI SICILIANE
La foto che riprende un momento del seminario condotto da
Antonino Uccello, nell'agosto del 1975, nel Centro di Formazione di Danilo
Dolci, ha spinto anche il mio carissimo amico Nicolò Messina, che ho incontrato
per la prima volta proprio in quell'occasione, e che è riconoscibile nella
stessa foto proprio accanto all'indimenticabile studioso di tradizioni popolari
siciliane, a scrivere un breve ma intenso ricordo dell'uomo e del contesto
storico in cui abbiamo avuto la fortuna di incontrarci.
Di seguito lo pubblico insieme ad una nota che avevo già postata
in questo archivio della mia memoria. (fv)
Nomina sunt…
I
nomi – si sa – sono consequentia rerum. Nel caso di Antonino
Uccello, credo, anche i cognomi.
Di
uccello, il profilo; lo slancio di volo, la leggerezza, l’agilità, la
leggiadria dei modi, della parola, dell’intelligenza. È questa l’immagine che
conservo di lui, del lungimirante fondatore della Casa Museo di
Palazzolo Acreide (la Casa di Icaro), tra i primi esempi di musei
vivi, non cimiteriali; dei suoi seminari di antropologia applicata (in chiave
anche educativa), ai quali ero solito partecipare, negli anni trascorsi a
Trappeto in preda ad astratti furori vittoriniani, nel cenobio laico del Borgo,
al Centro di formazione di Danilo Dolci e dei suoi
collaboratori, dove per tre anni ho vissuto e lavorato.
E
ancora lo scampolo del ricordo di una conversazione illuminante, a cena, nella
spaziosa, scandinava mensa del Centro, conversazione da cui trapelava, a
beneficio di quanti sedevamo al suo tavolo, la sua militanza comunista oltre le
etichette, le tessere, i dogmatismi. Più o meno l’affermazione, non letterale,
ma parafrasi: «E ci sono anche – basta! – i pensionati della Rivoluzione».
L’allusione era nello specifico a Fidel Castro (auto)convertito già allora in
santa icona castrista. Ma gli passavano per la testa – si intuiva – altri
pensionati, indisponibili a mettersi in discussione, ai quali dire basta, in
Italia e altrove, che campavano (e campano) di rendita, quella da loro stessi
accumulata (nel migliore dei casi) o accumulata da altri, da altre generazioni.
In quel tempo – erano i secondi anni Settanta del Novecento (Berlinguer a Roma,
Occhetto alla segreteria del PCI siciliano) – esistevano, coabitavano entrambi.
Poi sarebbe stato l’occaso del sol dell’avvenire, la slavina dei dilapidatori
del legato altrui.
Come
nelle “belle” storie delle aristocrazie fondiarie meridionali medievaleggianti,
se non medievali, fin oltre il secondo dopoguerra mondiale; storie loro e di
qualche sparuto imprenditore e dei loro epigoni arrembanti, borghesi e no. Dai
Gattopardi ai Calogero Sedara…: generazioni che creano, altre che consolidano,
altre ancora che sperperano e distruggono! Il trionfo del capitalismo (vecchia
e nuova maniera)?
(Nicolò Messina)
*****
Ho conosciuto Antonino
Uccello al Centro Studi e Iniziative di Partinico nell'agosto
del 1975. Io ero approdato al Centro, diretto da Danilo Dolci,
qualche mese prima, appena laureato in storia e filosofia con una tesi
su Antonio Gramsci. Il fondatore della Casa-Museo di Palazzolo
Acreide (SR) ogni agosto veniva da noi a tenere un Seminario. Quell'anno
il tema era: MUSICA POPOLARE, FOLK E PROFITTO. Fresco com'ero della
lettura delle note sul FOLCLORE scritte dal grande pensatore
sardo nei suoi QUADERNI DEL CARCERE, trovai una documentatissima
conferma dell'interpretazione gramsciana del folclore nel ricco, artigianale
lavoro di ricerca di Antonino Uccello. Legammo immediatamente e alla fine del
seminario volle conoscere il mio paese natale, Marineo, per vedere LA
DIMOSTRANZA che proprio quell'anno, con la regia di Accursio Di Leo,
veniva riproposta. Ricordo ancora la sua delusione: "QUESTA NON E'
CULTURA POPOLARE. Questa è roba scritta da parrini!". La sua
delusione si stemperò solo quando incontrò mia madre che regalò ad Antonino
antiche ricette di dolci pubblicate l'anno successivo nel libro PANI E
DOLCI DI SICILIA, Sellerio 1976.
Il mio ultimo incontro con Nino
avvenne nella sua casa-museo di Palazzolo Acreide nel novembre del 1978. Mi
accolse come un fratello e mi regalò l'ultimo suo libro, ancora fresco di
stampa Risorgimento e società nei canti popolari siciliani.
Francesco Virga
Mi piace ricordarlo oggi con questa testimonianza dell'archeologo Giuseppe Voza, raccolta in un bellissimo libro del nipote del
Maestro che ho avuto il piacere di recensire quando uscì Cfr: http://cesim-marineo.blogspot.it/2012/06/per-antonino-uccello.html
“Uno dei motivi per cui, fra tutti i Paesi della Provincia, Palazzolo Acreide è
al vertice della graduatoria del mio personale indice di gradimento, è
certamente dovuto al fatto che l’ho sempre collegata ad Antonino Uccello e alla
sua Casa museo. Lo conobbi alla fine degli anni Sessanta (del Novecento)
quando, giovane archeologo della gloriosa Soprintendenza alle Antichità della
Sicilia Orientale, sotto la guida del Maestro Bernabò Brea, conducevo delle
campagne di scavo sul suolo urbano dell’antica Acre. Furono anni di felici
esperienze scientifiche e di grandi, prolungate occasioni di conoscenza di un
territorio ricco non solo di ragguardevoli testimonianze del passato, ma,
soprattutto, di un tessuto umano depositario di un bagaglio enorme di tradizioni
e saperi, ma anche dotato di singolare vitalità e simpatia. Antonino Uccello ne
era l’esempio tipico e rappresentativo, uomo che nutrì profondo amore per la
sua terra di cui conosceva, possedeva tutti i grandi, silenziosi, antichi
travagli della vita, del lavoro, i modi antichi, ma sempre vivi del pensare,
del fare, del dire. Profondo conoscitore non solo della sua terra ma anche dei
suoi uomini ebbe sempre vivo il desiderio della scoperta, senza mai mostrare
atteggiamenti di accademica sapienza, cosa che, unita al tratto gentile e umano
di sua natura, gli consentiva di accedere più facilmente non tanto agli oggetti
della cultura materiale, scopo non secondario delle sue ricerche, quanto alle
confidenze, ai racconti, ai canti, ai ‘segreti’ del lavoro, in ambienti umani
per loro natura distanti e silenziosi. Egli veniva a trovarmi sovente sullo
scavo, accompagnato dalla signora Anna e lo ebbi spesso come attento e
silenzioso testimone delle mie esperienze, desideroso di conoscere i modi del
ricercare nel lavoro altrui. Ebbi, così, modo di apprezzare lo spessore del
pensatore, dell’uomo portatore di ideali scientifici, umani, sociali. A questi
ultimi era particolarmente attento: egli era costantemente preoccupato dal
fenomeno di sottovalutazione, di dispersione e distruzione di quel delicato
patrimonio fatto di oggetti, di tradizioni, di usi, di credenze, di gusto,
espressioni insostituibili del mondo contadino entrato in crisi dagli anni
Cinquanta in poi quando si verificò un profondo cambiamento nella vita e nella
storia del nostro Paese. Fu allora che Antonino Uccello incominciò a farsi
carico di un’operazione di raccolta e salvaguardia di ogni possibile
testimonianza relativa ala mondo rurale e artigianale in Sicilia e, in
particolare, nel mondo Ibleo. Testimonianze che egli, nei suoi studi e nelle
sue presentazioni, non esibì mai come raccolte di collezioni, ma come strumenti
ed espressioni di un particolare modo di lavorare, di produrre, di creare. Cosa
che si coglie soprattutto nell'interesse di Antonino Uccello per quello che si
definisce patrimonio culturale immateriale: le voci, i canti, i suoni,
espressioni della sensibilità, dell’anima umana, insostituibili strumenti di
riconoscimento della identità di una comunità. Questo modo di concepire e di
essere attento nella raccolta di testimonianze del passato non poteva non
comportare nella mente di Antonino Uccello un pensiero costante: quello di
proporre le proprie raccolte in una maniera nuova, viva, attiva. Nacque così
l’idea della Casa museo alla cui creazione Egli si dedicò con grande e
appassionato lavoro. E alla Casa museo devo uno dei ricordi che più mi legano a
lui. L’uomo che aveva raccolto tutto quanto poteva da un territorio di cui
conosceva profondamente le radici culturali, storiche, sociali, passava ora a
mostrare quanto aveva acquisito, con uno straordinario lavoro di recupero
sistematico, a riproporre, come per magia, i momenti e le attività del mondo
rurale e artigianale usando sapientemente e appropriatamente gli oggetti
raccolti. Faceva così vivere e trasmetteva con gli oggetti saperi, tradizioni,
usi, religione, gusto artistico di un mondo che la società andava spegnendo
sotto l’onda del consumismo. Le sue mostre furono sempre momenti di
comunicazione irripetibili. Ricordo con particolare emozione quando,
approssimandosi alla fine, mi pregò vivamente di interessarmi personalmente
all'acquisizione all'Ente Pubblico che rappresentavo, le sue collezioni,
preoccupato com'era che andassero disperse e non potessero più continuare a
svolgere le funzioni per cui le aveva raccolte per tutta la sua vita. Nel 1983
riuscimmo ad assolvere all'impegno preso in quell'occasione assicurando alla
Pubblica Amministrazione la Casa museo e le collezioni Uccello, consci di aver
reso omaggio a chi è rimasto un raro esempio di Uomo, di Studioso, di Maestro.”
(Giuseppe Voza)
Testimonianza tratta dal libro di Paolo Morale
Uccello, Le rotte di Icaro
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14 giugno 2012
Mi sembra un miracolo che la
Regione Siciliana, come istituzione, riesca a dare spazio al vero e al bello.
Ma di fronte al libro, ancora fresco di stampa, intitolato Le rotte
di Icaro, edito dalla Casa museo Antonino Uccello di
Palazzolo Acreide, per conto dell’ Assessorato Regionale ai Beni Culturali,
comincio a credere ai miracoli.
Gaetano
Pennino ha curato con sapienza e amore il libro, frutto di un lavoro
collettivo, anche se viene indicato come autore Paolo Morale Uccello, nipote
del compianto Antonino. Qualche mese dopo ho avuto il
piacere di incontrare PAOLO MORALE. E' stato particolarmente emozionante per me
rivedere in lui alcuni tratti somatici del nonno. Ha partecipato, insieme al
Prof. Clemente e a Gaetano Pennino, alla presentazione de Le rotte di
Icaro che si è tenuta al Museo Internazionale delle Marionette di
Palermo.
Il suo intervento è stato bello e appassionato. Ed io mi scuso con
lui per averlo sottovalutato.
Il prezioso volume, corredato anche da inedite
fotografie, contiene le testimonianze di amici e studiosi di Antonino Uccello,
tra cui Vincenzo Consolo, Vittorio De Seta, Luigi M. Lombardi Satriani, Nino
Privitera ed Ernesto Treccani. Documentate e appassionate la
Prefazione di Pietro Clemente e l’Introduzione del Pennino. Il libro è
arricchito, infine, dai frammenti di un epistolario, che meriterebbe di essere
recuperato per intero, e da quattordici poesie inedite.
Siamo stati amici di Antonino Uccello e torneremo a parlare dell’uomo e della
sua opera. Oggi voglio farlo con tre delle sue poesie
inedite – che da sole spiegano l’ostilità con cui venne trattato in vita da chi
aveva potere – e con le parole di Vincenzo Consolo che, come sempre,
vanno al cuore delle cose.
Industrializzazione
a Priolo
Prendi la fuga
la fuga tesa
del gabbiano innocente
hanno elevato torri
di acciaio e ghisa
forche alla solitudine
brine di smog fiamme
di neon e bitume
sulle notti marine.
L’ opulenza
L’opulenza non è mai sazia
alza agguati tesse inganni
cova vermi per altre linfe
nel Palazzo dei Normanni.
A un esimio Maestro
di un Ateneo siciliano
Dedica
Gufo
accademico
buio pidocchio
di libri
altrui
covo di tarme
e moccio
di ranocchio.
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ANTONINO
UCCELLO NEL RICORDO DI VINCENZO CONSOLO
Vincenzo Consolo ha lasciato un ritratto indimenticabile di Antonino Uccello in Le
pietre di Pantalica evidenziando, tra l’altro, come la molla
principale del suo agire non fosse tanto la nostalgia quanto il
desiderio e la speranza di riscatto. Nel volume Le rotte di Icaro,
curato dal Pennino, lo scrittore di Sant’ Agata di Militello torna a parlare
dell’amico affermando:
“Il 1948. Insegnava allora Antonino a Cantù, in Lombardia. Ed era per
lui, come per tutti gli emigrati, un andare e tornare insieme all’eroica moglie
Anna, dalla Lombardia alla Sicilia, a Canicattini Bagni, andare e tornare, in
viaggi di due giorni, su treni lenti, ansimanti. Ed è allora che Antonino, nei
suoi ritorni, vede e dolora. Vede quel suo mondo che man mano moriva, spariva.
Cominciavano ad andare via i contadini, dopo il fallimento della riforma
agraria, ad abbandonare le loro case, i loro campi, e buttavano negli
immondezzai utensili e attrezzi di lavoro. Quindi, con amore, passione e furore
Uccello comincia a raccogliere quei relitti di un gran naufragio, quegli
oggetti del mondo contadino che erano anche linguaggio, storia, memoria. Per
anni e anni, peregrinando per la Sicilia, raccoglie tutto quanto può di quello
che era il suo mondo, la sua memoria, l’ispirazione della sua poesia, e riesce
a creare quella Casa museo di Palazzolo Acreide, quel museo della nostra
memoria, a crearlo contro il disinteresse del potere politico e l’ostilità
degli accademici.
[…] Non riscatto da allora, ma sempre più degrado, alienazione, ignoranza,
stupidità e volgarità, in questo nostro presente di fascismo fascista.
Ah Pasolini, ah Uccello, spero, da
questo nostro inferno che voi possiate andare per campi Elisi tra i fiori
turchini del lino, nel lucore dorato delle lucciole. Spero che voi ignoriate
l’abominio e la vergogna di questo nostro attuale Paese." (Vincenzo
Consolo)
L’ autobiografia di Antonino Uccello, pubblicata un anno dopo la sua morte, si
chiude con queste parole:
“ Un giorno d’estate sopraggiunse
da Priolo una comitiva di dirigenti della Montedison per visitare la
Casa-museo. Prima di accomiatarsi uno della comitiva si staccò e mi
disse: avevate questa ricchezza e avete chiamato noi per distruggerla. Mi
riportò al lontano dopoguerra. Intorno al 1948 dovetti tornare da solo dalla
Lombardia a Palazzolo per pochi giorni, in pieno aprile. Attraversata Augusta
con le sue ancora intatte saline – i mucchi di sale, le sequenze di tegole per
coprirli, i riquadri di mare che specchiavano scorci di cielo – nei pressi di
una delle tante stazioncine, quando il treno sembra quasi sostare, m’apparve
dal finestrino un campo di lino coi suoi fiori turchini, come fosse una
proiezione dello Jonio. I contadini degli Iblei, che allora rare volte nella
vita avevano la possibilità di vedere il mare, lo definivano u linu
ciurutu, un campo di lino in fiore.
Forse pensavo di rivivere per me e per gli altri questa antica, incontaminata
bellezza, in un tempo giusto con amore, come contrassegnava
Bach l’esecuzione di certa sua musica.
Abbiamo vissuto e viviamo la vicenda di questo museo in sincronia col
nostro tempo, nel contesto di una società contraddittoria sospinta da mutamenti
in profondo, che giorno dopo giorno si carica di sempre nuove tensioni e
violenze. Per questo forse mi vengono in mente alcuni versi di una poesia di
Brecht dedicata A coloro che verranno:
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un
delitto,
perché su troppe stragi comporta
silenzio!
Il poeta concludeva:
Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il
terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.
Antonino Uccello, La casa di Icaro
N.B. Attraverso il
motore di ricerca interno al blog potete trovare altri ricordi di Antonino
Uccello e alcuni suoi testi.
PS: Tramite
WhatsApp ho appena ricevuto questi bei commenti da un gruppo di cari amici:
"Caro Franco, c'era
tutto un clima particolare in quegli anni. Tu parli specialmente del 1975. Io
allora iniziavo a frequentare il "clan" Buttitta, non solo per motivi
accademici ma anche per interessi culturali. Gramsci e le sue note sulla
cultura popolare erano allora colazione giornaliera. E poi quel "Folklore
e profitto" di Lombardi Satriani, tutto sottolineato, assieme a
"Folklore e dinamica culturale" di Lanternari. Antonino Uccello l'ho
conosciuto in occasione di un seminario sul teatro popolare organizzato in
Facoltà da Beno Mazzone. Venne anche Ciccino Carbone . Il dibattito finale si
trasformò in un appello , da parte di Uccello, per la salvaguardia del presepe
popolare. Tu parli della "Dimostranza" di Marineo, io ti posso
parlare dei miei primi approcci critici al "Mastro di Campo" di
Mezzojuso. Ti dirò che anche nel mio paese venne sperimentata la
"regia" di Accursio Di Leo: non fece danni, si limitò a qualche
suggerimento.Come vedi, ci si abbeverava alla stessa acqua. Tu senz'altro più
assetato...Non voglio ricordare questo passatoper nostalgia. Ancora adesso, un
certo rigore culturale, frutto di quegli anni, mi accompagna." (Pino Di
Miceli)
"Nel 1975 lavoravo nelle Ferrovie dello Stato in Calabria,
pomeriggio mattina e notte".(Santo Lombino)
Santo ricorderà che lo
andai a trovare qualche tempo dopo a Lamezia Terme...
Sapete
quanto mi dava il Centro Studi e Iniziative di Partinico per il mio lavoro a
tempo pieno nel Borgo di Trappeto? 60 mila lire al mese! Ma allora ci bastavano
anche perchè ci illudevamo che la Rivoluzione fosse alle porte...(fv)
NICOLO' MESSINA, poco fa, con Whatsapp mi ha inviato questo bel commento: " Antonino Uccello è stato un gigante nella sua apparente fragilità. Avevo dimenticato la nota scritta su di lui. Grazie di averla rinverdita e affettuosamente riproposta. Anche alla mia smemoratezza. Sì, anni di astratti furori che ciascuno ha incanalato come ha potuto, ma dai quali è rimasto contrassegnato. Ciascuno a suo modo purtroppo isolati. Per incapacità di far rete, gruppo consapevole e organizzato, come i nostri maggiori...
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