JARRY VULCANOLOGO PACIFISTA
di Dario Borso
A inizio 1905 un ventottenne Filippo Tommaso Marinetti varò il mensile “Poesia”, rassegna internazionale bilingue impegnata a diffondere il verso libero dove, grazie anche ad una notevole disponibilità economica, coinvolse molti autori francesi di spicco. Tra essi il trentunenne Alfred Jarry, molto più noto di lui (sin dal debutto nel 1896 di Ubu roi, per non dire dei suoi “romanzi” successivi, tra cui il chiacchieratissimo Messaline) e di lui molto più povero. Ben perciò costui non tardò a rispondere inviando un pezzullo che uscì tosto sul n. 5-6 del giugno-luglio col sottotitolo redazionale “Poème en prose”.
Il 28 maggio 1905 la marina giapponese aveva annientato a Port Arthur la flotta russa ponendo fine a una guerra quasi lampo (105 giorni, mentre le trattative per la pace ne sarebbero durati 90). Jarry ne tratta qui a modo suo, giocando sin dal titolo[1].
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IL FUCJ-YAMA
L’eccellenza dell’armamento dei Giapponesi, confermata dai loro trionfi, consiste nei loro cannoni da 305 millimetri[2] così come nella loro impareggiabile moschetteria[3].
Ma l’abitudine che ha questo popolo sottile di esprimersi in frasi avviluppate, allegoriche e volutamente oscure fa sì che nessuno abbia penetrato il segreto della difesa nazionale nipponica.
Si sa tuttavia che l’invenzione della polvere da sparo e delle armi da fuoco risale, presso i popoli dell’Estremo Oriente, alla più remota antichità; tanto che i Cinesi e i Giapponesi, probabilmente scettici duemila anni fa sull’uso mortale del salnitro, preferivano impiegarlo per benigni fuochi d’artificio[4].
Le prime missioni che penetrarono in Giappone[5] appresero che Tokyo era difesa da un cratere aperto donde potevano sprigionarsi a intervalli delle esplosioni, fuoco e fumo. E da allora si è accreditata e perpetuata grazie agli atlanti la leggenda – confusione peggiore di quella tra una lucciola e una lanterna[6] – che c’era una montagna alta tremilasettecentocinquanta metri – la gittata del fucile – del fucile yama[7].
Se si obietta poi che il presunto vulcano è assai poco in attività, chi sosterrebbe che un’arma da fuoco può essere a getto continuo?
Nelle religioni orientali, Yama designa invariabilmente il dio della morte[8].
Il nome del fucile giapponese è dunque giusto – così come quello della Lunga Carabina dell’eroe di Fenimore Cooper: Morte Certa[9].
E i piccoli giapponesi, vista l’ignoranza europea circa la geografia della loro isola, appoggiandosi alla loro arma devono esplodere, come Occhio di Falco, in una bella risata silenziosa.
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[1] Il pezzullo non è mai stato tradotto in altre lingue finora.
[2] In dotazione alla marina giapponese, saranno i protagonisti della Prima guerra mondiale.
[3] Il moschetto fu arma dominante da inizio 600 a fine 800, quando venne sostituito dal fucile a retrocarica.
[4] Dal 600 in avanti il salnitro, comburente della polvere da sparo, era anche detto “sale della Cina”.
[5] Durante la seconda metà del 500.
[6] Letteralmente “del Pireo con un uomo “, modo di dire che trae spunto dalla favola di Esopo, ripresa da La Fontaine, La scimmia e il delfino.
[7] Il Fuji-Yama, che letteralmente significa “Immortale Monte”, è alto esattamente 3.776 metri. Il fucile migliore dell’esercito giapponese nel 1905 era il “Type 38” Arisaka dalla gittata massima di 2.350 metri.
[8] Lo è precipuamente nella religione hindu.
[9] Il riferimento è al ciclo di romanzi avviato con L’ultimo dei Mohicani (1826), dove l’eroe assume i nomi Lunga Carabina e Occhio di Falco, ma mai Morte Certa.
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