24 aprile 2024

GIORGIO ALMIRANTE E IL SUO M.S.I.

 


Giorgio Almirante e Pino Rauti


APPUNTI PER UNA STORIA DI  G. ALMIRANTE E DEL SUO M.S.I. 

25 aprile 1945. L’Italia è finalmente libera. Giorgio Almirante è latitante. Su di lui c’è un mandato di cattura. Vive a Milano sotto falso nome, quello di Giorgio Alloni. Questo sarà il suo nome fino all’amnistia del ’46. Si trasferisce subito a Roma e dopo 2 mesi, è il 26 dicembre, in uno studio legale di “Piazza Barberini”, insieme ad un manipolo di reduci dell’ex repubblica di Salò, fonda il “Movimento Sociale Italiano”.

Almirante, 32 anni di Salsomaggiore, ex capo di gabinetto del ministro Mezzasoma, ex caporedattore al “Tevere” di Telesio Interlandi, nonché ex segretario di redazione alla “Difesa della Razza”, ed ex brigatista nero in Val d’Ossola, viene eletto segretario.

Un anno dopo il partito adotta come simbolo la “fiamma tricolore”, quella che arde sulla tomba di Benito Mussolini e che ancora oggi campeggia nel logo di “Fratelli d’Italia”.

Il primo comizio di Almirante è a Roma in piazza San Giovanni, il 10 settembre del '47: dopo pochi minuti, raccontano le cronache, il segretario missino è già in fuga, cacciato letteralmente a calci. Il “Movimento sociale italiano” si presenta alle elezioni per la prima volta l’8 aprile del 1948 ottenendo il 2,1% alla Camera. Almirante fa il suo ingresso in Parlamento con altri 6 neofascisti e non abbandonerà più la Camera dei deputati, venendo eletto ancora per nove volte consecutive.

Nei primi 3 anni della sua segreteria, non disdegna rapporti affettuosi con la “Democrazia Cristiana” di Alcide De Gasperi, tanto da contribuire, con mezzo milione di voti, all’elezione del sindaco “Dc”, Salvatore Rebecchini, primo grande speculatore edilizio, nelle amministrative romane del ’47.

Nel 1950 Almirante non è più segretario. Al suo posto, Augusto De Màrsanich, nel “Ventennio” sottosegretario alle “Comunicazioni” (1935) e alla “Marina mercantile” (1939). Ricoprì cariche anche nella “Repubblica Sociale Italiana”. Uomo di manovra e di relazioni così come il successore Arturo Michelini, ex tesoriere del partito.

Almirante si mette alla testa dell’ala più estremista. <<L’equivoco, cari camerati, è uno e si chiama essere fascisti in democrazia>>.

Nel frattempo il “movimento sociale” appoggia il governo Tambroni, feroce anticomunista. E’ il 29 aprile del 1960. I 24 voti missini risultano determinanti per la nascita del nuovo esecutivo, un monocolore “Dc”. È il primo esecutivo nel dopoguerra a essere sostenuto dai neofascisti.

Genova, Roma, Reggio Emilia insorgono. Il 7 luglio, a Reggio Emilia, 5 operai reggiani iscritti al partito comunista vengono uccisi dalla polizia. Cade il governo Tambroni. Il “Msi” esce cosi dall'area di governo. E all'orizzonte si profila il centro-sinistra. Isolata, ed erosa in parte dai liberali, per la Fiamma iniziano anni magri. Rimane uno zoccolo duro che si aggira più o meno attorno al 4-5%.

Nel giugno del 1969, muore il segretario Arturo Michelini e Almirante torna in sella al partito. Che cavalcherà per 18 anni. Lo fa a modo suo. Siamo in piena “strategia della tensione. Aizza le piazze, accompagnato dai suoi mazzieri, sponsorizza la rivolta dei “boia chi molla” di Ciccio Franco a Reggio di Calabria (1970), invita i camerati più giovani all’autodifesa armata.

Il 23 settembre 1969 traccia la linea che rimbomba ancora oggi nelle posture dei suoi epigoni: <<Lo stesso fascismo è stato innanzitutto un fatto di costume e per questo è stato l’unico momento epico nella storia del popolo italiano. Io vorrei che riuscissimo ad installare in noi stessi e in molti italiani, la nostalgia dell’avvenire. Un avvenire pregno di passato>>.

Con lui rientrano nel partito i “duri e puri”. Vi si riavvicina il golpista, Junio Valerio Borghese. Accorrono i De Lorenzo, i Birindelli , i Musumeci dei servizi segreti. E quel Pino Rauti inventore di “Ordine Nuovo”, che verrà sciolto nel ’73 dalla magistratura. E poi Carlo Maria Maggi (condannato per la strage di Piazza della Loggia del 1974 e nel 1969 già membro del comitato centrale missino), Paolo Signorelli (membro del comitato centrale del Msi, condannato per banda armata), Stefano Delle Chiaie, Franco Freda, Delfo Zorzi, Massimiliano Fachini, incriminati per strage.

Tant’è che nel novembre 1971, il procuratore generale di Milano, Luigi Bianchi D’Espinosa, apre un’inchiesta contro Almirante ed il “Msi” per ricostituzione del partito fascista. Il 24 maggio 1973 la Camera dei deputati concede l’autorizzazione a procedere contro Almirante. Poi finirà tutto in cavalleria.

In questi anni bui, Almirante, si esibisce anche nella versione in “doppiopetto”, presentandosi ai moderati come il paladino dell’ordine e dei valori tradizionali. Chi vi ricorda?

La nuova gestione, “doppiopetto e manganello”, viene premiata dal voto nelle elezioni del 1972, il partito raggiunge l’otto o nove per cento, mentre l’unificazione con vecchi arnesi monarchici segna il varo della nuova denominazione “MSI-Destra nazionale”.

Il “doppiopetto” di Almirante spesso lascia intravedere i panni di sempre: il segretario missino compare alla “Sapienza” di Roma scortato da nugoli di squadristi, risulta coinvolto nella strage di Peteano (rinviato a giudizio per favoreggiamento, viene poi amnistiato).

Il suo è un partito <<di notabili, di sottoproletari e di reduci. Con appoggi nella residua aristocrazia italiana. Altro legame forte: alti gradi dell’esercito, vecchi magistrati, uomini dei servizi, carabinieri. Una trama di rapporti mai del tutto trasparente ma reale>>. (Bruno Gravagnuolo)

Sempre al servizio di quel <<sovversivismo delle classi dirigenti>>, direbbe Antonio Gramsci.

Come dimenticare quella Tribuna Politica del 1970, in cui Giorgio Almirante auspicò per l’Italia un colpo di Stato contro il comunismo, sul modello della Grecia dei colonnelli.

Era questo il partito di La Russa, Meloni, Rampelli e compagnia cantante.

Almirante fu sempre chiarissimo: <<Che sono fascista ce l’ho scritto in fronte>>. Almirante è sempre stato fascistissimo: razzista, rastrellatore di ebrei, repubblichino, ma soprattutto un killer sanguinano di partigiani.

Basta continuare a sfogliare la sua biografia. Da studente universitario milita nei GUF (Gruppi universitari fascisti) e scribacchia sul giornale fascistissimo “Tevere”. Nel 1938 diventa segretario della redazione della rivista “Difesa della Razza”, dove si teorizza e si sproloquia dell’utilità di sterminare <<le razze umane inferiori>>.

Scrive: <<Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei, che hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi >>.

E’ su “La difesa della razza” che viene pubblicato il “Manifesto della Razza” – firmato da 10 scienziati, tra cui 2 zoologi – in cui si legge tra l’altro che <<esiste una pura razza italiana>>, che <<gli ebrei non appartengono alla razza italiana>>, che è <<necessario fare una distinzione tra i mediterranei d’Europa da una parte e gli orientali e gli africani dall’altra>>.

Il Manifesto anticipa di poche settimane la promulgazione delle Leggi razziali, che priveranno gli ebrei di tutti i diritti e saranno la base ideologica che porterà alla deportazione e allo sterminio di migliaia di italiani.

Scoppia la Seconda Guerra Mondiale, e Almirante parte volontario per l’Africa Settentrionale, per passare dalla teoria alla prassi: sterminare quanti più “neri ” possibili.

Dopo l’8 settembre, l’armistizio, i fascisti se la danno a gambe e mettono in piedi la sgangheratissima Repubblica di Salo’. Fernando Mezzasoma, ministro della cultura popolare, lo nomina capo di gabinetto nel proprio ministero.

Firma ordinanze di fucilazione di partigiani. Nella primavera 1944 appare sui muri dei paesi dell’alta Toscana (in particolare nelle zone del Grossetano) un bando, firmato da Giorgio Almirante. Si annuncia la fucilazione per <<sbandati ed appartenenti a bande>> che non si fossero consegnati ai <<posti militati e di Polizia Italiani e Tedeschi>>.

In parole povere: la pena di morte per i giovani e i militari andati sui monti dopo l’8 settembre. Chi non si fosse consegnato a fascisti e tedeschi, se catturato, sarebbe stato fucilato alla schiena. Ma non gli basta. Nel ‘44 lascia il ministero e si arruola nelle brigate nere che danno la caccia ai partigiani.

Giorgio Almirante muore nel 1988. Prima benedice il giovane Fini, bolognese, deputato dal 1983, che al Congresso di Sorrento, diventa segretario: 727 voti contro i 608 di Pino Rauti.

Ecco cosa scrive Giorgia Meloni su Giorgio Almirante: <<Amore per l’Italia, onestà, coerenza e coraggio sono valori che ha trasmesso alla Destra italiana e che portiamo avanti ogni giorno. Un grande uomo che non dimenticheremo mai>>.

In tempi così carichi di smemoratezza e trasformismo, non sarà poi così male tornare a sfogliare qualche pagina di Storia.

Essere antifascisti non è semplicemente una presa di posizione contro la malvagità del fascismo.

Essere antifascisti è un metodo di interpretazione della Storia.

Uno strumento di valutazione del passato, affinché quel passato non si ripresenti più.

Non si arretra di un millimetro. Perché puoi anche non occuparti del problema, ma sarà il problema a occuparsi di te.

[Alfredo Facchini]

 


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