FARE FEMMINISMO: UN ESTRATTO
Pubblichiamo, ringraziando editore e autrice, un estratto dal libro di Giulia Siviero Fare Femminismo, uscito per nottetempo. L’autrice presenterà il libro questa sera a Milano con Chiara Alessi: l’incontro si terrà alle ore 19 presso Noi libreria.
Prendere la cosa per il rovescio
Per la conoscenza di sé e del proprio corpo bastano una torcia, uno specchietto e uno speculum, lo strumento che serve a dilatare la vagina e a osservare gli organi genitali interni. Sebbene se ne ritrovino tracce nell’antichità, la versione moderna dello speculum, “a becco d’anatra”, è stata inventata nell’Ottocento dal chirurgo statunitense James Marion Sims, spesso presentato come uno dei padri della ginecologia.
Sims comincia a interessarsi all’apparato sessuale femminile quando uno schiavista dell’Alabama gli si presenta con la richiesta di guarire alcune donne, tre delle quali identificate con i nomi di Anarcha, Lucy e Betsey: soffrono di fistole vescico-vaginali e non possono continuare a lavorare “con efficienza” nelle piantagioni. Per anni Sims[1] le custodisce come una proprietà nel retro del suo ospedale e su di loro conduce i propri esperimenti senza anestesia, nella convinzione che le persone nere non provino dolore, e senza curare i danni che lui stesso provoca.
Nello speculum alcune femministe degli anni Settanta vedono il simbolo del modo in cui le istituzioni mediche hanno trafficato con i corpi delle donne. E se ne appropriano. Sostituiscono il freddo strumento metallico usato dai ginecologi con uno più economico fatto di plastica trasparente e lo ripensano per poterlo usare da sé: posizionano l’impugnatura in verticale per mantenerne il completo controllo, dunque all’opposto del modo in cui di solito lo inserisce un medico; si mettono sulle loro gambe, accovacciate o sull’orlo di una sedia, per togliersi dalla posizione di completa impotenza che le vuole sdraiate a gambe aperte su un lettino ginecologico; e infine, attaccano allo speculum uno specchio o ne posizionano uno di fronte alla vulva, lo colpiscono con un fascio di luce e si guardano.
Si rivelano a loro stesse svelandosi. Tolgono, e non solo simbolicamente, il telo con il quale il ginecologo durante la visita copre metà del loro corpo e che è una dichiarazione inespressa, dicono, di quanto una donna debba per forza essere imbarazzata dalla propria vagina. Quel telo “spezza” il corpo a metà, impedisce la vista di una parte di sé e rafforza l’idea che i corpi femminili siano dominio e proprietà dei medici.
Dopo l’incontro in quella libreria di Los Angeles Downer e il suo gruppo, le West Coast Sisters, cominciano a presentare regolarmente l’auto-visita ginecologica ad altre donne e a essere chiamate un po’ ovunque per replicare la dimostrazione. La pratica del self-help si diffonde così in California e in tutti gli Stati Uniti, e poi in Canada, Messico, Europa, Australia e ancora altrove. Alcuni gruppi iniziano questa pratica tra amiche, altri tra donne che hanno ricevuto un volantino o che hanno risposto all’annuncio su una pubblicazione femminista.
Alcuni si concentrano sulla scoperta autogestita del proprio corpo e altri la combinano con l’autocoscienza e l’analisi di sé: come nel gruppo di presa di coscienza non c’è bisogno di esperti, così nel gruppo di presa di conoscenza del proprio corpo non c’è bisogno di “tecno-stregoni” che hanno il potere della loro scienza “sopra di noi”, dicono nel 1975 le femministe italiane al primo Convegno sulla salute della donna tenuto a Roma.
Le donne si guardano, si toccano, capiscono anatomia e fisiologia dei loro organi genitali. E studiano. Si scambiano informazioni, osservazioni ed esperienze. Imparano a notare le alterazioni del collo dell’utero e delle pareti vaginali durante il ciclo mestruale, a riconoscere l’inizio di una gravidanza o le diverse infezioni e a sperimentare cure fai da te.
Compilano calendari accurati, scrivono diari sulle loro secrezioni vaginali, preparano schede basate sull’osservazione quotidiana. E accumulano un sapere che mai nessun medico avrebbe potuto avere: “Nessun ginecologo potrà avvalersi della conoscenza delle variazioni giornaliere. Il medico interviene sempre dopo, a malattia scoppiata”[2], mentre con l’auto-visita, dicono le femministe, le donne possono scoprire uno stato patologico molto prima: perché ormai si conoscono.
Nei gruppi di self-help un’azione porta a un’altra e a quella dopo ancora. Oltre che dello speculum, le femministe si appropriano di diversi strumenti e tecnologie considerate di proprietà esclusiva della medicina ufficiale.
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[1] Rose Eveleth, “Why No One Can Design a Better Speculum”, in The Atlantic, 17/11/2014, https://www.theatlantic.com/health/archive/2014/11/why-no-one-can-design-a-better-speculum/382534/
[2] Leslie Leonelli, Pirkko Peltonen, “Le streghe son tornate”, in Effe, giugno 1975, https://efferivistafemminista.it/2015/01/self-help-le- sreghe-sono-tornate/
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