E' da poco
in libreria l'ultimo romanzo di Andrea Camilleri che prende spunto da una
vicenda accaduta nella Sicilia del 1677. Ne presentiamo qualche pagina,
preceduta dalla recensione apparsa su l'Unità.
Silvio
Fallica - Donna Eleonora, la viceregina che aiutò i deboli
La rivoluzione della luna è un romanzo ambientato nel
Seicento, nel 1677 per l’esattezza, che contiene manzonianamente delle
riflessioni critiche anche sul mondo contemporaneo, sulle lotte di potere e sui
meccanismi del potere, sul coraggio delle riforme e sulla possibilità che
attecchiscano solo se legate alle esigenze concrete delle persone in carne ed
ossa, ispirate da una visione illuminata ed egualitaria.
E la
sensibilità femminile del Vicerè diventa elemento fondamentale di identificazione
fra legge ed esigenza di giustizia, fra principio e prassi. È un libro profondo
La rivoluzione della luna, uno dei più bei romanzi camilleriani, ed è forgiato
con una struttura linguistica che è un esempio straordinario di fusione di
linguaggi, e non solo per la freschezza vitale della mistione di italiano e
dialetto, o meglio dialetti, intrisi di termini arcaici e di altri creati ex
novo, ma anche per la formidabile versione italo-spagnola della parlata della
viceregina donna Eleonora di Mora.
Una figura
realmente esistita, Eleonora de Moura, vedova del Vicerè don Angel de Guzman,
marchese di Castel Roderigo. Camilleri, così come in precedenti romanzi
storici, parte da un fatto accertato e poi rielabora in maniera originale la
vicenda. Del resto, partendo da episodi minori, sui quali vi è pochissima
bibliografia, la sua fantasia prolifica diventa dimensione d’invenzione, ma con
un rigore razionale nella ricostruzione che riesce a dare luce a fatti che
altrimenti cadrebbero nell’oblio.
La vivacità della
sua narrativa, permeata da ironia critica, dà freschezza e immediatezza agli
eventi, nella parte iniziale del romanzo è esilarante la descrizione
dell’incedere del Vicerè che si avvia a presiedere il Sacro Regio Consiglio.
«Non era facili per lui cataminarisi. Data la grassizza delle cosce, per fari
un passo, non potiva portari il pedi in avanti come voli natura ma doviva
spostari prima tutta la gamma di lato e po’ avanzari il pedi».
Un Vicerè
ammalato del quale i consiglieri si prendono gioco, giungendo al punto che
accortisi della sua morte, continuano con la seduta per far approvare delle
norme a favore dei loro interessi e dei loro amici. Leggi che il Vicerè in
vita, nonostante le difficoltà legate alla sua malattia, non avrebbe mai fatto
approvare. Son sicuri di farla franca nel loro inganno perché controllano i
gangli del potere, perché il loro clientelismo è cosi diffuso da distorcere i
normali meccanismi del funzionamento delle istituzioni.
Perché non
immaginano che qualcuno possa scoprirli e fermarli, del resto sono abituati a
commettere ogni forma di abuso e di ingiustizie, coprendole con collusioni e
corruzioni. Ma anche per loro giunge l’ora della giustizia, anche per gli
intoccabili. E la giustizia prende la forma di una donna, la marchesa Eleonora
di Mora, che Camilleri delinea così: «La picciotta che lo stava a taliare
aspittanno che parlasse era nìvura di capilli, àvuta, slanciata, aliganti,
vistuta alla spagnola. Il meglio pittori che c’era supra alla facci della terra
non avrebbi mai saputo pittarla com’era».
E la
bellissima viceregina è anche dotata di una intelligenza fuori dal comune, da
una capacità di osservatrice acuta, e sa anche governare. Prende subito in mano
le redini del governo, riesce a mutare la composizione dell'intero Sacro Regio
Consiglio, fa punire gli ex consiglieri per le loro colpe, riesce a far
restituire le ricchezze illecitamente accumulate. Ma la sfida più difficile la
deve combattere contro Turro Mendoza, l’arcivescovo di Palermo, il capo della
Chiesa siciliana.
Uomo
potente, astuto, furbissimo, manipolatore dell'opinione pubblica attraverso le
sue prediche dal pulpito della cattedrale, riesce pure ad organizzare
manifestazioni di piazza contro la viceregina. Ma donna Eleonora riesce ad
anticipare od a controbattere ad ogni sua mossa, e con riforme eque a vantaggio
dei ceti deboli, quali il dimezzamento delle tasse sul grano con conseguente
diminuizione del prezzo del pane, conquista la fiducia di moltitudini di gente.
Ed ancora, agisce su quello che oggi definiremmo welfare, aiuta le orfane, le
donne in difficoltà, i più deboli, i disagiati, con riforme vere. E cosa non
irrilevante finanzia le nuove uscite con i soldi recuperati dalla corruzione,
dai potenti che evadevano le tasse del Regno. Il vescovo Mendoza contrattacca,
cerca cavilli, ma ha degli scheletri nell'armadio, accuse di nefandi crimini
versi due bambini del coro della cattedrale.
Donna
Eleonora con la collaborazione del protomedico, i nuovi consiglieri, il
Capitano di giustizia, e quello che potremmo definire un antenato del
commissario Salvo Montalbano, delegato alle indagini sul campo, Torregrossa,
riesce a far emergere i crimini dell'arcivescovo che cade su una provata accusa
di essere mandante di un omicidio. Anche le potenti protezioni delle quali
aveva goduto si sciolgono come neve al sole. Anche per il vescovo Mendoza si
aprono le porte del carcere.
Ma una
operazione del vescovo va in porto, il Papa ha chiesto al Re di Spagna di
destituire la viceregina perché in quanto donna non può essere «il Legato
nato», del Papa. La marchesa Eleonora tornò in Spagna, ma le leggi e le
decisioni da lei assunte non decaddero per volontà del Re. La rivoluzione fu
breve ma la viceregina nel romanzo camilleriano riesce a far condannare il
vescovo, non per vendetta, ma per giustizia...
(Da: L'Unità
del 7 marzo 2013)
Andrea
Camilleri - 1677, la vedova del Vicerè sul trono di Sicilia
II sigritario
si susì, anno a pigliare la busta, la considerò con attenzioni e dissi:
«Fettivamenti
cca supra c'è scritto "da consegnare e da fare leggere subito al Sacro
Regio Consiglio in caso di mia morte improvvisa". Ci stanno macari
il sigillo e la firma di don Angel. Che fazzo, lo rumpo il sigillo?».
«Certamenti»
dissi il Gran Capitano. Il sigritario ruppi il sigillo, raprì la busta, ne cavò
un foglio, lo isò 'n aria ammostrannolo a tutti.
«È scritto
dalla mano del Viciré» dissi.
«Avanti,
avanti» fici 'mpazienti il viscovo.
Finalmenti
il protonotaro si misi a leggili.
«Qui esprimo
il mio volere ultimo, che rendo a Voi manifesto in pieno e chiaro senno e
nell'esercizio dei poteri alla persona mia conferiti per grazia di Dio e di Sua
Maestà il Re Carlo III di Spagna. In caso di mia morte improvvisa, la diletta
mia sposa donna Eleonora di Mora, marchesa di Gastel de Roderigo, dovrà
accedere a pieno titolò alla carica di Viceré di Sicilia, con tutti gli onori e
gli oneri, i doveri e i diritti a tal carica annessi, in attesa che la Sacra
Persona di Sua Maestà Carlo III consenta a questo mio volere o in caso
contrario invii altra persona da Lui scelta. Pertanto non vige la norma
consueta che in assenza del Viceré sia il Gran Capitano di Giustizia ad
assumerne la carica provvisoria. Questo è il mio volere e desidero che sia
accolto e rispettato da tutti senza por tempo di mezzo.
«Firmato:
il Viceré, don Angel de Guzmân, marchese di Caste! de Roderigo» II silenzio fu
tali che si sintì persino 'na musca che volava vicino alla testa del
protonotaro.
«Minchia!»
fu la prima parola che lo ruppi.
Era stato il
viscovo a dirla.
E subito
appresso fu tutto un murmuriare, un parlottiare, un gesticoliare, un agitarisi
con qualichi risateddra addivirtuta sparsa cca e ddrà e subito assufficata.
Il principi
di Ficarazzi si scotì dalla gran botta che l'aviva 'nzallanuto, storduto e
mezzo assintomato, arriniscì faticosamenti a mittirisi addritta supra al
troniceddro squasi per soprastari ancora chiossà a tutti l'autri e gridò:
«'Sto
tistammento non ha nisciun valori!».
«E
pirchì, fici il viscovo, è scritto di pugno dal Viciré e c'è macari tanto di
sigillo!».
«Pirchì...
pirchì...» fici il Gran Capitano che stava circanno alla dispirata 'na raggiuni
qualisisiasi alle paroli che aviva ditto. Ma non cinni viniva una che fusse una
'n menti.
«Sintemo il
pareri del protonotaro che la liggi l'accanosce bona» suggerì don Cono
Giallombardo.
«Sintemelo!
Sintemolo!» ficiro l'autri Consiglieri 'n coro e pigliannsi un potiri
decisionali che non avivano.
Don Gerlando Musumarra si susì. A malgrado della scarsa luci, si vidiva che era pallito e prioccupato.
«C'è picca da diri. La liggì parla chiaro e non ammetti dubbio. Il voliri del Viciré è supremo e inoppugnabili sia che sia stato espresso a voci 'n prisenza di testimoni sia che sia stato scrivuto. Come in questo caso. E va applicato macari se tutto il Consiglio è contrario».
Don Gerlando Musumarra si susì. A malgrado della scarsa luci, si vidiva che era pallito e prioccupato.
«C'è picca da diri. La liggì parla chiaro e non ammetti dubbio. Il voliri del Viciré è supremo e inoppugnabili sia che sia stato espresso a voci 'n prisenza di testimoni sia che sia stato scrivuto. Come in questo caso. E va applicato macari se tutto il Consiglio è contrario».
«Ma è il
voliri di un morto!» vociò il Gran Capitano.
«A parti che
per questo avrebbi maggior valori, 'sto voliri don Angel l'addichiarò,
scrivennolo, quann'era ancora vivo» replicò friddo il protonotaro.
Il Gran
Capitano, a malgrado che avvertiva a pelli che tutto il Consiglio gli era
contro, non volli mollare l'osso.
«Ma la norma
non può essiri cangiata dal Viciré, abbisogna che a farlo sia il Re stisso!».
«E 'nfatti
la norma non è stata cangiata» replicò il protonotaro. «Tant'è vero che le
dilibire fatte oggi sono state firmate da voi, signor principi, post mortem del
Viciré. Quindi, doppo morto, il Viciré ha continuato, attraverso di voi, a
manifistari il so volili. Se mittemo 'n discussioni il tistamento, dovemo di
necessità mettiri 'n discussioni macari tutte le dilibire fatte stamatina dal
Consiglio pirchì non portano la firma di don Angel».
Era un colpo
vascio tirato dal protonotaro. Lassava accapire che se il tistamento viniva
arrefutato, allura puro tutte le malifatte, i favori, i soprusi, l'anghirie che
i Consiglieri avivano cangiato 'n liggi facenno fìnta che il Viciré era
sulamenti sbinuto e no morto, arrischiavano di non arrivari a signo.
Per un
momento, il principi di Ficarazzi sinni risto muto.
E il viscovo
sinni approfittò. «Pirchì non mittemo ai voti l'approvazioni del tistamento? »
spiò facenno 'na facci di 'nnuccenti angiluzzo.
I
Consiglieri pigliaro come la menta.
«Ai Voti! Ai
voti!» ficiro 'n coro.
Il Gran
Capitano accapì d'aviri pirduto la partita. Tornò ad assittarisi supra al
troniceddro. «Fate come voliti».
«Chi riteni
valido il tistamento isasse il vrazzo» dissi il protonotaro.
Cinco vrazza
si isaro 'n aria, n tistamento di don Angel era stato approvato.
Tutti allura si votaro a taliare a donna Eleonora che sinni era sempri ristata ferma e muta 'n mezzo al saloni.
"«Fatemi posto» dissi lei arrivolta al principi, senza che nella so voci ci fusse la minima 'mperiosità.
Ma il principi si scantò propio per quell'assenza di cumanno. La friddizza di quella fìmmina gli faciva aggilare il sangue. Calò la testa, scinnì dal troniceddro e sinni tornò al so posto di Gran Capitano.
Donna Eleonora traversò il saloni sutta all'occhi affiatati dei prisenti, si firmò davanti al trono vacanti del Re, calò la testa, si spostò, acchianò con grazia i tri scaluna, s'assittò supra al troniceddro, s'aggiustò il vistito e po' a lento si livò il velo nìvuro scummigliannosi la facci.
Tutti allura si votaro a taliare a donna Eleonora che sinni era sempri ristata ferma e muta 'n mezzo al saloni.
"«Fatemi posto» dissi lei arrivolta al principi, senza che nella so voci ci fusse la minima 'mperiosità.
Ma il principi si scantò propio per quell'assenza di cumanno. La friddizza di quella fìmmina gli faciva aggilare il sangue. Calò la testa, scinnì dal troniceddro e sinni tornò al so posto di Gran Capitano.
Donna Eleonora traversò il saloni sutta all'occhi affiatati dei prisenti, si firmò davanti al trono vacanti del Re, calò la testa, si spostò, acchianò con grazia i tri scaluna, s'assittò supra al troniceddro, s'aggiustò il vistito e po' a lento si livò il velo nìvuro scummigliannosi la facci.
A tutti di
colpo ammanco il sciato.
Fu come se
nella scurìa del saloni fusse comparso tutto 'nzemmula un punto di luci cchiù
luminoso del soli che abbagliava accussì forti da fari lacrimiare l'occhi.
«Dâteme el
signo de vuestra obediencia».
E macari
stavota nisciun tono di cumanno, era 'na semplici, aducata, gentili richiesta
di 'na fimmina di granni nobirtà.
I
Consiglieri, stracatafuttennosinni della gerarchla, scattare tutti e sei
addritta, compriso il Gran Capitano macari lui affatato, e correrò squasi fusse
'na gara verso il troniceddro ammuttannosi e travaglianno di gomito,
s'attrupparo ai pedi dei tri scaluna, s'agginocchiaro, portare la mano dritta
al cori, calaro la testa.
'N quel
priciso momento a don Cono Giallombardo scappo di murmuriari:
«Beddra!».
«Beddra!» ficiro l'autri cinco Consiglieri.
«Beddra!» ficiro l'autri cinco Consiglieri.
«Beddra
beddra!».
«Beddra
beddra!» arripitero l'autri.
«Fìmmina di
Paradiso!» fici don Cono.
«Fìmmina di
Paradiso!» litaniaro l'autri.
Donna
Eleonora 'nterruppi l'adorazioni.
«Tornate al
vuestro posto».
S'allontanare
a malincori, con la testa votata verso di lei, come a chi devi lassare 'na
fonti d'acqua avenno ancora siti.
Donna
Eleonora parlò.
«Confirmo
che no habrà ningun entierro de solemnidad y ninguna visita de condolencias. In
Sacro Regio Consiglio se réunirà pasado manana a la misma hora de hoy. La
sesión ha terminado».
(Da: La
Stampa dell' 8 marzo 2013)
L'uso dei documenti storici da parte di Camilleri è assai disinvolto. Manca a questo scrittore il rigore e la serietà di Vincenzo Consolo. Anche per questo ha avuto più successo!
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