15 aprile 2013

Shéhérazade o della potenza della parola

Picasso, Shéhérazade (1968)





Ci siamo già occupati in questo Blog della Mostra all’Institut du monde arabe di Parigi che ha rilanciato in chiave postfemminista la figura mitica di Shéhérazade. Vogliamo tornarci con un articolo che esalta la potenza della parola come strumento di liberazione.

 Angelo D'Orsi - L’eroina delle Mille e una notte, come esempio di emancipazione 


Chi non è rimasto sedotto dalla figura di Shéhérazade, l’affascinante, astuta protagonista delle Mille e una notte? Chi non ha tifato per la sua salvezza davanti alla crudeltà del sovrano che, per una sorta di assurda vendetta di sua moglie, di cui aveva scoperto l’adulterio, aveva deciso di giacere ogni notte con una vergine diversa, facendola decapitare all’indomani? Shéhérazade – l’ultima vergine disponibile nel Regno, figlia del Visir – si salva, e fu la potenza della parola a salvarla. Anzi, stando allo scrittore arabo contemporaneo Ben Jalloun, Shéhérazade incarna la donna che lotta per emanciparsi: un simbolo di evidente e spesso drammatica attualità: interpretazione peraltro contestata da scrittrici femministe.

Certo è che, nel racconto, la forza della disperazione, unita alla capacità inventiva, fecero sì che la donna incatenasse il sovrano con mirabolanti racconti, uno per notte: e al sorgere dell’alba il racconto non era finito, sicché il re concedeva un a proroga a Shéhérazade, la quale appena conclusa la favola, dava inizio a un’altra. La dialettica signore/ servo, in certo modo: fu la schiava a soggiogare il padrone, che alla fine, al termine di questa lunghissima maratona si arrese, non solo rinunciando a uccidere la bella fanciulla, ma la prese in sposa, facendola regina del suo regno.

La vicenda di questa fiaba (in realtà si tratta quasi di un meta-testo, con una base e varie inserzioni, per cui i racconti che lo compongono cambiano notevolmente di numero con adattamenti a culture locali, dalla Persia all’Egitto…) è raccontata in una bellissima esposizione all’Institut du Monde Arabe di Parigi (un luogo che di per sé vale sempre la visita, nelle linee ardite e insieme solenni disegnate dall’architetto Jean Nouvel, tra il 1987 e il 1988). Vi si scoprono davvero mille risvolti, antefatti e conseguenti a questo che è una specie di Cunto de li cunti del nostro Gian Battista Basile che non ebbe altrettanto successo. Invece la fortuna de Le mille e una notte è stata prodigiosa, ma è interessante innanzi tutto la genesi dell’opera, che si colloca originariamente tra la Penisola Arabica e l’India, in un’epoca imprecisata, intorno al IX secolo: ma, in realtà, ebbe ragione Dino Buzzati a definirlo «Un monumento senza età e indiscutibile come le montagne».

In realtà esiste una sorta di cornice base, nel quale nel corso dei secoli sono state fatte aggiunte o sottrazioni, ma – questo è quasi stupefacente – in qualche modo tutti concorrendo alla omogeneità del prodotto finale, e al suo fascino straordinario. Narrate in pubblico, subivano variazioni e ulteriori aggiunte, suscitando sempre l’entusiasmo degli ascoltatori come dei lettori: «Quanto sono belle queste parole» commentò uno dei narratori; «Esse sanno catturare i cuori più delle più melodiose delle musiche».






Il libro fu importato in Europa, ai primi del ‘700 grazie a un appassionato dilettante francese, Antoine Galland, bibliotecario a Caen, il quale, avendo ricevuto un’edizione araba in tre tomi, ne fece una versione assai ridotta (peraltro in 12 volumi), con non poche manipolazioni volte a rendere più appetibile il testo al gusto dei suoi connazionali. Di là ha inizio un’altra storia del libro, quella appunto della fortuna in Occidente, che deborda dalla vicenda delle edizioni pur con le sue infinite varianti e genera altre opere, dalla letteratura, al teatro, alle arti figurative, fino alla musica. Shéhérazade, nell’incipiente orientalismo della cultura europea, la quale spesso mescolò Le mille e una notte ad altre opere di origine mesopotamica o indiana, divenne la seducente protagonista di tanta produzione artistica, letteraria, musicale.

Entrò nell’immaginario maschile come un inconfessato oggetto di desiderio, ma anche in quello femminile come il soggetto di un riscatto necessario (e possibile): significativo che, per converso, sia scomparso il nome del re crudele, che pure era stato a sua volta riscattato dalla sua perversione femminicidaria, grazie alla bella Shéhérazade. I suoi racconti popolati di geni, donne alate, tappeti volanti, ciclopi e uccelli mai veduti, ma anche di squarci di città favolose di per sé stesse (da Baghdad al Cairo) infiammarono dozzine di artisti, da Gustave Doré, con le incisioni di Simbad il marinaio, uno dei personaggi che ebbe maggior fortuna, insieme ad Aladino e la sua lampada magica. Fino al russo Rimsky Korsakov che alla donna intitolò una sua suite sinfonica da cui fu poi tratto un altrettanto famoso balletto. Per giungere al nostro Pasolini, che, a differenza di numerose altre versioni cinematografiche concentrate su avventure guerresche, firmò una pellicola improntata a un delicato erotismo, Il fiore delle mille e una notte. E si tratta di una storia che non ha fine, forse anche per l’eterno bisogno che abbiamo di sognare.

(Da: La Stampa, del 31 marzo 2013)



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