Picasso, Shéhérazade (1968)
Ci siamo già occupati in questo Blog della Mostra
all’Institut du monde arabe di Parigi che ha rilanciato in chiave
postfemminista la figura mitica di Shéhérazade. Vogliamo tornarci con un
articolo che esalta la potenza
della parola come strumento di liberazione.
Angelo
D'Orsi - L’eroina delle Mille e una notte, come esempio di emancipazione
Chi non è
rimasto sedotto dalla figura di Shéhérazade, l’affascinante, astuta
protagonista delle Mille e una notte? Chi non ha tifato per la sua salvezza
davanti alla crudeltà del sovrano che, per una sorta di assurda vendetta di sua
moglie, di cui aveva scoperto l’adulterio, aveva deciso di giacere ogni notte
con una vergine diversa, facendola decapitare all’indomani? Shéhérazade –
l’ultima vergine disponibile nel Regno, figlia del Visir – si salva, e fu la
potenza della parola a salvarla. Anzi, stando allo scrittore arabo
contemporaneo Ben Jalloun, Shéhérazade incarna la donna che lotta per
emanciparsi: un simbolo di evidente e spesso drammatica attualità:
interpretazione peraltro contestata da scrittrici femministe.
Certo è che,
nel racconto, la forza della disperazione, unita alla capacità inventiva,
fecero sì che la donna incatenasse il sovrano con mirabolanti racconti, uno per
notte: e al sorgere dell’alba il racconto non era finito, sicché il re
concedeva un a proroga a Shéhérazade, la quale appena conclusa la favola, dava
inizio a un’altra. La dialettica signore/ servo, in certo modo: fu la schiava a
soggiogare il padrone, che alla fine, al termine di questa lunghissima maratona
si arrese, non solo rinunciando a uccidere la bella fanciulla, ma la prese in
sposa, facendola regina del suo regno.
La vicenda
di questa fiaba (in realtà si tratta quasi di un meta-testo, con una base e
varie inserzioni, per cui i racconti che lo compongono cambiano notevolmente di
numero con adattamenti a culture locali, dalla Persia all’Egitto…) è raccontata
in una bellissima esposizione all’Institut du Monde Arabe di Parigi (un luogo
che di per sé vale sempre la visita, nelle linee ardite e insieme solenni
disegnate dall’architetto Jean Nouvel, tra il 1987 e il 1988). Vi si scoprono
davvero mille risvolti, antefatti e conseguenti a questo che è una specie di
Cunto de li cunti del nostro Gian Battista Basile che non ebbe altrettanto
successo. Invece la fortuna de Le mille e una notte è stata prodigiosa, ma è
interessante innanzi tutto la genesi dell’opera, che si colloca originariamente
tra la Penisola Arabica e l’India, in un’epoca imprecisata, intorno al IX
secolo: ma, in realtà, ebbe ragione Dino Buzzati a definirlo «Un monumento
senza età e indiscutibile come le montagne».
In realtà
esiste una sorta di cornice base, nel quale nel corso dei secoli sono state
fatte aggiunte o sottrazioni, ma – questo è quasi stupefacente – in qualche
modo tutti concorrendo alla omogeneità del prodotto finale, e al suo fascino
straordinario. Narrate in pubblico, subivano variazioni e ulteriori aggiunte,
suscitando sempre l’entusiasmo degli ascoltatori come dei lettori: «Quanto sono
belle queste parole» commentò uno dei narratori; «Esse sanno catturare i cuori
più delle più melodiose delle musiche».
Entrò
nell’immaginario maschile come un inconfessato oggetto di desiderio, ma anche
in quello femminile come il soggetto di un riscatto necessario (e possibile):
significativo che, per converso, sia scomparso il nome del re crudele, che pure
era stato a sua volta riscattato dalla sua perversione femminicidaria, grazie
alla bella Shéhérazade. I suoi racconti popolati di geni, donne alate, tappeti
volanti, ciclopi e uccelli mai veduti, ma anche di squarci di città favolose di
per sé stesse (da Baghdad al Cairo) infiammarono dozzine di artisti, da Gustave
Doré, con le incisioni di Simbad il marinaio, uno dei personaggi che ebbe
maggior fortuna, insieme ad Aladino e la sua lampada magica. Fino al russo
Rimsky Korsakov che alla donna intitolò una sua suite sinfonica da cui fu poi
tratto un altrettanto famoso balletto. Per giungere al nostro Pasolini, che, a
differenza di numerose altre versioni cinematografiche concentrate su avventure
guerresche, firmò una pellicola improntata a un delicato erotismo, Il fiore
delle mille e una notte. E si tratta di una storia che non ha fine, forse anche
per l’eterno bisogno che abbiamo di sognare.
(Da: La Stampa,
del 31 marzo 2013)
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