Alla vigilia di questo primo
maggio non posso non condividere quanto ha scritto Giuseppe Casarrubea sul suo
blog http://casarrubea.wordpress.com/
Non so quanto tempo ancora dovrà passare. Ma il
tempo ormai non ha più né giorni né anni, e anche la ragione sembra non avere
più senso. Sono trascorsi sessantasette anni dalla strage di Alia e
dall’uccisione del sindacalista della Cgil Nicolò Azoti; sessantasei dalle
stragi di Portella della Ginestra e di Partinico. Il tempo lontano di una
guerra fatta con armi pesanti e bombe a mano. Contro i lavoratori, i loro
rappresentanti. Simboli e realtà di una lotta per i diritti, perché i più
deboli avessero un futuro.
Ma lo Stato, quello che noi chiamiamo Stato,
fatto di uomini che ci governano, o che fanno le leggi o che dovrebbero
acciuffare e punire i responsabili dei crimini, continua ad essere ignaro e
lontano. Convitato di pietra, seduto sul suo scranno infernale, sordo e cieco.
Macina tempo su tempo, generazioni di vittime alle quali tutto è sottratto,
tranne il diritto di sperare, di credere ancora, per caparbia volontà di
resistere fino all’ultimo.
I morti hanno lasciato a questo Moloch morti
doppiamente vittime: di avere avuto i morti prima di loro senza giustizia e di
essere morti loro, dopo, senza riconoscimento alcuno. Uccisi una seconda volta,
quasi in un rito generazionale continuo. Tutto è accaduto e accade mentre
Regioni e Stato finanziano false associazioni che con l’antimafia banchettano.
Accumulano chiacchiere su chiacchiere, carriere su carriere, promesse su
promesse, finzioni di memorie su storie della nostra carne cancellate. Cenere e
nulla su nulla e cenere.
Ma io ho acceso una piccola fiamma e la coltivo
di memorie, di storie, di fatti accaduti. Li consegno alle nuove generazioni
perché sappiano. Perché coltivino il dubbio e abbiano occhi dove si possano
vedere volare i sogni delle utopie concrete. Per continuare sempre a
combattere, come fosse il primo giorno di una guerra lunga una vita intera.
Non andrò a Portella neanche quest’anno, per non
assistere allo scempio dei morti per i quali nulla si è fatto; per non
ascoltare l’assurdo silenzio su quegli altri morti che i giudici di Viterbo
vollero legati ai primi, anche se assassinati un mese e mezzo dopo dentro le
Camere del Lavoro, le sedi sindacali: mai menzionati, mai ricordati come se
appartenessero a un altro pianeta. Non voglio più assistere alla retorica
vuota, all’esibizione di ignoranza e tracotanza, all’uso strumentale dei morti,
buoni solo per essere volgarmente divisi tra di loro come fautori di altri
ideali, di altri valori. Non tollero più che i vivi continuino ad uccidere i
morti.
Se essi si alzassero tutti insieme in una notte,
quale spettacolo ci farebbero vedere! Sentiremmo le loro corazze e il rumore
fatale delle loro armi mentre infuria la guerra ai vivi colpevoli di ignoranza
e di oblio. E questa volta non perderebbero i morti.
Giuseppe
Casarrubea
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