20 aprile 2013

DOPO IL PD...


Un intervento di qualche giorno fa che aiuta a comprendere quanto sta accadendo in queste ore nel PD.
Vincenzo Vita - Rompere col passato per andare oltre Pd e Sel

Siamo ancora in tempo a ritornare a immaginare una sinistra aperta, riformista, moderna: in grado di interpretare e comprendere i conflitti di oggi? Certo il tentativo va fatto. Ed è altrettanto certo che solo una simile ricerca può costituire una seria prospettiva per il dopo-Pd/Sel. Sì, va detto senza fariseismi che di questo si tratta.

Serve un partito nuovo in tutti i sensi, che superi la incerta morfologia politica del nostro universo in crisi. Ben venga il «rimescolamento» suggerito da Vendola, che trova qualche autorevole interlocutore democratico. Tuttavia, ben diverso è il quadro rispetto a quello che si profilava due anni fa, quando l'appoggio a Sel significava immaginare un'altra linea, ripartendo da lì. Ma allora parlarne era un tabù, chi lo sosteneva era considerato «fuori linea». Ora le cose si sono decisamente complicate e il risultato elettorale ci fa capire che la via del cambiamento radicale ha scelto altre strade, il MoVimento 5 Stelle in particolare. E nel Pd l'insegna del cambiamento è stata fatta propria da Matteo Renzi: rottamazione e «blairismo» all'italiana, socialmente liberista. Una strada sbagliata e tragica (e noiosa) è quella rilanciata in questi giorni delle «larghe intese»: l'eterno ritorno al compromesso con Berlusconi. Su questo si potrebbe davvero rompere l'involucro democratico. Ma l'alternativa non può essere un'altra intesa di ceto politico. Ormai la partita si gioca altrove, declinando il concetto di sinistra con i protagonisti delle lotte dell'attuale stagione del capitalismo. Postfordista e cognitivo (i beni immateriali), retto da crudeli lobby finanziarie e un mosaico di precari e disoccupati manuali ed intellettuali.. Popolato di gruppi sociali mobili, immersi in una società liquida, intrinsecamente sfruttati e delocalizzati.

La sinistra non è un copyright, bensì il progresso della storia da incarnare attraverso un vero bagno di realtà. Il rimescolamento, dunque, è qualcosa di più profondo. Il prossimo congresso del Pd (da anticipare, augurabilmente) dovrà superare l'attuale fisionomia del partito, scuotendone definitivamente l'incerta struttura identitaria, nonché la balcanizzazione interna. Solo la ricostruzione di una rappresentanza di sinistra sarà in grado di riannodare i fili interrotti nel rapporto con le aree più deboli e sofferenti della società, che hanno almeno in parte guardato a Grillo per l'assenza di proposte diverse davvero affidabili.

In verità, il problema esiste da molto tempo. Senza andare troppo indietro, è doveroso ricordare alcune tra le recenti cattive valutazioni, che hanno fatto perdere di vista la situazione effettiva. La scelta della cultura dei beni comuni è arrivata molto tardi, e per un lungo periodo non è stata neppure colta, come dimostrò la prolungata incertezza nell'assumere la battaglia per l'acqua pubblica, ad esempio. Così, la subalternità all'impianto del liberismo ha fatto assumere decisioni gravi di cui oggi è evidentissima l'assurdità: la messa in Costituzione dell'equilibrio di bilancio e l'adesione al patto fiscale europeo (fiscal compact). Voti in dissenso solitari L'ossequio verso il mainstream europeo, poi messo in causa da Hollande, ha dato del pd un'immagine conformista e omologata. La vicenda Monti ha fatto il resto. La prova provata è stata la tiepidezza verso i momenti acuti della battaglia sindacale. Per non dire delle linee di politica internazionale, a cominciare dal finanziamento delle missioni militari, sempre «condivise». La mancanza di una vera visione alternativa al populismo autoritario dell'epoca berlusconiana ha portato ad aggrapparsi alla bontà dei saperi tecnici, una sorta di aristocrazia neutrale.

Adesso la ricostruzione della sinistra deve fare i conti con la crisi profonda dei linguaggi della politica e delle modalità classiche di costruzione della rappresentanza istituzionale. Che si vuole senza mediazioni. E' il paradosso di una società mediatizzata (e i media mediano, ci ricorda Silverstone), ma insofferente alla mediazione politica. Dunque, il nuovo partito rimescolato ha da essere 2.0. Una rete senza rapporti gerarchici con le associazioni e i movimenti. Un software libero sempre in attività, fatto di teste e di territori. Ecco perché non ha senso alcuno continuare a discutere di accordi con il Pdl o di «governicchi». Dopo il risultato elettorale serve una sfida che parta proprio dalla ricostituzione del soggetto del cambiamento. Se non si rompe, politicamente e non solo generazionalmente, con il passato non c'è alcun futuro.

Il partito democratico fu probabilmente una scelta inevitabile, difensiva, un tentativo di rispondere proprio alla già evidente crisi della politica. La miscela tra le culture di provenienza non ha funzionato ed il baricentro si è spostato verso un moderatismo paralizzato. Esattamente il contrario di quello che è avvenuto: la povertà crescente e le nuove alienazioni richiedevano attenzione alla normalità dell'«estremismo». Non basta più mescolarsi tra protagonisti già emersi. Si tratta di indagare nelle realtà invisibili allo spettacolo della politica, facendo un viaggio nella verità. Anche nella letteratura si discute sul «nuovo realismo». E che recuperi l'indicazione felice di Enrico Berlinguer sulla «diversità». L'etica della e nella politica.

(Da: il Manifesto del 9 aprile 2013)

 



Un intervento di qualche giorno fa che aiuta a comprendere quanto sta accadendo in queste ore nel PD.
Vincenzo Vita - Rompere col passato per andare oltre Pd e Sel

Siamo ancora in tempo a ritornare a immaginare una sinistra aperta, riformista, moderna: in grado di interpretare e comprendere i conflitti di oggi? Certo il tentativo va fatto. Ed è altrettanto certo che solo una simile ricerca può costituire una seria prospettiva per il dopo-Pd/Sel. Sì, va detto senza fariseismi che di questo si tratta.

Serve un partito nuovo in tutti i sensi, che superi la incerta morfologia politica del nostro universo in crisi. Ben venga il «rimescolamento» suggerito da Vendola, che trova qualche autorevole interlocutore democratico. Tuttavia, ben diverso è il quadro rispetto a quello che si profilava due anni fa, quando l'appoggio a Sel significava immaginare un'altra linea, ripartendo da lì. Ma allora parlarne era un tabù, chi lo sosteneva era considerato «fuori linea». Ora le cose si sono decisamente complicate e il risultato elettorale ci fa capire che la via del cambiamento radicale ha scelto altre strade, il MoVimento 5 Stelle in particolare. E nel Pd l'insegna del cambiamento è stata fatta propria da Matteo Renzi: rottamazione e «blairismo» all'italiana, socialmente liberista. Una strada sbagliata e tragica (e noiosa) è quella rilanciata in questi giorni delle «larghe intese»: l'eterno ritorno al compromesso con Berlusconi. Su questo si potrebbe davvero rompere l'involucro democratico. Ma l'alternativa non può essere un'altra intesa di ceto politico. Ormai la partita si gioca altrove, declinando il concetto di sinistra con i protagonisti delle lotte dell'attuale stagione del capitalismo. Postfordista e cognitivo (i beni immateriali), retto da crudeli lobby finanziarie e un mosaico di precari e disoccupati manuali ed intellettuali.. Popolato di gruppi sociali mobili, immersi in una società liquida, intrinsecamente sfruttati e delocalizzati.

La sinistra non è un copyright, bensì il progresso della storia da incarnare attraverso un vero bagno di realtà. Il rimescolamento, dunque, è qualcosa di più profondo. Il prossimo congresso del Pd (da anticipare, augurabilmente) dovrà superare l'attuale fisionomia del partito, scuotendone definitivamente l'incerta struttura identitaria, nonché la balcanizzazione interna. Solo la ricostruzione di una rappresentanza di sinistra sarà in grado di riannodare i fili interrotti nel rapporto con le aree più deboli e sofferenti della società, che hanno almeno in parte guardato a Grillo per l'assenza di proposte diverse davvero affidabili.

In verità, il problema esiste da molto tempo. Senza andare troppo indietro, è doveroso ricordare alcune tra le recenti cattive valutazioni, che hanno fatto perdere di vista la situazione effettiva. La scelta della cultura dei beni comuni è arrivata molto tardi, e per un lungo periodo non è stata neppure colta, come dimostrò la prolungata incertezza nell'assumere la battaglia per l'acqua pubblica, ad esempio. Così, la subalternità all'impianto del liberismo ha fatto assumere decisioni gravi di cui oggi è evidentissima l'assurdità: la messa in Costituzione dell'equilibrio di bilancio e l'adesione al patto fiscale europeo (fiscal compact). Voti in dissenso solitari L'ossequio verso il mainstream europeo, poi messo in causa da Hollande, ha dato del pd un'immagine conformista e omologata. La vicenda Monti ha fatto il resto. La prova provata è stata la tiepidezza verso i momenti acuti della battaglia sindacale. Per non dire delle linee di politica internazionale, a cominciare dal finanziamento delle missioni militari, sempre «condivise». La mancanza di una vera visione alternativa al populismo autoritario dell'epoca berlusconiana ha portato ad aggrapparsi alla bontà dei saperi tecnici, una sorta di aristocrazia neutrale.

Adesso la ricostruzione della sinistra deve fare i conti con la crisi profonda dei linguaggi della politica e delle modalità classiche di costruzione della rappresentanza istituzionale. Che si vuole senza mediazioni. E' il paradosso di una società mediatizzata (e i media mediano, ci ricorda Silverstone), ma insofferente alla mediazione politica. Dunque, il nuovo partito rimescolato ha da essere 2.0. Una rete senza rapporti gerarchici con le associazioni e i movimenti. Un software libero sempre in attività, fatto di teste e di territori. Ecco perché non ha senso alcuno continuare a discutere di accordi con il Pdl o di «governicchi». Dopo il risultato elettorale serve una sfida che parta proprio dalla ricostituzione del soggetto del cambiamento. Se non si rompe, politicamente e non solo generazionalmente, con il passato non c'è alcun futuro.

Il partito democratico fu probabilmente una scelta inevitabile, difensiva, un tentativo di rispondere proprio alla già evidente crisi della politica. La miscela tra le culture di provenienza non ha funzionato ed il baricentro si è spostato verso un moderatismo paralizzato. Esattamente il contrario di quello che è avvenuto: la povertà crescente e le nuove alienazioni richiedevano attenzione alla normalità dell'«estremismo». Non basta più mescolarsi tra protagonisti già emersi. Si tratta di indagare nelle realtà invisibili allo spettacolo della politica, facendo un viaggio nella verità. Anche nella letteratura si discute sul «nuovo realismo». E che recuperi l'indicazione felice di Enrico Berlinguer sulla «diversità». L'etica della e nella politica.

(Da: il Manifesto del 9 aprile 2013)



Nessun commento:

Posta un commento