Da sempre
crediamo che l'unica possibilità di una democrazia vera consista nella crescita
della partecipazione. Ma questa presuppone l'esistenza se non di un pensiero
libero e critico, almeno della voglia di pensare con la propria testa.
La vista di masse osannanti un capo che da solo pensa e decide per tutti,
ritenuto convincente perchè offre spiegazioni ultrasemplicistiche a problemi
complessi e vomita insulti, ci pare esprimere invece una diffusa voglia di
servitù e un totale rifiuto a pensare. Che poi sulla credulità di massa
qualcuno guadagni (e bene) è solo una conseguenza.
Perchè
stupirsi, l'Italia non è forse il paese di Vanna Marchi e Mamma Ebe?
Michele
Di Salvo - «Così guadagna il partito-azienda di Grillo»
«Il suo
reddito conosciuto è quintuplicato dopo il 2004 e raddoppiato negli ultimi tre
anni ed oggi è tra i 4 e i 5 milioni netti di euro annui»
Nelle democrazie occidentali il partito-azienda è un'invenzione italiana. Nasce ufficialmente il 18 gennaio 1994, quando alla presenza di un notaio Silvio Berlusconi e gli altri soci fondatori (Antonio Tajani, Luigi Caligaris, Antonio Martino, Mario Valducci) danno vita al “Movimento” politico Forza Italia. Pochi giorni dopo, l’annuncio, con la videocassetta registrata consegnata ai Tg, della discesa in campo per il bene dell’Italia. Vent'anni dopo, come ci spiega Michele Di Salvo, esperto in comunicazione, blogger e autore di un libro sul comico genovese (Chi e cosa c’è dietro Grillo e al Movimento 5 Stelle) lo schema sembra ripetersi. L'intreccio tra politica e affari come ragione sociale di una nuova formazione politica che, oggi come allora, sta scuotendo dalle radici le istituzioni italiane.
La domanda
più ovvia è come guadagna Grillo dal suo blog?
«Le fonti di
reddito del blog sono molte e sfruttate al massimo. Basta fare un semplice
esperimento visivo, eliminando «i contenuti» e vedere quanto resta come spazi
destinati alla pubblicità. Come quella diretta, ovvero vendita di gadget e di
prodotti marcati Grillo (libri, dvd etc), alla quale va poi sommato il guadagno
indiretto, attraverso le partnership che generano royalty, come ad esempio per
ogni utente che si registra e acquista su Amazon partendo dal blog di Grillo».
Ma i gadget
rendono tanto?
«Fino a poco
fa la vendita di libri e dvd era l’unica forma di finanziamento del blog. A
gestire il “merchandasing” è un altro portale, GrilloRama (grillorama.
beppegrillo.it). Sono in vendita magliette, dvd e libri di Beppe Grillo.
Qualsiasi campagna, tour, comizio, battaglia del comico-politico, ma anche i
dvd di Marco Travaglio (tra l'altro venduti a Current Tv per 100mila euro a
stagione) è diventata un prodotto di GrilloRama».
E la
pubblicità?
«Secondo il
«Il Sole24Ore» traffico stimato raggiunge una media tra i 150 e i 200mila
utenti ogni giorno e circa 1 milione di pagine viste. La scelta di affidarsi
alla pubblicità Google è piuttosto recente da parte della Casaleggio Associati.
Con la crescita del Movimento il blog di Grillo è finito nella categoria top-site
degli Ad-Sense di Google: la pubblicità sul blog del comico ora può essere
stimata fino a un massimo di 2,49 euro per ogni click e 5 euro ogni mille
visualizzazioni. Partendo da questi dati il Sole24Ore ha calcolato per
Beppegrillo.it un ricavo annuo che oscilla tra i 5 e i 10 milioni di euro,
anche se ci sono analisi (come quella di Webnews) che riducono la forchetta tra
1,5 e i 2,2 milioni».
E poi?
«Poi ci sono
le campagne dirette, quelle strutturate in offerta, come ad esempio quelle
proposte su beppegrillo.it/adv in cui vengono proposte alle aziende campagne a
tema su più canali. E questo dà un significato concreto alla considerazione per
cui la vera forza e capacità attrattiva è il network».
In che
senso?
«Il blog di
Grillo può essere visto come l’elemento centrale di un network che genera
accessi e condivide contenuti. Intanto il network diretto, ad esempio il canale
Youtube, il sito del Movimento, e la webtv “La Cosa”, cui si è aggiunto il
canale streaming dei gruppi parlamentari, in cui ogni video viene visualizzato
dopo uno spot di 20 secondi. Poi ci sono i siti “indiretti”, ovvero quelli
apparentemente non collegati (come Tze-Tze o Cadoinpiedi). Partendo dal blog e
dai corrispettivi account sui social network (ufficialmente 1,3 milioni di fan
su Facebook, 1,2 milioni di follower su Twitter), questo traffico viene
spostato e condiviso su una serie di siti satellite (anche questi con
pubblicità a pagamento) che, comunque, appartengono alla gestione della
Casaleggio».
Quanto si è
arricchito Grillo in questi anni di attività politica?
«Possiamo
parlare solo di stime, tenendo conto di quanto si sa dalle sue dichiarazioni
dei redditi, e di per sé non è la fonte più attendibile, se consideriamo i tre
condoni tombali ed due edilizi cui ha aderito Grillo. Bene, se consideriamo
queste informazioni mediamente il suo reddito conosciuto è quintuplicato dopo
il 2004 e raddoppiato negli ultimi tre anni ed oggi è tra i 4 e i 5milioni
netti di euro annui».
Che legame
c'è con la Casaleggio Associati?
«Casaleggio
Associati è l’azienda-motore, specializzata in comunicazione virale e in
e-commerce e gestione di rete. Grillo ci mette il nome e la visibilità e
Casaleggio il know-how per far “rendere economicamente” la presenza in rete. È
Casaleggio che sceglie e che cura tutti i contenuti. Quindi il primo problema
che si pone è sino a che punto ciò che “firma” Grillo lo pensa, è il suo
pensiero, è la linea politica del Movimento, e dove invece comincia la
necessità virale di creare contenuti provocatori a tutti i costi per
“stimolare” la partecipazione di rete dei lettori tenendo costantemente ed a
qualunque costo alta l’attenzione e i toni. Come si fece con le false notizie
come la finta lettera del Papa, o del Presidente Cinese, o la Biowashball, o
quella sull’olio di colza nelle auto, o la presunta lettera dell’economista
Stiglitz».
Grillo-testimonial e leader di un movimento politico e Casaleggio spin doctor e proprietario di un'azienda di marketing. Non esiste un conflitto di interessi sui contenuti tra l'azione politica e l'attività commerciale?
«Certo, si
pone il problema del “chi finanzia chi” e per fare cosa. Ad esempio: mettiamo
che il Movimento 5 Stelle proponga l’uso nelle pubbliche amministrazioni di
auto elettriche e proponga una certa casa automobilistica, chi assicura che
quell’azienda non sia cliente della Casaleggio o che quella azienda non faccia
una campagna tematica sul network di Grillo? Nessuno vuole dubitare della buona
fede di tanti, ma in assenza di regole chiare e di policy trasparenti, è per
primo Grillo che afferma essere buona norma porci dei dubbi».
Come viene
finanziato il Movimento 5 Stelle?
«Nello
stesso modo del blog. Il Movimento risulta giuridicamente una “Associazione non
riconosciuta”. Nello statuto viene spiegato che il Presidente è Grillo che “in
qualità di titolare effettivo del blog raggiungibile all’indirizzo
www.beppegrillo.it, nonché di titolare esclusivo del contrassegno di cui sopra”
– ovvero quello del Movimento – spettano “titolarità, gestione e tutela del
contrassegno, titolarità e gestione della pagina del blog www.beppegrillo.it”.
Non solo, al presidente Grillo compete “amministrazione e gestione di eventuali
fondi dell’Associazione”. Di quali fondi si parla? “Di una quota annuale versata
dagli associati; di contributi volontari di persone fisiche, di Enti Pubblici e
Privati; di sovvenzioni dello Stato, delle Regioni o di Enti; di eventuali
proventi derivanti dalla fornitura di servizi; di donazioni e lasciti
testamentari”».
Che cosa
comporta l'essere associazione non riconosciuta?
«Non è
soggetta al vincolo della trasparenza di bilancio, nemmeno in forma
semplificata. Non è prevista la figura del tesoriere, e quindi di un soggetto
“terzo” delegato alla raccolta e spesa dei fondi ed alla relativa
rendicontazione. Dobbiamo aggiungere che questa associazione esiste dal
dicembre 2012, il che pone il problema di chi, come e a che titolo abbia
versato i soldi delle raccolte on line e di quelle nelle piazze, come abbia
gestito questi fondi, con quali poteri, come abbia documentato gli incassi e le
spese, e soprattutto “dove sono finiti questi soldi” e a quanto ammontano».
Il che crea
un problema di trasparenza contabile?
«Qui si pone
la domanda posta a Grillo da anni senza che nessuno nemmeno nel Movimento si
sia posto lo stesso quesito. Il M5S ha aperto un conto su “Pay Pal” (una
società che offre pagamenti on line). Questo conto risulta intestato a
“Movimento 5 Stelle Genova”. Non è un conto “personale” quindi... ma Pay Pal
per aprire un conto non personale (di un associazione, ad esempio) richiede il
codice fiscale o partita iva, nonché i documenti ufficiali del soggetto
collettivo intestatario del conto, nonché la sede legale ed i dati del
responsabile legale. Ora non risulta che i M5S locali abbiano un codice
fiscale, una partita iva, una sede legale, così come non risulta siano
costituiti in struttura formale con un responsabile legale. Quindi quel conto a
chi è intestato? Chi lo gestisce, come, perché, a chi rende conto, quali sono i
documenti contabili?
Già, chi lo
gestisce?
«E chi lo
sa. L'M5S non prevede organi di controllo interni; viene tutto lasciato alla
discrezione di una sola persona. E così anche nella gestione dei fondi.Vede, se
casi scandalosi come quelli di Lusi o Fiorito sono emersi, è proprio perché
esisteva un tesoriere, esistevano delle regole cui attenersi nella spesa dei
fondi e una precisa tenuta contabile. Senza regole tutto è più opaco. Faccio un
esempio: i partiti devono dichiarare a chi pagano un affitto di una sede,
registrare il contratto, esibire una ricevuta fiscale e dimostrare dove
prendono quei soldi per pagare quel canone. Nella rendicontazione parziale del
Movimento si evince solo “dati x euro a tizio per pagare affitti” non meglio
precisando alcun ulteriore elemento. Ciascuno ha la propria idea di
trasparenza.
Che cosa ci
guadagna invece Casaleggio?
«Tanto.
Intanto in termini di visibilità e di vera o presunta autorevolezza, e in Rete
sappiamo che conta più la percezione che la sostanza. Da questa autorevolezza
nasce un enorme potenziale in termini di lobbing, ovvero nella capacità di
mettere insieme e fare incontrare interessi privati e interlocutori politici.
Chiariamo, tutto legittimo. Ma il punto è il limite, e la trasparenza dei
rapporti. Da ultimo resta l'interrogativo: chi gestirà i circa dodici milioni
di euro che andranno ai gruppi parlamentari 5 Stelle?»
(Da: l’Unità
del 4 aprile 2013)
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Aldo Giannuli . La fragilità del M5S
Non c’è dubbio che il M5s abbia avuto un successo senza precedenti: anche Forza Italia, alla sua prima presentazione, con il favore delle televisioni berlusconiane e nel pieno della disfatta della prima repubblica, si fermò leggermente sotto (24%) l’attuale risultato del M5s (25%), che aveva incomparabilmente meno mezzi a disposizione. E’ uso italico salire sul carro del vincitore per cantarne l’elogio. Personalmente sono sempre stato di avviso diverso: essere molto aperto verso i movimenti nascenti, respingendone ogni criminalizzazione, ma diventare ben più critico nel momento in cui si affermano. Non faccio eccezione per il M5s, verso il quale ho mostrato interesse ed apertura fra la fine del 2011 e tutto il 2012 (come si potrà facilmente verificare scorrendo indietro le pagine) ma verso il quale sono assai più critico oggi, dopo il suo successo. Ho l’impressione che tanto i dirigenti quanto gli attivisti del movimento siano stati presi da una sorta di “ubriacatura da alta quota”, che sollecita infondate sensazioni di onnipotenza e non fa vedere i molti punti deboli del movimento.
Lo dico sine ira et studio, come puro osservatore che riconosce al movimento molte potenzialità positive ma osserva anche le fragilità che lo insidiano.
Andrea Scanzi-Il M5S DIVISO TRA ORTODOSSI E DISSIDENTI
Se tutti avessero l’autostima di Beppe Grillo,
non esisterebbero i suicidi. Quando lo criticano, lui non risponde quasi mai
nel merito. Dà dello “sfigato” al giornalista, parla di congiure o sostiene che
“chi lo ha votato non ha capito perché lo ha fatto”. Meraviglioso: non è mica
lui che (forse) dà adito a critiche. No: è il dissidente che è tonto. Immagino
che, quando gli dicono che ha un raffreddore, Grillo si incavoli col medico. O
addirittura col naso (“Non è muco, è nettare degli dèi!”). Nel Movimento 5 Stelle, forza oltremodo eterogenea, è in
atto un naturale (e in sé positivo) dibattito tra massimalisti e concilianti.
Oggi Grillo incontrerà i parlamentari. Paradossalmente il
M5S è un movimento post-ideologico che rischia di divenire un qualsiasi partito
di sinistra: da una parte gli ortodossi, dall’altro i riformisti.
Chissà che, come tra Sel, Rifondazione Comunista e
Pdci, un giorno prossimo non esistano i M5S e parallelamente i Gb (Grillini
Buoni) e il Mcs (Movimento Crimi Smentito: quest’ultimo vedrebbe tra gli
iscritti Crimi e se stesso, figure costantemente agli antipodi ed eternamente litigiose).
Chi ha ragione tra integralisti e dialoganti?
Vediamolo nel dettaglio.
Gli ortodossi hanno “ragione” perché:
- Stanno rispettando il programma, e questa è
la freccia migliore (non definitiva, ma quasi) nel loro arco.
- Hanno dalla loro Grillo e Casaleggio, non per
imposizione ma perché Non-Statuto e Tsunami Tour erano (sono) chiari.
- Sono la maggioranza di parlamentari ed
elettori (più o meno un 70%)
- Tra gli elettori del M5S ci sono anche delusi da Lega
e centrodestra, che mai accetterebbero un appoggio al centrosinistra
- Dire sempre no, o comunque non sporcarsi, è sempre
stata una scorciatoia adolescenziale (e non solo adolescenziale) per sentirsi fighi.
Più radical-shock che radical chic.
-Se il M5S dice sì a un governo condiviso con altre
forze, rischia di normalizzarsi. E dunque depotenziarsi.
- Il Pd e derivati hanno sbagliato tutto, o quasi, per
vent’anni. Credergli adesso è dura.
- Ogni volta che viene voglia di credere a Bersani,
senti parlare Letta o Boccia. E la voglia ti passa.
- Dicono: “I dissidenti hanno ragione sul breve, ma
non a medio e lungo termine”.
- Il M5S è un movimento nuovo, del tutto inedito,
dichiaratamente utopico e sostanzialmente rivoluzionario. Intende cambiare tutto,
“mandando tutti a casa” (fase uno) e “sostituendo ai politici i cittadini”
(fase due). Se questa è l’impronta (e questa è l’impronta), non c’è margine di
dialogo.
- Stare alla finestra è cinicamente redditizio
da un punto di vista elettorale (ma solo se gli altri fanno l’inciucio: se non
lo fanno, il M5S passa per sfascista e scende sotto il 20).
- Il centrosinistra è smaliziato e i 5 Stelle no.
Imbarcarsi in una fiducia, o comunque in un appoggio esterno, potrebbe
rivelarsi un’imboscata (e a quel punto, se il governo cadesse o non facesse
neanche la legge elettorale, le colpe ricadrebbero di nuovo sul M5S).
I dissidenti hanno “ragione” perché:
- Per quanto coerente, il comportamento del M5S sta
provocando erosione di consensi e critiche trasversali di lassismo,
alimentando l’idea di un movimento che sa solo dire no.
- Grillo è furbo nello scrivere “se volevate
l’appoggio al Pd non dovevate votarci”, ma sa bene di semplificare la
situazione. Non si tratta di appoggiare il Pd, ma di contribuire concretamente
a un governo a tema (e tempo). Magari proponendo un nome e cercando di essere
propositivi. (La scusa di Crimi secondo cui “nessuno ci ha chiesto di fare
nomi” è commovente. Davvero non c’erano capigruppo più gradevoli di Simpatia Lombardi
e Ora-Mi-Smentisco Crimi? E via ragazzi, su).
- Pensano: “Forse avremo torto sul lungo
termine, ma se continueremo a dire ‘no’ non esisterà alcun lungo termine per il
Movimento 5 Stelle”.
- La coerenza è del tutto improduttiva
(anzi dannosa) se non tiene conto di due aspetti fondamentali: realtà storica e
congiuntura politica. Tradotto: crisi economica e Senato privo di maggioranza.
Senza un minimo di pragmatica, la politica è manicheismo. Masturbazione duropurista.
Onanismo 2.0, nello specifico.
- I concilianti, o dissidenti, hanno
pensato che prima si dovesse assistere al fallimento di Bersani (fase uno) per
poi sfoderare lo Zagrebelsky di turno (fase due). Si sono fermati a metà, e ora
– giustamente – sono nervosi.
- Grillo ha ragione quando dice che “il programma
è questo”. Ma il programma, per esempio, è anche il conflitto di interessi.
Sappiamo tutti che buona parte del Pd non l’ha mai voluto (vedi Violante,
“saggio” solo nel mondo parallelo di Napolitano). Ma – lo chiedo direttamente a
Grillo, nella speranza che prima o poi parli anche con qualche giornalista
italiano oltre che con il proprio ego a forma di monitor – è più importante
fare il conflitto di interessi da soli o farlo e basta? Se quel governo “dei
sogni” avesse risolto il conflitto di interessi, e magari cambiato pure legge
elettorale, a Grillo e Casaleggio avrebbe fatto piacere o gli sarebbe spiaciuto
dover dividere i meriti?
- Il “modello Sicilia” sta funzionando bene, ma
il Parlamento italiano è appena diverso e senza fiducia (o appoggio esterno)
non ci sono modelli né governi. Che leggi vuoi approvare se nessuno la propone?
E se le leggi le proporrà un Governo-Inciucio, cosa ci sarà mai da condividere
per il M5S?
- A giorni si eleggerà il Presidente della
Repubblica. Mettiamo che, dalla quarta votazione, ci siano in ballo Rodotà
e Marini (“D’Alema” non ce la faccio a scriverlo: ah ecco, l’ho scritto. E già
non mi sento bene). Mettiamo anche che, dalle consultazioni online,
il nome scelto dal M5S sia diverso (per dire: Imposimato). Grillo vorrebbe –un
po’ autisticamente – che anche dalla quarta votazione il M5S appoggiasse
Imposimato, pur se senza chance, rischiando di far vincere Marini e non Rodotà.
Di nuovo: questa è coerenza o grullaggine? Formalmente la prima,
contenutisticamente la seconda. Non vorrei sorbirmi per 7 anni un Marini (o
peggio un D’Alema) per colpa del purismo di Grillo. Lo aspetterei sotto casa a
Marina di Bibbona. E senza passamontagna.
- I dissidenti non sognano di unirsi vita
natural durante al Pd, che resta il Pd (ovvero una semi-sciagura travestita da
ultima spiaggia). Sanno semplicemente che questo treno non ripasserà più. Che
le mani, ora, bisogna sporcarsele. Che la “tattica Belgio” non è
applicabile, non adesso, non in Italia. E che, denotando senso dello Stato e
concretezza, tra sei mesi – o quando sarà – affrontare le elezioni sarebbe per
il M5S più facile.
- Grillo grida: “Io queste cose le dicevo anche
prima”. Certo. E ti hanno votato anche per quello. Ma nessuno poteva prevedere
lo stallo attuale. E si gioca con le carte che si hanno in mano, non con quelle
sognate. E’ meglio desiderare un 10 o avere un 6.5? E’ più bello salire sul
ring e dare qualche cazzotto, o prenderne a quintali sorridendo alla
telecamera, magari mentre si sussurra “Non credete alle apparenze, il più forte
sono io”?
- Grillo urla: “Non vogliamo più il meno peggio”.
Ovvio. E’ una delle forze del M5S. Basta coi politburi piddini. Ma far fuori
politicamente Berlusconi, e ridimensionare Renzi (che alle prossime elezioni,
così continuando, farà un mazzo così al M5S)) non è “meno peggio”. E’ un
capolavoro o quasi. E Grillo, che non è per nulla scemo (ma testardo sì), lo sa
bene. L’alternativa concreta è riconsegnare il paese a Berlusconi, o Renzi:
cioè l’alternativa coincide.
Il M5S è a un bivio: rimanere ostinatamente
fedeli alle proprie utopie o scendere a patti col più prosaico dei presenti?
Auguri.
Fonte e commenti: http://www.ilfattoquotidia no.it/2013/04/05/m5s-chi-ha-ragione-tra-gli-ortodossi-e-i-dissidenti/552240/.
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Non c’è dubbio che il M5s abbia avuto un successo senza precedenti: anche Forza Italia, alla sua prima presentazione, con il favore delle televisioni berlusconiane e nel pieno della disfatta della prima repubblica, si fermò leggermente sotto (24%) l’attuale risultato del M5s (25%), che aveva incomparabilmente meno mezzi a disposizione. E’ uso italico salire sul carro del vincitore per cantarne l’elogio. Personalmente sono sempre stato di avviso diverso: essere molto aperto verso i movimenti nascenti, respingendone ogni criminalizzazione, ma diventare ben più critico nel momento in cui si affermano. Non faccio eccezione per il M5s, verso il quale ho mostrato interesse ed apertura fra la fine del 2011 e tutto il 2012 (come si potrà facilmente verificare scorrendo indietro le pagine) ma verso il quale sono assai più critico oggi, dopo il suo successo. Ho l’impressione che tanto i dirigenti quanto gli attivisti del movimento siano stati presi da una sorta di “ubriacatura da alta quota”, che sollecita infondate sensazioni di onnipotenza e non fa vedere i molti punti deboli del movimento.
Lo dico sine ira et studio, come puro osservatore che riconosce al movimento molte potenzialità positive ma osserva anche le fragilità che lo insidiano.
Il
primo punto debole è proprio l’eterogeneità del consenso messo insieme dal M5s
che, come tutti sappiamo, ha attinto tanto a destra quanto a sinistra. Nulla di
male in questo ed anche abbastanza normale in un movimento che, alla prima
volta, ha un successo così marcato. Anche il Pci, nel 1946 ottenne di colpo il
20% circa (nelle elezioni del 1924 aveva avuto il 3,74%) e necessariamente mise
insieme il suo successo pescando fra vecchi elettori socialisti massimalisti,
riformisti, repubblicani, persino anarchici, ma anche un bel pezzo di giovani
fascisti di sinistra e non pochi spoliticizzati, che reagivano alla guerra
voluta dal fascismo, votando per il partito più spiccatamente antifascista.
Poi,
il Pci, perse una parte di quei voti ma ne aggiunse di nuovi e, soprattutto,
seppe amalgamare quella armata Brancaleone, facendone un blocco elettorale e
sociale omogeneo e compatto che resse agli attacchi della Dc e dei suoi alleati
per oltre 30 anni. Ma, il Pci aveva una forte identità politico-culturale, un
mito come quello sovietico alle spalle, una struttura di quadri ed attivisti
che formava in continuazione, una marea di pubblicazioni, una fortissima
irradiazione territoriale, una robusta cintura di associazioni di
fiancheggiamento (ad iniziare dal sindacato).
Tutte
cose che mancano al M5s, che non ha alcuna pubblicazione, oltre il materiale
web, che ha una rete debolissima di circoli territoriali, che non ha alcun
apparato di quadri ma solo un pugno di attivisti, ha una identità
politico-culturale molto vaga e non ha associazioni fiancheggiatrici. Un
confronto per capirci: nel 1946 il Pci sfiorava i 2 milioni di iscritti ed ebbe
4.300.000 voti, cioè quasi 2 voti per iscritto, negli anni successivi il
rapporto si modificò, ma non si andò mai oltre un rapporto di 1 a 8.
Il
M5s ha avuto 8 milioni di voti e, se non erro, vanta circa 250.000 adesioni
web, il che significa già un rapporto di 1 a 32. Ma occorre tener presente che
gli attivisti sul territorio sono molto meno e che anche alle famose
“parlamentarie”, hanno partecipato 20.000 persone (che non si capisce come
abbiano prodotto 95.000 voti, visto che ciascun elettore aveva 3 preferenze),
dunque, il rapporto è di 1 a 400. Che non mi pare un dato tranquillizzante.
Certo:
quello era un altro mondo ed oggi le cose stanno molto diversamente, per cui
risulta difficile pensare al modello di partito di insediamento sociale che fu
il Pci. Però, il fatto che oggi le cose funzionino in modo assai diverso, non è
detto che sia un vantaggio per il M5s ed invece non rappresenti un problema in
più.
Il
secondo punto di debolezza è appunto la vaghezza della sua cultura politica e
la rarità dei documenti di riferimento: a parte i famosi “20 punti
programmatici” (che assemblano cose molto diverse fra loro), ed il “non
statuto”, non si conosce altra produzione che abbia valore di testo di
riferimento.
E
questo si accoppia all’esplicito rifiuto di ogni ideologia che, in realtà, si
rovescia in una tacita ideologia populista con contaminazioni neo liberiste ed
un pizzico di xenofobia (il riferimento è alle dichiarazioni di Grillo in
materia di immigrazione). Ma del populismo del M5s parleremo in una
occasione prossima.
Il
terzo punto, strettamente connesso al precedente, è l’assenza di una linea
politica definita, sostituita dalle “grida” (anche dal punto di vista del
volume) di Grillo contro la classe politica, senza che a questo si accompagni
alcun particolare approfondimento dei temi agitati, pochi o molti che siano.
Con l’ulteriore conseguenza di non poter articolare alcuna “tattica”, liquidata
sprezzantemente come “tatticismo”, per la semplice ragione che non si conosce
il significato proprio della parola tattica e la sua funzione in politica.
C’è
poi un altro punto molto delicato (e siamo al quarto): la totale mancanza di
democrazia interna e di coerenza fra proclamazioni e prassi. Il M5s invoca la
pubblicità di tutto e manderebbe in diretta on line anche la vita privata di
ogni persona con una carica politica, ma osserva la più rigorosa opacità sul
suo dibattito interno. Rimprovera agli altri partiti mancanza di democrazia
interna, ma chiunque manifesti il più lieve dissenso dal Grillo-pensiero è
espulso in quattro e quattro otto, senza alcuna garanzia, per decisione diretta
ed inappellabile del Capo (che, peraltro, nessuno ha eletto e non ha alcuna
scadenza di mandato). Denuncia i partiti che mandano in Parlamento cortigiani e
cortigiane, ma poi pretende che i suoi parlamentari siano muti come pesci e non
si esprimano in nessun modo. Roba da far impallidire il più ferrigno
centralismo burocratico, non dico del Pci, ma del Partico del Lavoro della Nord
Corea!
C’è
poi la questione Casaleggio: non ho nulla contro il fatto che un tecnico possa
svolgere anche un ruolo politico e, se il movimento lo ritiene, possa avere un
ruolo dirigente, ma mi spiegate perché non si è fatto eleggere parlamentare?
Grillo sappiamo che non si candida per quel suo precedente penale (a questo
punto direi superato dopo tanti anni), ma Casaleggio non risulta che abbia
avuto neppure una multa per infrazione stradale, e allora? Sarebbe stato tutto
più chiaro e lineare se al posto di Crimi o della Lombardi ci fosse stato lui,
e tanto più in un movimento che non ha organismi dirigenti, ma solo gruppi
parlamentari e consiliari.
Questo,
però, rimanda all’ultima e più insidiosa questione: quella dell’ assoluta
inadeguatezza del personale politico del M5s. Da questo punto di vista, Grillo
ha le sue ragioni per tappare la bocca più che può ai suoi deputati perché ogni
volta che la aprono non sai che fesseria verrà fuori. Non mi riferisco solo
alla totale mancanza di cognizioni economiche, costituzionali, sociologiche ecc,
ma proprio ad un minimo di fondamenta culturali. L’ultima esternazione da
cabaret è stata quella dell’on. Massimo Baroni, inviato nientepopodimeno che
all’incontro con l’Ambasciatore Usa il quale ha testualmente detto (“Corriere
della Sera” 3 aprile 2013 p. 10): “Abbiamo sottolineato che nel nostro
movimento non ci sono intellettuali e quando loro hanno fatto il nome di Fo
abbiamo fatto notare che non è un intellettuale perché ha scritto “Mistero
Buffo” dove dà la voce alla gente comune”.
Dal
che si deduce che l’on. Baroni (scusi: il cittadino…) ritiene che:
1.
non avere intellettuali nelle proprie fila sia motivo di vanto da rivendicare
2.
gli intellettuali sono sempre e solo cortigiani che devono negare la “parola
alla gente comune”
3.
quindi, che chi lo fa non è un intellettuale anche se ha avuto il Premio Nobel
per la letteratura
4.
che “Mistero buffo” è un pezzo di teatro che serve solo a “dare la parola alla
gente comune” e non ha altri pregi artistici
Direi
che ci sono più cazzate che parole e scusate se, per una volta, uso un termine
un po’ volgare. Che un intellettuale (io preferisco dire un “lavoratore della
conoscenza”) possa anche non essere un servo del principe, ma possa avere il
compito di studiare soluzioni socialmente utili e di diffondere la conoscenza
presso i ceti popolari, è cosa che al “cittadino” Baroni semplicemente non
viene in testa.
So
di stare facendo la parte antipatica (a me per primo) del professore usa la
matita rossa e blu; a me non piace fare esami neanche all’università, ma ci
sono momenti in cui non si può fare finta di nulla e sentire certe scemenze
senza reagire. E qui abbiamo una tale serie di bestialità da capire che è
inutile attendersi una qualche crescita da un personale politico così
crassamente ignorante e così compiaciuto di esserlo.
Ormai
il parlamentare grillino che spara sciocchezze come fuochi d’artificio sta
diventando un cult di vignettisti, imitatori, comici e semplici internauti.
Sia
chiaro: se la signora Maria che vende pesce al mercato di Trapani vuole andare
in Parlamento, io, non solo non ho nulla in contrario, ma mi batterò sempre
perché le sia riconosciuto questo diritto. Anzi, mi auguro un Parlamento
con meno avvocati, burocrati e imprenditori e con più operai, precari,
casalinghe e pensionati. Però, capiamoci. Questo può avvenire attraverso un
processo di militanza e di acculturazione politica; quello che non va bene, è
il passaggio diretto dal banco del pesce a Montecitorio. E non va bene perché
non funziona: la signora Maria si farà infinocchiare ad ogni piè sospinto da
funzionari parlamentari, lobbisti, vecchi squali della politica, giornalisti
furbi ed operatori di qualche servizio segreto. Non ci avevate pensato? E non
funziona anche per un’altra ragione: che la signora Maria, che magari ha anche
ottime intuizioni, non riuscirà a tradurle in azioni politiche (proposte di
legge, emendamenti, discorsi, mozioni, voti, interrogazioni ecc.) dotate di un
minimo di efficacia. Mi dispiace dirlo, ma non c’è altra strada.
Mi
chiedo, ad esempio cosa faranno i parlamentari del M5s nelle commissioni
parlamentari, di cui oggi richiedono a gran voce l’insediamento: le commissioni
approvano circa 8-900 progetti di legge all’anno e ne esaminano qualche altro
centinaio. Fra queste ci sono norme importanti di interesse generale, ma più
spesso, norme di interesse locale o settoriale, di livello micro settoriale o
anche semplicemente personale e, nel mazzo, ci sono un bel po’ di provvedimenti
spinti da lobbisti, operazioni clientelari o di mero campanilismo. Sapranno distinguere
le une dalle altre?
Inoltre,
sapranno articolare le varie proposte del loro programma in testi di
legge precisi e concreti? Per ora non abbiamo visto nulla e ci farebbe
piacere leggere le prime proposte di legge del M5s.
Morale:
il M5s deve sciogliersi e sparire dalla scena? Neanche per sogno, continuo a
credere che possa svolgere una funzione molto positiva, ma solo se impara a
riconoscere le sue pecche –senza arroganza e con molta umiltà- ed a
correggerle, trasformandosi in un movimento politico non meno rivoluzionario di
quello che ritiene di essere, ma più solido e meno confusionario di quanto non
sia oggi.
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