E' riuscito a perdere a febbraio
elezioni che erano stravinte a dicembre, paralizzare il paese per due mesi in
trattative di palazzo incomprensibili ai cittadini e ora a farsi sfiduciare dal
suo partito che ne esce con le ossa rotte. Un record unico a livello mondiale.
Davvero un gigante della politica.
Federico
Geremicca - In un solo colpo il partito è riuscito a rinnegare il suo passato e
il suo futuro
È un partito
ben strano quel partito che nel passaggio più delicato di questa confusa e
interminabile fase di postvoto, riesce a ferire e mortificare
contemporaneamente il suo passato, il suo presente e il suo futuro. E però è
precisamente quanto accaduto ieri al Pd nell’arco di una giornata dura e tesa,
conclusasi con l’indicazione di Franco Marini per il Quirinale, tra la rabbia e
la protesta della base scatenatasi sul web. I big del Pd sembrano sempre più
lontani dall’ala più giovane del partito. Ma anche tra i leader ci sono distinguo
Bindi, nella foto tra Franceschini e Bersani, ha dichiarato che se Marini è il
presidente delle larghe intese, non sarà il suo.
E’ furioso
Matteo Renzi, cioè il futuro del Pd, il leader che domani dovrebbe e potrebbe
riportarlo alla vittoria, secondo un giudizio che però pare radicato sempre più
fuori che dentro il partito; è scettico e perplesso il presente del Pd, con
Ignazio Marino (candidato sindaco a Roma) contrario all’indicazione di Marini,
la candidata governatore in Friuli (Debora Serracchiani) che punta l’indice
contro «una scelta gravissima» e la tenuta della coalizioni cioè il rapporto
con Sel - che rischia di andare in frantumi; ed è probabilmente assai turbato
(per usare un eufemismo) il passato del Partito Democratico, cioè il professor
Romano Prodi, visto che Sandra Zampa, deputata da sempre a lui assai vicina,
annuncia: «Non voterò mai per Marini, è l’uomo che ha distrutto il governo
ulivista, il più amato di questi venti anni».
Il quadro è
pesante, il barometro indica burrasca e gli effetti di tanto nervosismo
rischiano di deflagrare già stamane nella prima votazione per l’elezione del
Presidente della Repubblica. A fronte dei 672 voti necessari per essere eletti
(maggioranza dei due terzi nelle prime tre votazioni) Franco Marini dispone
sulla carta di 739 voti. Ma sulla carta, appunto. Il margine di vantaggio è
esiguo: una settantina di voti scarsi. E considerato che i renziani, parte dei
giovani turchi, i prodiani e perfino molti veltroniani potrebbero non votare
per Marini, si vede bene come la partita sia ad altissimo rischio per il
candidato-presidente e per l’intero stato maggiore del Pd. Se ne è avuta una
avvisaglia già ieri sera, nel voto con il quale i grandi elettori del Partito
democratico hanno dato il via libera al nome di Marini: solo 222 i sì (su un
totale, ma molti erano gli assenti, di 436).
La base in
subbuglio, i giovani del partito in rivolta, Vendola che chiude la serata
dicendo «se insistessero su Marini mi metterei di traverso e sarebbe la fine
del centrosinistra»; e in più, gruppi di militanti arrabbiati davanti al teatro
dove i grandi elettori davano l’ok alla candidatura di Marini. La giornata,
insomma, si chiude peggio di come fosse cominciata: tanto che a sera tarda
erano davvero in pochissimi disposti a giurare che Franco Marini sarà eletto -
già stamane - Presidente della Repubblica. Un fallimento farebbe ripiombare la
situazione nel caos più completo: e mostrerebbe una volta di più le difficoltà
in cui si trovano le vecchie leadership.
Infatti è
difficile sfuggire alla sensazione che - a dirlo con approssimazione - intorno
alla partita dell’elezione del Capo dello Stato si sia giocato all’interno del
Pd uno scontro durissimo tra «vecchi» e «giovani». Non è questione che riguardi
solo il lungo duello Bersani-Renzi, perché la sensazione è che molte altre
energie giovani comincino a scalpitare, insofferenti alle vecchie leadership.
Se Franco Marini oggi dovesse farcela, potremmo esser però di fronte a quella
che si potrebbe definire l’ultima vittoria del «vecchio Pd», di un gruppo
dirigente - cioè - che fa quadrato, difende le proprie roccaforti e impone
scelte che i «giovani» non sono più disposti ad accettare senza discutere e
senza votare. Se Franco Marini dovesse invece soccombere
sotto i colpi dei «franchi tiratori», è chiaro che la resa dei conti
all’interno del Pd non potrebbe che esser accelerata, attraverso percorsi e
atti perfino traumatici.
Oggi si
capirà da che parte soffia il vento, e il rischio è che soffi così forte da far
tornare in alto mare la soluzione dei doppio rebus (Quirinale-governo) che da
quasi due mesi ormai paralizza la vita politica e le istituzioni del Paese. Per
altro, di governo si continua a non parlare. A meno che, come ipotizzano
Vendola e i critici verso un possibile accordo con Berlusconi, il patto
stipulato da Bersani per Marini al Quirinale, non preveda un esecutivo di
larghe intese col Cavaliere. Fosse così, però, la tenuta del Pd sarebbe davvero
a rischio. Tanto che perfino una sostenitrice dichiarata di Marini, come Rosy
Bindi, avverte che «se lui fosse il Presidente delle larghe intese, non sarebbe
il mio Presidente»...
(Da: La
Stampa del 18 aprile 2013)
Nessun commento:
Posta un commento