Ken Loach ha
commentato con queste ironiche parole la notizia della morte della ex premier
inglese: «Il modo migliore per onorarla?
Privatizziamo il suo funerale. Lo mettiamo sul mercato e accettiamo l'offerta
più economica. È quello che avrebbe voluto». La battuta del regista non può sorprendere
visto che dobbiamo proprio a lui films che hanno messo in evidenza i danni sociali
provocati dal liberismo selvaggio del thatcherismo.
D’altra parte
tanti riconoscono che la politica economica della lady di ferro ha avuto più seguaci di quanto fosse auspicabile. E
sono ancora numerosi i suoi, più o meno occulti, seguaci. La stessa benzina ideologica che alimentò la
sua guerra di classe alimenta oggi altri motori, altre macchine della ricchezza
e della povertà.
I nuovi poveri di oggi e quelli ancora più numerosi di domani
troveranno tanta Thatcher in molti politici epigoni, sia fra quelli che
l’emulavano trent’anni fa, sia fra quelli che allora ne parlavano male, ma ora
la emulano anche loro, ligi come maggiordomi in livrea.
Di seguito vogliamo
ricordarla con lo storico Massimo Salvadori ed il giornalista Giulietto Chiesa.
«Noi non potremmo spiegarci la depressione in cui è caduta l’economia mondiale a partire dal 2008, nella crisi più grave dopo quella scoppiata nel 1929, senza tener conto degli effetti provocati dall’ideologia e dalla pratica di quel neoliberismo di cui Margaret Thatcher era stata l’apripista». A sostenerlo è uno dei più autorevoli storici e scienziati della politica italiani: il professor Massimo Salvadori. Professore cosa ha rappresentato Margaret Thatcher e il «thatcherismo» su scala internazionale?
«Il primo aspetto da sottolineare è che il “thatcherismo” ha rappresentato dalla fine degli anni Settanta un’onda lunga che non è ancora finita. Quest’onda, avviata in Gran Bretagna, aveva poi trovato immediatamente una sponda ancor più forte e importante in America durante la presidenza Reagan, dove poteva contare su assai significativi economisti che contro il sistema del welfare e contro l’intervento statale in economia, predicavano il ritorno allo Stato minimo. Questa ondata è diventata sempre più potente e dinamica in relazione ad un altro dato della massima importanza...».
Quale?
«Mi riferisco alla spinta che all’ondata neoliberista “thatcherian-reaganiana” venne data da fattori concomitanti: in primo luogo, dal crollo dell’impero sovietico, che ha avuto un peso determinante nel favorire gli attacchi contro lo statalismo economico in tutti i suoi versanti. Tanto in quello vetero comunista caduto in discredito totale dopo il 1989 quanto in quello socialdemocratico, vale a dire sia nella forma “rigida” che in quella “morbida”. Ma quello che ha contribuito ulteriormente a dilatare su scala internazionale l’ondata neoliberista, sono state due esperienze ritenute di sinistra».
A cosa si riferisce?
«In primo luogo al governo Clinton negli Usa, che prese delle misure estremamente rilevanti nello smontare negli Stati Uniti l’eredità del New Deal roosveltiano, che aveva posto dei controlli pubblici sul settore bancario».
«Credo che questa conclusione sia inevitabile, tanto più che alla politica di Clinton negli Usa e andata affiancandosi quella di Blair in Gran Bretagna. Blair ha contribuito con toni celebrativi a enfatizzare la totale libertà di gioco delle imprese private nell’ambito del mercato economico. Il sommarsi delle rispettive linee, in Gran Bretagna, negli Usa e di lì in maniera crescente in tutti i Paesi occidentali e non solo, ha finito per trovare le condizioni più favorevoli nel quadro della globalizzazione economica, che ha avuto nel neoliberismo la sua bandiera ideologica e politica».
L’onda lunga del «thatcherismo» ha dunque segnato anche questo primo scorcio del Terzo Millennio?
«Direi proprio di sì. Di quel neo-liberismo che ha portato alla depressione economica più grave dopo la crisi del 1929, Margaret Thatcher è stata indubbiamente l’apripista. L’apripista di un neo-liberismo che ha finito per porre al centro dell’economia mondiale non più la libera impresa secondo un approccio ideologico neo-individualista. Quello che ha determinato nella realtà dei fatti è il primato delle grandi oligarchie finanziarie e industriali, le quali hanno avuto la strada spianata nel perseguire i propri interessi particolari, obbedendo a finalità puramente speculative, lasciate libere di operare dal progressivo smantellamento degli organi di controllo pubblici sulla speculazione stessa. E tutto ciò ha prodotto il sopravvento dell’economia finanziaria sull’economia produttiva».
In ultima analisi, professor Salvadori, qual è stato il tratto distintivo di Margaret Thatcher?
«Credo sia consistito nel farsi interprete e propugnatrice di una ideologia neoliberista la cui finalità era di dare piena libertà, senza regole né vincoli sociali, dei singoli nel mercato economico-finanziario, e di aver portato nei fatti l’economia, diventata globale, sotto il dominio delle minoranze plutocratiche».
Massimo Salvadori - Questa crisi è
figlia del neoliberismo thatcheriano
«Noi non potremmo spiegarci la depressione in cui è caduta l’economia mondiale a partire dal 2008, nella crisi più grave dopo quella scoppiata nel 1929, senza tener conto degli effetti provocati dall’ideologia e dalla pratica di quel neoliberismo di cui Margaret Thatcher era stata l’apripista». A sostenerlo è uno dei più autorevoli storici e scienziati della politica italiani: il professor Massimo Salvadori. Professore cosa ha rappresentato Margaret Thatcher e il «thatcherismo» su scala internazionale?
«Il primo aspetto da sottolineare è che il “thatcherismo” ha rappresentato dalla fine degli anni Settanta un’onda lunga che non è ancora finita. Quest’onda, avviata in Gran Bretagna, aveva poi trovato immediatamente una sponda ancor più forte e importante in America durante la presidenza Reagan, dove poteva contare su assai significativi economisti che contro il sistema del welfare e contro l’intervento statale in economia, predicavano il ritorno allo Stato minimo. Questa ondata è diventata sempre più potente e dinamica in relazione ad un altro dato della massima importanza...».
Quale?
«Mi riferisco alla spinta che all’ondata neoliberista “thatcherian-reaganiana” venne data da fattori concomitanti: in primo luogo, dal crollo dell’impero sovietico, che ha avuto un peso determinante nel favorire gli attacchi contro lo statalismo economico in tutti i suoi versanti. Tanto in quello vetero comunista caduto in discredito totale dopo il 1989 quanto in quello socialdemocratico, vale a dire sia nella forma “rigida” che in quella “morbida”. Ma quello che ha contribuito ulteriormente a dilatare su scala internazionale l’ondata neoliberista, sono state due esperienze ritenute di sinistra».
A cosa si riferisce?
«In primo luogo al governo Clinton negli Usa, che prese delle misure estremamente rilevanti nello smontare negli Stati Uniti l’eredità del New Deal roosveltiano, che aveva posto dei controlli pubblici sul settore bancario».
Ciò vuol dire che il
«thatcherismo» ha fatto proseliti anche a «sinistra»?
«Credo che questa conclusione sia inevitabile, tanto più che alla politica di Clinton negli Usa e andata affiancandosi quella di Blair in Gran Bretagna. Blair ha contribuito con toni celebrativi a enfatizzare la totale libertà di gioco delle imprese private nell’ambito del mercato economico. Il sommarsi delle rispettive linee, in Gran Bretagna, negli Usa e di lì in maniera crescente in tutti i Paesi occidentali e non solo, ha finito per trovare le condizioni più favorevoli nel quadro della globalizzazione economica, che ha avuto nel neoliberismo la sua bandiera ideologica e politica».
L’onda lunga del «thatcherismo» ha dunque segnato anche questo primo scorcio del Terzo Millennio?
«Direi proprio di sì. Di quel neo-liberismo che ha portato alla depressione economica più grave dopo la crisi del 1929, Margaret Thatcher è stata indubbiamente l’apripista. L’apripista di un neo-liberismo che ha finito per porre al centro dell’economia mondiale non più la libera impresa secondo un approccio ideologico neo-individualista. Quello che ha determinato nella realtà dei fatti è il primato delle grandi oligarchie finanziarie e industriali, le quali hanno avuto la strada spianata nel perseguire i propri interessi particolari, obbedendo a finalità puramente speculative, lasciate libere di operare dal progressivo smantellamento degli organi di controllo pubblici sulla speculazione stessa. E tutto ciò ha prodotto il sopravvento dell’economia finanziaria sull’economia produttiva».
In ultima analisi, professor Salvadori, qual è stato il tratto distintivo di Margaret Thatcher?
«Credo sia consistito nel farsi interprete e propugnatrice di una ideologia neoliberista la cui finalità era di dare piena libertà, senza regole né vincoli sociali, dei singoli nel mercato economico-finanziario, e di aver portato nei fatti l’economia, diventata globale, sotto il dominio delle minoranze plutocratiche».
Intervista di
Umberto De Giovannangeli
L'Unità del 9
aprile 2013
Giulietto Chiesa – GORBACIOV E THATCHER
Il rapporto tra la Lady di ferro e Mikhail Gorbaciov è
stato più volte materia di discussione, e di curiosità non solo tra noi, ma
anche nel suo entourage. Più volte, specie a tavola, se ne parlò. Scherzando,
però, solo fino a un certo punto. Per Mikhail Sergeevic era una cosa seria. Non
fu mai soltanto una questione politica.
Lo ha ricordato anche nella sua dichiarazione di
condoglianze di ieri. Io gliel’ho sentito dire in modo molto netto in più d’una
occasione: «Fin dal primo incontro del 1984, quando ancora non ero stato
nominato segretario generale del PCUS, avevo capito di trovarmi di fronte a un
"osso duro". Il confronto era stato molto spinoso, pieno di asperità.
Lei non faceva complimenti, andava diritta al sodo. Io anche. lei era convinta
della superiorità del sistema in cui credeva. Lo ero anch’io, del mio.
Sprizzavano scintille. Ma io vedevo anche un’altra cosa: era curiosa, era
interessata a capire. Ed era convinta che avrebbe potuto convincere non solo me
ma tutto il mondo. Insomma era una forza». Questo era, più o meno, anche il
retroterra psicologico di Gorbaciov e poteva finire male.
Una volta glielo dissi con tutta franchezza. Come si
puo’ pensare che leader di due paesi contrapposti, diciamo pure nemici,
potessero dialogare, e perfino comprendersi al di là e oltre gl’interessi
collidenti?
Gorbaciov mi rispose con una certa ironia. «Questo è un
modo schematico di guardare le cose - mi disse - se fosse così come pensi, non
avrei potuto nemmeno dialogare con Ronald Reagan. Anche a Reykjavík (il vertice
del 1986 che pose fine alla vicenda degli Euromissili, i missili a raggio intermedio
installati da Usa e Urss sul territorio europeo, ndr) si riuscì a trovare un sentiero
strettissimo per venirne fuori senza farci male, solo perché intervenne una
specie di fattore personale. Non era simpatia, ma era una via di mezzo tra
rispetto e paura. E anche di fascino della cosa misteriosa che era il
comunismo. Non ci conoscevano. Si aspettavano che io fossi la continuazione e
mi guardavano con sospetto. Ma poi si trovavano di fronte una persona che non
coincideva con il quadro che si erano fatto. Questo, io credo, influì in modo
determinante su Margareth Thatcher».
Svanita la sorpresa, Gorbaciov e la Thatcher
intrattennero relazioni più personali, si scambiarono lettere, si consultarono
più volte. Quando Gorbaciov divenne segretario generale tutti ricordano la loro
stretta di mano al Cremlino. Non fu una stretta di mano banale. Anche da
lontano si vide, e furono molti a notarlo, che erano due personalità che,
insieme, collidevano e si omaggiavano reciprocamente.
Sono passati tanti anni davvero. E c’è ragione di
pensare che le convinzioni dell’uno e dell’altra non fossero più, fino a ieri,
identiche a quelle del 1984.
L’URSS è finita da tempo, senza essere riuscita a fare
la perestrojka.
Adesso è l’Occidente che non riesce a fare la propria perestrojka e si trova
nei guai. Margaret lascia un mondo che non avrebbe mai immaginato di vedere
così poco imperiale. Gorbaciov potrebbe oggi rivendicare la sua profezia di
allora: anche l’Occidente dovrà cambiare. Ma è la profezia di uno sconfitto.
Infatti non lo dice.
La Stampa, 8 aprile 2013
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