GIORGIO
NEBBIA - 40 ANNI DOPO IL 1973
Nel 1973 il mondo era diviso in tre parti, come aveva scritto nel 1952 il
geografo francese Alfred Sauvy (1898-1990): il primo mondo era quello
capitalistico, comprendente gli Stati Uniti e i paesi amici e satelliti
occidentali, dal Canada all'Inghilterra, alla stessa Italia; la Spagna era
ancora sotto il regime fascista di Franco, la Grecia era ancora governata dai
"colonnelli" di destra. Il secondo mondo era rappresentato
dall'Unione Sovietica e dai paesi satelliti. C'era poi un "terzo
mondo" molto variegato, in genere di paesi arretrati economicamente, molti
dei quali si erano appena scrollato di dosso il dominio coloniale di Francia,
Spagna, Inghilterra; la Cina stava vivendo la rivoluzione culturale, una
contraddittoria ondata di cambiamento, una via comunista indipendente
dall'Unione Sovietica.
Molti paesi del "terzo mondo" si consideravano "non allineati" e cercavano una propria strada di sviluppo, basato sul diritto di sfruttare le proprie ricchezze naturali nell'interesse del proprio popolo; era il caso del Cile dove i governi, prima del democristiano Frey poi, ancora più, del socialista Allende, avevano nazionalizzato le preziose miniere di rame controllate dalle multinazionali nordamericane. Altri fermenti agitavano i paesi dell'Africa equatoriale ricchi di minerali, quelli africani e asiatici ricchi di petrolio. Il mondo contava circa 3500 milioni di persone, circa 500 nel primo mondo, circa 500 nei paesi comunisti del secondo mondo e circa 2000, in rapido aumento, nel "terzo mondo".
Il 1973 fu l'anno della svolta. Una ventata di indipendenza scuoteva i paesi del terzo mondo, consci delle ricchezze minerarie e petrolifere fino allora sfruttate dal primo e dal secondo mondo. Poco prima un oscuro colonnello Gheddafi, aveva assunto il potere in Libia con l'obiettivo di nazionalizzare le risorse petrolifere e, tanto per cominciare, aveva aumentato il prezzo del petrolio di cui erano affamati i paesi industriali. Molti paesi produttori di petrolio, sudamericani, asiatici, africani, si erano uniti in un cartello, l'organizzazione dei parsi esportatori di petrolio, meglio nota come OPEC, per accordarsi su produzione e prezzi, in un momento in cui gli Stati Uniti cominciavano a dover dipendere dalle importazioni di petrolio per continuare a far correre le proprie automobili e i treni e i camion e per far funzionare le fabbriche.
In questo turbolento panorama di rapporti internazionali il mondo era attraversato da altre ondate di contestazioni. La ribellione dei negri contro la segregazione e la miseria negli Stati Uniti e nel Sud Africa di Mandela; la contestazione degli studenti americani ed europei che chiedevano al mondo accademico una nuova maniera di insegnare e nuovi diritti; la protesta degli operai che chiedevano maggiore sicurezza nelle fabbriche e nei campi e più giusti salari.
E, come se non bastasse, dagli Stati Uniti era arrivata l'"ecologia", una nuova domanda di un uso parsimonioso delle risorse naturali scarse, di lotta agli inquinamenti dell'aria, del suolo, dei campi, delle acque, generati dalla "civiltà consumistica". In Italia alcuni magistrati, i "pretori d'assalto", si erano messi di lena ad utilizzare le leggi esistenti per denunciare gli scarichi di veleni nell'ambiente, le fogne a cielo aperto, le strade urbane invase dai fumi del velenoso piombo, il pericolo del mercurio nei mari e nei pesci, la tossicità dei pesticidi. L'"ecologia" spaventò ministri, e industriali che, a parole, fecero finta di convertirsi rapidamente ad amici dell'ambiente e della natura. Corsero tutti alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, tenutasi a Stoccolma nel 1972, senza accorgersi che stavano approvando impegni (poi successivamente disattesi) per una lotta all'inquinamento, per la cessazione delle esplosioni delle bombe nucleari, per un uso più giusto delle risorse naturali di ciascun paese, le cose che i paesi del terzo mondo avevano chiesto, pochi mesi prima, nello stesso 1972, nella Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo tenutasi a Santiago, nel Cile.
Il 1973 inoltre era agitato dal vivace dibattito provocato dalla pubblicazione di un libro "sovversivo" intitolato "I limiti alla crescita", che avvertiva: se non si fosse provveduto ad un rallentamento della crescita economica e merceologica, il mondo sarebbe andato incontro a crescenti inquinamenti e ad un peggioramento della salute umana, a conflitti per appropriarsi di minerali e petrolio e prodotti agricoli scarsi e, alla fine, ad un rallentamento e declino della stessa crescita dell'economia monetaria. Uno studio condotto da una società di analisi economiche aveva dimostrato che i costi monetari dovuti ad inevitabili malattie, incidenti, distruzione di beni economici, alluvioni e frane, sarebbero stati di gran lunga superiori alle spese richieste da una nuova politica di difesa ambientale.
Il "che fare" fu esposto nella "prima" relazione sullo stato dell'ambiente in Italia che il governo di centrosinistra aveva fatto preparare dai maggiori studiosi, urbanisti, chimici, biologi, economisti, ecologi, con il coinvolgimento delle prime associazioni ambientaliste; ne era risultato un documento in vari volumi (ormai introvabili) che fu presentato ufficialmente ad Urbino nel giugno 1973. Subito dopo fu costituito il primo ministero dell'ambiente. Quanto fosse necessaria una svolta nella politica ambientale italiana fu dimostrato da altri incidenti e inquinamenti fino alla comparsa, nell'agosto 1973, del colera a Napoli e Bari (ricordata in queste pagine nei giorni scorsi) a riprova della carenza perfino di depuratori urbani; in molte città italiane le fogne finivano non trattate nel mare, col loro carico di inquinanti e batteri (una situazione che, a dire la verità, non è molto migliorata in molte zone, anche del Mezzogiorno, a 40 anni di distanza).
Quanto fossero credibili le denunce espresse nella Conferenza di Stoccolma e nel libro sui limiti alla crescita apparve chiaro in quel 1973. Nel settembre nel Cile il governo del socialista Allende fu abbattuto con un colpo di stato fascista sobillato dalle multinazionali americane che poterono così riappropriarsi delle miniere di rame; nell'ottobre il tentativo di invasione di Israele da parte dell'Egitto, proprio nel giorno della festa ebraica di Yom Kippur, fu respinto col sostegno occidentale e subito dopo i paesi arabi produttori di petrolio decisero di punire i paesi occidentali bloccando le esportazioni e aumentando il prezzo da 3 a 10 dollari al barile.
A partire dalla fine del 1973 la paura della scarsità di petrolio pervase il mondo industriale; oggi si ricordano le domeniche senza auto, le persone che si muovevano sui pattini a rotelle e le code ai distributori di benzina.Il governo italiano, elaborò degli affrettati piani energetici, tutti sbagliati perché non tenevano conto della nuova terribile realtà, la scarsità di risorse naturali a basso prezzo. Sembravano avverarsi le previsioni dei "limiti alla crescita" e cominciò a circolare la sgradevole parola: austerità. Esorcizzata, nei decenni successivi, dalla scoperta di nuovi giacimenti, dalla fine del comunismo, da ondate consumistiche.
Fino alla nuova crisi iniziata nei primi anni duemila; con crescenti instabilità politiche e militari, ondate migratorie dai paesi poveri verso i paesi ricchi; sono oggi ben visibili ingiustizie e discriminazioni etniche, sociali, religiose, in una popolazione mondiale che è raddoppiata rispetto al 1973; una sfacciata opulenza di pochi di fronte alla miseria della maggioranza dei popoli. Anche oggi le rivolte in Africa settentrionale e centrale, nel medio Oriente, nell'Asia centrale, hanno la loro origine nella protesta contro il tentativo dei paesi ricchi di appropriarsi a basso prezzo del loro petrolio, rame, coltan, ferro, uranio, tungsteno, terre rare, dei loro prodotti forestali e agricoli, le merci che tengono in moto la società dei consumi e dei rifiuti.
Eppure la cura di queste malattie planetarie era stata indicata già nel Settantatre nella forma di una maggiore giustizia e minore avidità; perché non l'abbiamo adottata ? Siamo ancora in tempo ?
Dal sito http://www.eddyburg.it/
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