Una
riflessione sulla musica (e più in generale sull'arte) di uno dei
più grandi musicisti contemporanei:
Zubin Mehta - Stravinskij e
Schönberg: perché la musica ha bisogno di scandali
Okay. Verdi e Wagner; no problem, si va sul sicuro. È il primo pensiero che ho avuto ricevendo la telefonata del direttore artistico di MiTo, Enzo Restagno: mi parla di un doppio anniversario, siamo nel 2013, penso immediatamente al bicentenario dalla nascita di Verdi e Wagner. Poi però fa riferimento al 1913, dice che vorrebbe ricordare due tra i più grandi scandali che si siano mai consumati nella storia musicale, due episodi clamorosi che vorrebbe accostare in uno unico concerto da affidare proprio a me. Lì per lì ho provato un misto di timore ed eccitazione, ma in pochi secondi il gusto per la sfida ha prevalso sulla prudenza, e così il 20 e 21 dirigerò la «mia» orchestra del Maggio Musicale Fiorentino nella «Sacre du Printemps» di Igor Stravinskij e nella Kammersymphonie n. 1 di Arnold Schönberg.
Perché è una sfida? Immaginatevi un lussuoso teatro parigino inaugurato da neppure due mesi, il Théâtre des Champs-Elysées, una serata di gala dedicata ai balletti russi, la sala gremita, le luci sfavillanti; e all'improvviso la platea diventa una bolgia, il pubblico inizia a scagliare ogni sorta di oggetto verso l'orchestra, la musica viene letteralmente subissata da grida e insulti, si scatena una rissa sedata solo dall'intervento della polizia che allontana a forza una cinquantina tra i più tumultuosi. Accadde il 29 maggio di cent'anni fa, e la causa fu proprio quello che sarebbe passato alla storia come uno dei massimi capolavori del 900, forse il suo emblema musicale, ma anche come lo scandalo più clamoroso del 900 e forse dell'intera storia della musica. A quei tempi il pubblico parigino dei balletti era diviso in due fazioni: i tradizionalisti, che chiedevano belle musiche e allestimenti rassicuranti, e un gruppo bohémien, tra cui il poeta-filosofo Jean Cocteau, che applaudiva qualunque cosa suonasse nuova e che rompesse gli schemi.
Le cronache rilevano
unanimi il mormorio che si levò dalla platea fin dall'Introduzione e
che andò crescendo fino a divenire, all'inizio del secondo quadro,
un boato che impediva ai ballerini sul palco di sentire la musica.
Stravinskij, offeso, aveva lasciato la sala già nell'Introduzione,
rifugiandosi nel retropalco. Le invettive si scagliavano anche contro
le coreografie di Vaclav Nijinskij, osannate al pari della musica dal
gruppo dei bohémien. Pierre Monteux, sul podio dell'orchestra,
ricorda la rissa tra le due fazioni, sottolineando orgogliosamente
come i musicisti continuarono a suonare nonostante piovessero su di
loro oggetti di ogni tipo. Il critico de Le Figaro bollò la Sagra
come una «barbarie puerile», sconvolgente per le coreografie e per
le soluzioni musicali.
Ancor oggi che non risulta più scandalosa o inaccettabile (e già nel 1940 Walt Disney poteva usarlo per accompagnare la sequenza sulla preistoria in «Fantasia»), la Sagra non ha perso la sua carica e il suo spirito rivoluzionari: alle orecchie del pubblico i suoi ritmi risultano ancora barbari e le armonie quanto meno strane, e proprio per questo, paradossalmente (Stravinskij amava il paradosso) la Sagra è classica, perché il classico è ciò che mantiene il suo valore e il suo senso nel tempo.
Confesso che i sentimenti
del pubblico sono stati in parte anche i miei: l'ho diretta per la
prima volta mezzo secolo fa, nel 1963 a Montreal (quindi è anche un
mio anniversario...), e il confronto con gli orchestrali fu molto
intenso; la seconda volta furono proprio gli orchestrali a darmi dei
consigli: avevo davanti la Filarmonica di Los Angeles, che aveva
eseguito la Sagra tantissime volte, anche con lo stesso Stravinskij.
Oggi è un brano che adoro, penso all'intimità di certi momenti come
l'apertura della seconda parte, la forza del Sacrificio, l'ultima
danza; ma ancor oggi mi è difficile governare l'orchestra, condurre
il fraseggio e scandire i ritmi: non posso coinvolgermi nelle scene,
devo rimanerne fuori perché per concertare un brano così complesso
bisogna guardarlo a distanza.
Se è così per me che lo suono da cinquant'anni, immagino che cosa sia per il pubblico che l'ascolta magari per la prima o la terza volta. La Kammersymphonie è un'opera meravigliosa, l'ho diretta per la prima volta nel 1958 a Vienna, ancora da studente, assieme al «Pierrot Lunaire»: ha dentro così tanta materia musicale che ci si potrebbero ricavare nove sinfonie. È una sonata e una sinfonia allo stesso tempo, è tonale ma contiene una tale quantità di dissonanze da risultare intollerabile al pubblico viennese dell'epoca, assai conservatore. Infatti la Kammersymphonie fu protagonista di un altro clamoroso scandalo, consumatosi a Vienna due mesi prima della serata parigina: il 31 marzo 1913 venne proposta nella Sala Grande del Musikverein assieme alle opere dei due allievi di Schönberg, i sei Pezzi per orchestra di Webern e i Cinque Lieder orchestrali di Berg su testi di Altenberg; in locandina campeggiavano dunque i nomi dei tre compositori che avrebbero dato vita alla Seconda Scuola di Vienna, intenzionati a rompere le convenzioni e le convinzioni armoniche, melodiche e formali canonizzatesi con Haydn, Mozart e Beethoven, cioè la Trinità dell'altra scuola, quella passata alla storia come Classicismo viennese.
Ebbene, anche quella serata fu uno scandalo clamoroso, tanto da passare alla storia come «Skandalkonzert», e a differenza del più famoso 29 maggio parigino, non venne neppure terminata: dopo aver ascoltato le note di Wabern e Schönberg, il pubblico esplose durante il brano di Berg, protestando e schiamazzando così violentemente da interrompere il concerto, che avrebbe dovuto concludersi con il primo dei Kindertotenlieder di Mahler. Il 18, dopo Schönberg, ci sarà l'intervallo. E poi la Sagra. Chissà...
(Da: Il Corriere della sera 1 settembre 2013)
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