Leonard Cohen, ritratto dell'artista da giovane |
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in libreria il romanzo autobiografico di Leonard Cohen. Parole come
musica in una Montreal notturna che assomiglia più a Montmartre che
a New York.
Irene Bignardi - Leonard Cohen il buono
scrittore che non ti aspetti
Sono passati
cinquant'anni. Il mondo è cambiato - ma, come ben sappiamo, non è
molto migliorato. La fatica di crescere non è certo più lieve che
mezzo secolo fa. E forse per questo Il gioco preferito e la prosa
spezzata, metaforica, poetica di questa autobiografia in terza
persona riescono ancora a parlare alla generazione dei ventenni di
adesso, che ne conoscono l' autore, molto probabilmente, solo come il
grande musicista, il cantante, il poeta in musica di Suzanne e
di Sisters of Mercy, di The Partisan e di So Long
Marianne.
Il gioco preferito era la
prima prova narrativa di un giovane poeta ebreo-canadese che nel 1963
aveva ventinove anni, che viveva a Montreal, scriveva versi, amava le
donne, suonava la chitarra, aveva una voce in cui si alternavano il
velluto e la carta vetrata. Cinquant'anni dopo a impegnarsi
nell'avventura di ristampare i titoli dell'opera poetica e narrativa
di Leonard Cohen - da Confrontiamo allora i nostri miti a Le
spezie della terra, da Parassiti del Paradiso a Morte
di un casanova, per finire con Il gioco preferito e, dal
lato della produzione poetica, con l' esoterico, complesso
Libro della misericordia - è Minimum fax, un editore specialista
in recuperi d' autore.
Quando Il gioco
preferito (pagg. 243, euro 9, bella traduzione di Chiara
Vatteroni) venne pubblicato la prima volta in Italia, nel 1975, nel
pieno del successo di Leonard Cohen musicista, aveva ridefinito nelle
forme di un inconsueto Bildungsroman il profilo di un "cantautore"
molto speciale: perché l' identikit di Leonard Cohen, nato nel 1934,
figlio di una famiglia di industriali tessili, ribelle come tutti o
quasi i suoi coetanei, colto come pochi, non rientrava nel modello
classico del musicista di quegli anni.
Aveva debuttato come
poeta e narratore prima che come cantante ( Let us compare
mithologies uscì nel 1956, quando Cohen aveva ventidue anni, Il
gioco preferito nel 1963). E attorno al libro si era costruito un
piccolo mito, che vedeva in Leonard Cohen lo Stephen Dedalus di un
Ritratto dell' artista da giovane in versione quebecoise,
perso nella notte di Montreal anziché nelle strade di Dublino. Nel
libro Leonard Cohen era, scopertamente, provocatoriamente,
onestamente, Lawrence Breavman, il figlio unico di una ricca famiglia
ebrea di Montreal. E gli eventi che contrassegnano la sua
adolescenza, le avventure giovanili di Lawrence sono quelle di
Leonard Cohen: la morte prematura del padre, il rapporto conflittuale
con la madre malata, l' irritata ostilità nei confronti dei vecchi
zii commercianti, la ribellione/ fascinazione nei confronti della
cultura e della comunità ebraica a cui appartiene e da cui,
nonostante le migliori intenzioni, non riuscirà mai a liberarsi, la
fedeltà agli amici, l' incantamento di fronte alle donne, le prime
(e le seconde, e le terze...) esperienze con il sesso, gli
innamoramenti - primo fra tutti per Shell, che rappresenta la
scoperta dell' amore, poi per Tamara, la grande bellezza disinvolta
la cui bocca «appartiene a tutti, come un parco», per Wanda, che fa
l' amore dove le capita, per ogni donna che con il suo corpo, il suo
viso, le sue gambe accende la ragazzesca sensualità del giovane
Lawrence.
E poi gli esperimenti
letterari, le risse da bar, il lavoro come operaio per ammirare da
vicino la fusione dell' ottone, il razzismo subito ed esibito, il
dono misterioso di ipnotizzare la gente (una metafora per la
fascinazione della sua musica?), la fuga verso la grande metropoli,
il ritorno, la confusione che lo porta ad errare, nelle ultime pagine
del libro, solo, senza soldi, senza meta, senza progetti per la
magica Montreal notturna.
E sentiamo annunciati da
queste premesse, fuori dalla pagine del libro, nel futuro non detto
di Lawrence, la musica, il successo, la notorietà. Fino a che il
giovane Leonard Cohen/ Lawrence Beavman del libro si salderà con il
Leonard Cohen che conosciamo. La star. Il cantante /poeta. L' eremita
di Hydra, dove è lungamente vissuto e dove ha scritto alcune delle
sue più belle canzoni. Il buddista che si è scelto il nome
provocatorio e contraddittorio di Jikan, e cioè il silenzioso. E ora
l' anziano menestrello che, dopo essersi ritirato dalle scene per la
maggior parte degli anni Novanta, torna a portare per il mondo la sua
musica, cappello in testa e voce sempre più profonda, perché il suo
patrimonio è svanito non si sa dove...
C'è, nelle pagine di Il
gioco preferito, una scrittura insieme concreta e metaforica, un'
aggettivazione precisa e poetica, un approccio sghembo ma preciso ai
ricordi, una scelta lessicale sofisticata: tutto organizzato in una
struttura libera, a piccoli capitoli, che racconta, in un andirivieni
nel tempo, tra poesia e narrazione, l' incanto delle scoperte, la
difficoltà di crescere, la fatica di doverlo fare. In un romanzo
eccessivo, compiaciuto, forse (vedi il ricorrente ricordo di Stephen
Dedalus) già scritto. Ma sorprendentemente capace di parlarci di
quell'eterna sperimentazione che è la giovinezza.
(Da: La Repubblica del 4
agosto 2013)
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