25 settembre 2013

IL GIOCO PREFERITO DI LEONARD COHEN



Leonard Cohen, ritratto dell'artista da giovane


Ritorna in libreria il romanzo autobiografico di Leonard Cohen. Parole come musica in una Montreal notturna che assomiglia più a Montmartre che a New York.

Irene Bignardi - Leonard Cohen il buono scrittore che non ti aspetti

Sono passati cinquant'anni. Il mondo è cambiato - ma, come ben sappiamo, non è molto migliorato. La fatica di crescere non è certo più lieve che mezzo secolo fa. E forse per questo Il gioco preferito e la prosa spezzata, metaforica, poetica di questa autobiografia in terza persona riescono ancora a parlare alla generazione dei ventenni di adesso, che ne conoscono l' autore, molto probabilmente, solo come il grande musicista, il cantante, il poeta in musica di Suzanne e di Sisters of Mercy, di The Partisan e di So Long Marianne.

Il gioco preferito era la prima prova narrativa di un giovane poeta ebreo-canadese che nel 1963 aveva ventinove anni, che viveva a Montreal, scriveva versi, amava le donne, suonava la chitarra, aveva una voce in cui si alternavano il velluto e la carta vetrata. Cinquant'anni dopo a impegnarsi nell'avventura di ristampare i titoli dell'opera poetica e narrativa di Leonard Cohen - da Confrontiamo allora i nostri miti a Le spezie della terra, da Parassiti del Paradiso a Morte di un casanova, per finire con Il gioco preferito e, dal lato della produzione poetica, con l' esoterico, complesso Libro della misericordia - è Minimum fax, un editore specialista in recuperi d' autore.

Quando Il gioco preferito (pagg. 243, euro 9, bella traduzione di Chiara Vatteroni) venne pubblicato la prima volta in Italia, nel 1975, nel pieno del successo di Leonard Cohen musicista, aveva ridefinito nelle forme di un inconsueto Bildungsroman il profilo di un "cantautore" molto speciale: perché l' identikit di Leonard Cohen, nato nel 1934, figlio di una famiglia di industriali tessili, ribelle come tutti o quasi i suoi coetanei, colto come pochi, non rientrava nel modello classico del musicista di quegli anni.





Aveva debuttato come poeta e narratore prima che come cantante ( Let us compare mithologies uscì nel 1956, quando Cohen aveva ventidue anni, Il gioco preferito nel 1963). E attorno al libro si era costruito un piccolo mito, che vedeva in Leonard Cohen lo Stephen Dedalus di un Ritratto dell' artista da giovane in versione quebecoise, perso nella notte di Montreal anziché nelle strade di Dublino. Nel libro Leonard Cohen era, scopertamente, provocatoriamente, onestamente, Lawrence Breavman, il figlio unico di una ricca famiglia ebrea di Montreal. E gli eventi che contrassegnano la sua adolescenza, le avventure giovanili di Lawrence sono quelle di Leonard Cohen: la morte prematura del padre, il rapporto conflittuale con la madre malata, l' irritata ostilità nei confronti dei vecchi zii commercianti, la ribellione/ fascinazione nei confronti della cultura e della comunità ebraica a cui appartiene e da cui, nonostante le migliori intenzioni, non riuscirà mai a liberarsi, la fedeltà agli amici, l' incantamento di fronte alle donne, le prime (e le seconde, e le terze...) esperienze con il sesso, gli innamoramenti - primo fra tutti per Shell, che rappresenta la scoperta dell' amore, poi per Tamara, la grande bellezza disinvolta la cui bocca «appartiene a tutti, come un parco», per Wanda, che fa l' amore dove le capita, per ogni donna che con il suo corpo, il suo viso, le sue gambe accende la ragazzesca sensualità del giovane Lawrence.

E poi gli esperimenti letterari, le risse da bar, il lavoro come operaio per ammirare da vicino la fusione dell' ottone, il razzismo subito ed esibito, il dono misterioso di ipnotizzare la gente (una metafora per la fascinazione della sua musica?), la fuga verso la grande metropoli, il ritorno, la confusione che lo porta ad errare, nelle ultime pagine del libro, solo, senza soldi, senza meta, senza progetti per la magica Montreal notturna.



E sentiamo annunciati da queste premesse, fuori dalla pagine del libro, nel futuro non detto di Lawrence, la musica, il successo, la notorietà. Fino a che il giovane Leonard Cohen/ Lawrence Beavman del libro si salderà con il Leonard Cohen che conosciamo. La star. Il cantante /poeta. L' eremita di Hydra, dove è lungamente vissuto e dove ha scritto alcune delle sue più belle canzoni. Il buddista che si è scelto il nome provocatorio e contraddittorio di Jikan, e cioè il silenzioso. E ora l' anziano menestrello che, dopo essersi ritirato dalle scene per la maggior parte degli anni Novanta, torna a portare per il mondo la sua musica, cappello in testa e voce sempre più profonda, perché il suo patrimonio è svanito non si sa dove...

C'è, nelle pagine di Il gioco preferito, una scrittura insieme concreta e metaforica, un' aggettivazione precisa e poetica, un approccio sghembo ma preciso ai ricordi, una scelta lessicale sofisticata: tutto organizzato in una struttura libera, a piccoli capitoli, che racconta, in un andirivieni nel tempo, tra poesia e narrazione, l' incanto delle scoperte, la difficoltà di crescere, la fatica di doverlo fare. In un romanzo eccessivo, compiaciuto, forse (vedi il ricorrente ricordo di Stephen Dedalus) già scritto. Ma sorprendentemente capace di parlarci di quell'eterna sperimentazione che è la giovinezza.
(Da: La Repubblica del 4 agosto 2013)

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