Uno
dei grandi meriti dei surrealisti è stato l'aver evidenziato il
nesso fortissimo esistente tra arte moderna e alchimia. L'opera di
Anselm Kiefer ne è un'eloquente dimostrazione.
Melania Mazzucco - Un girasole fa da
testimone alle nozze alchemiche di Kiefer
Un altissimo girasole
incenerito dalla luce svetta in un universo desolato,
bianco-grigio, astratto come un'immagine mentale e però materico
e tattile come tutte le cose di questo mondo. Un uomo giace,
disteso su un lenzuolo, nudo, come una vittima sacrificale, le
braccia lungo i fianchi, i piedi contratti, raffigurato in
scorcio. Il peso della carne lo sprofonda nella parte inferiore
dell'immagine. Dorme, contempla o forse è morto (nella storia
dell'arte, su ogni nudo in scorcio incombe il ricordo delCristo
morto di Mantegna e Holbein).
Il fiore invece,
nonostante l'enorme corolla, è leggero. Si libra aereo sullo
stelo sottile, quasi chino sul corpo esanime. Come se, sbocciato
da quello, ne fosse l'ombra, il riflesso. L'insieme è
malinconico, triste, come una liturgia funeraria. Lo spazio è
abolito, l'uomo e il fiore spiccano nella loro solitudine. Eppure
la slanciata verticalità del girasole comunica un movimento
ascendente, e la miriade di punti neri - i semi che il girasole
lascia cadere e che picchiettano la superficie - diventano un
firmamento pulsante e vivo, una pioggia di stelle.
Anche il titolo, Sol
Invictus - come recita la scritta a matita nel bordo superiore -
suona trionfante. Anselm Kiefer inserisce spesso parole nelle sue
opere. Motti, versi, nomi che citano liriche, luoghi, poeti, miti
e dei babilonesi, egizi, classici o nordici. La scrittura, sempre
di suo pugno, svolge una funzione ambigua - ironica e dissacrante,
oppure solenne, perfino mistica. Offre dell'immagine una chiave di
lettura inattesa, talvolta disorientante. Ma le lettere sono anche
puri segni, che hanno una funzione sciamanica - come formule
magiche, l'abracadabra dell'officiante. Sol Invictus (Sole
invitto) rimanda ai culti solari della tarda epoca pagana - a
Eliogabalo, a Mitra. È associato alla festa della vittoria della
luce sulle tenebre e alle dottrine dell'eterno ritorno.
Kiefer, tedesco,
nostro contemporaneo - nato nell'anno della fine della Seconda
guerra mondiale e di Hiroshima - ha sempre creato opere d'impatto
emotivo immediato, nonostante la complessità concettuale e quasi
esoterica che le alimenta. Esperto di cabala e alchimia, ma
interessato anche alle scienze (dalla botanica alla fisica
nucleare), nella sua opera non ha eluso temi considerati tabù
nella seconda metà del XX secolo - la storia tedesca,
l'opprimente memoria del nazismo, lo sterminio del popolo ebraico,
le eterne domande sull'uomo, la colpa, la morte, Dio. Non si è
mai considerato "solo" un pittore, e lavora con la
materia e le sue metamorfosi. Come gli alchimisti volevano
accelerare la trasmutazione dei metalli vili in oro, così lui ha
dipinto e operato col piombo, col fuoco, col sale, con l'acqua,
con l'aria e con la cenere - e ha definito questo la sua "magia".
Ogni cosa, ogni forma, ogni essere, può diventare altro, e
rigenerarsi.
Per tradurre ciò in
un discorso visivo, Kiefer ha usato di tutto - minerali, vegetali,
architetture. Rottami di motori d'aeroplano, eliche, vetro,
mattoni, stufe, paglia, sabbia, peli, unghie, sperma, sci e scarpe
di ferro.
Ha dipinto serpenti, angeli, libri, sterili paesaggi di neve,
edifici nazisti arsi dalle fiamme, forni, crogioli, sommergibili,
astri, rotaie di treni, parallele che s'incontrano all'infinito e
le cui traversine potrebbero essere anche pioli di scale celesti.
Ma soprattutto, dopo la prima irrelata apparizione nel 1971
(l'acquerello Uomo disteso con ramo), dal 1995 più volte ha
dipinto - o composto con altri materiali - questa stessa scena:
una forma verticale accanto al (o dentro il) corpo orizzontale di
un uomo. Così essa è divenuta un'immagine ricorrente, che ha
progressivamente moltiplicato le sue risonanze simboliche.
La forma verticale può
essere una scala che unisce la terra al cielo (come ne Il sogno di
Giacobbe del 1996), una linea dal tratto spezzato, o un albero. Ma
preferibilmente è un girasole - un unico esemplare o un campo
intero (come in Aschenblume, Fiore di cenere, titolo che cita una
poesia di Paul Celan, e in L'ordine della notte). Il fiore può
nascere dalla mente dell'uomo, dalla sua linfa vitale, dai suoi
organi, dal suo sesso o dal suo ombelico. Le forme possono
galleggiare in uno spazio neutro e onirico, oppure essere gettate
su un suolo d'argilla screpolata, sotto un cielo scuro di nuvole o
brulicante di stelle.
In Athanor, una delle
ultime varianti, del 2007, Kiefer inscrive le tre parole chiave
del processo alchemico: "nigredo, rubedo, albedo". Come
se volesse esplicitare la sua fonte e il vero soggetto
dell'immagine. Sol Invictus si svela allora come una meditazione
sulle leggi della natura, la rappresentazione di un passaggio da
uno stato all'altro: il corpo dell'uomo è una membrana che
connette macro e microcosmo, da cui passano morte e rinascita.
Insomma, un rituale alchemico di resurrezione.
A guardare meglio,
l'uomo disteso che si abbandona al flusso della vita è sempre lo
stesso. Benché sia nudo, non è chiunque. Ha le sembianze di un
individuo specifico: Kiefer. È ripreso da una fotografia di
parecchi anni prima che lo raffigura mentre medita nella posizione
yoga del "cadavere". L'informazione aiuta a decifrare le
sue intenzioni, poiché Kiefer maneggia la filosofia e la
letteratura con la stessa perizia con cui cauterizza i supporti e
sceglie pigmenti, materiali, e dimensioni (spesso, come in questo
caso, monumentali, gigantesche). Ma nello stesso tempo è
pleonastica.
In età moderna, per i
pittori - ne fossero consapevoli o ignari - il girasole è
un'immagine dell'artista. Il fascino misterioso dei girasoli di
Van Gogh (idolatrato da Kiefer nella sua adolescenza), o di quelli
macilenti di Schiele, nasce anche da questo. Fiore non
ornamentale, ma agricolo, utile come un albero da frutto, il
girasole ha radici nella terra, eppure si muove inseguendo la
luce. Non è prigioniero del luogo in cui sboccia, ma usa il suolo
e l'atmosfera che lo circonda per crescere. Fuor di metafora,
partecipa della storia, del tempo in cui gli è dato vivere. Ruota
su se stesso, per nutrirsi di sole, e tutto lo aumenta. Si
dissecca, ma anche il suo annientamento genera forza creatrice:
diventa seme da cui nasceranno altri fiori, liquido, vita.
Per me nessuno ha
saputo come Kiefer esprimere questa fiera visione del ruolo
dell'artista e dell'essere umano con un'immagine così naturale e
così potente. Chiamatela pure poesia, o magia.
(Da: La Repubblica del 1 settembre 2013)
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