18 settembre 2013

GRECIA IN VENDITA


Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica.

MATTEO NUCCI  -  GRECIA IN VENDITA

Atene. La più balzana fra le parecchie idee balzane con cui l’ormai famigerata troika sta intervenendo sui conti greci è arrivata alla fine dello scorso anno. Gli esponenti di FMI, BCE e UE, hanno suggerito di evacuare le isole abitate da meno di 150 persone per tagliare l’inutile spesa statale. Le cronache raccontano che i Ministri greci, benché ormai abituati a ogni genere di richieste (richieste che accompagnano la Grecia al suo sesto anno di recessione), sono saltati su, a tal punto sdegnati che la proposta è stata subito ritirata. Del resto, quel che raccontavano i giornali nei giorni seguenti era abbastanza chiaro. Perché svuotare isole minuscole che non hanno nulla, a parte tradizioni e abitanti legati alla terra, se non per privatizzarle e venderle? Non è quel che hanno detto a chiare lettere politici tedeschi come il liberale Schäffer e il democristiano Wanderwitz? Il primo ha suggerito di vendere isole per tornare in pareggio, il secondo ha addirittura chiesto qualche isola in cambio degli aiuti finanziari. Nel caso di isole quasi vuote di che stupirsi?
Mentre la nave mi lascia sul porto di uno fra i meno abitati di questi pezzi di terra e roccia, tra casse di verdura che i vecchi corrono a conquistarsi ignorandomi, penso di nuovo a quei signori della troika. Non sono mai stati qui – questo è sicuro. Neppure il Presidente della Repubblica, Karolos Papoulias, riuscì a sbarcare sul piccolo molo di Antikithira, in un mattino di quattro anni fa, quando era in programma la sua visita ufficiale. Il vento era troppo forte, e la nave, come spesso capita, non poté attraccare. Mai programmare nulla, se si sbarca in questo angolo lontano dalle grandi rotte – lo ripetono tutti. Se arrivi non sai se potrai andartene, né quando. Altro che Odisseo nell’isola di Calipso. Qui, i 25 abitanti non tenteranno di trattenerti a tutti i costi con promesse d’immortalitá, ma sarà semmai la natura che, imprevedibile, non fa sconti.
Quanto alle spese statali, poi, è divertente indagare. “Il contributo dello stato arriva con la presenza di un poliziotto e di un medico” mi spiega Dionisis Progoulakis, presidente dell’Assemblea dei cittadini di Antikithira. Al bar/taverna/emporio/ufficio postale del paese, mentre si arrotola l’ennesima sigaretta, Progoulakis continua a rappresentare l’unico filo che lega l’isola allo Stato centrale, un filo fragilissimo da quando Papandreou fece passare una legge rivoluzionaria per l’organizzazione amministrativa del Paese: la Kallikratis.
Comuni ridotti all’osso (da 1033 a 325), poteri dei piccoli centri polverizzati. Mentre la macchina burocratica si snelliva, realtà microscopiche e fisicamente lontane venivano quasi abbandonate a se stesse. “Io non guadagno nulla e non ho poteri. Posso solo suggerire quel che ci serve ma chi mi ascolta? Abbiamo perso autonomia e dobbiamo fare tutto da soli. Le strade le aggiustiamo noi. Gli incendi li spegniamo con le coperte perché il mezzo statale è rotto e nessuno viene a aggiustarlo”. Per la salute, però, dopo otto mesi senza un medico, è arrivato, amatissimo, un neolaureato venticinquenne in tirocinio, Avra Drougou: “Qui è come essere in famiglia. Un’esperienza bellissima, per certi aspetti. Per altri, è impressionante vedere in che condizioni di vita si è abbandonati. Quando la nave non arriva manca ogni cosa, e soprattutto i farmaci”. In questo scoglio perfettamente a metà fra Creta e Kithira, l’isola di Afrodite, la condizione delle isole che sarebbero responsabili degli sprechi greci è esemplare. C’è solo una bellezza sconcertante, infatti. E solo api che svolazzano sui cespugli di timo producendo un miele miracoloso. E solo pesce che arriva sui piccoli gozzi ogni sera. E solo capre selvatiche: talmente numerose che gli isolani non ci pensano neppure a recintarle e invece recintano se stessi, per proteggere i quattro vasi di gerani e i pochi orti domestici. Venti uomini e cinque donne. Nessuna scuola dal 1995. I bambini costretti a Creta. Quale risparmio qui per la troika? Solo bellezza da vendere.
Per ora, però, la vendita (o svendita – come suggeriscono le malelingue, abituate alle ultime privatizzazioni) è rimandata. Anche la lista di isole deserte che si potrebbero mettere sul mercato, una lista che l’attuale Premier Samaras ha fatto già stilare (individuandone una quarantina sulle oltre 2.800 disabitate), è provvisoriamente nel cassetto. Sul mercato allora sono soltanto le isole di proprietá privata che i greci non riescono più a mantenere. Anche in questo caso però l’orgoglio nazionale sta sollevando polemiche. La celebre Skorpios dove Aristotele Onassis è sepolto assieme ai figli è stata venduta lo scorso aprile a Ekaterina Rybolovleva, figlia di un oligarca russo. Ma le parole del vecchio armatore erano chiare: se i discendenti non avessero più potuto mantenerla, l’isola sarebbe tornata possesso statale. “Comunque vada la storia di Skorpios, sarebbe meglio che anche le isole private restassero in mani greche”. Sono tutti d’accordo, gli avventori di un libraio usato aperto fino a notte fonda, a Odos Klepsidras sotto le pendici dell’Acropoli. “Ne abbiamo abbastanza”. Lo dicono con calma.
Forse c’è qualcosa di nuovo in questa terza estate di crisi nera, in cui i Greci si sentono schiacciati dall’ennesimo invasore. Le strade brulicano di gente e i locali più economici sono zeppi e quelli più opulenti sono ormai dimenticati. “Non credo sia l’abitudine. Forse più che altro facciamo tesoro dei nostri errori” mormora Alexia, trentacinquenne maestra, davanti a uno dei negozi equo solidali a bassissimo prezzo in cui gli ateniesi cercano ora scampo. “Era la hybris, la tracotanza che gli dei puniscono nella nostra storia da sempre. Adesso siamo ridimensionati e credo sia una fortuna. Ma l’orgoglio, quello resta lo stesso”. Una fierezza che cresce anche sul record di presenze turistiche di quest’estate 2013. Quasi il 15 per cento in più. Forse dovuto in parte alla crisi turca ma poco importa. “Le mete restano quelle del turismo di massa” mi spiega l’esperto del comune di Kithira “I flussi sono invariati su isole come la nostra che privilegia un turismo di qualità, evita i gruppi e punta su singoli che amano non soltanto il mare ma anche la cultura dell’isola e il suo entroterra”. Altrove invece il turismo di massa rischia di fare danni. “Così sarà la fine” mormora Stamatis Mavros, baluardo storico di una delle isole che negli ultimi anni si è conquistata un posto di prima fila fra le mete di viaggio: Koufonissi. Famoso per la zuppa di pesce e i giudizi sferzanti, Mavros, 54 anni, è drastico. “Questa è un’isola piccola. Non è Santorini o Mykonos. Gli ateniesi arrivano, comprano i terreni, costruiscono, creano alberghi da 120 euro a notte, eppoi? Perché non si pensa a un museo visto che qui fiorì la Civiltà Cicladica? Serve un turismo diverso. Le spiagge sono poche e piccole. Quest’anno Koufonissi è sovraffollata come mai da luglio a agosto. Si deve smettere di costruire”.
Non vendere, non svendere, non distruggere. Equilibrio, ci vuole equilibrio. La misura è tutto. È la parola d’ordine che regna su una delle isole meno abitate, dove la quiete regna incontrastata e dove mi pregano di non dare le coordinate, non fare nomi, non dire nulla. Del resto, non ci sono traghetti che la raggiungano, nessun collegamento ufficiale. Chi vive qui non ha bisogno di nulla. D’inverno si raccoglie l’acqua piovana. Il vento e il sole producono energia. La terra coltivata offre verdure. Le capre e il pesce danno il resto. È uno di quegli anfratti che nei mari greci furono rifugio di pirati. E che ora rappresentano un’altra dimensione possibile. Una dimensione in cui lo Stato, con buona pace della troika, semmai ci guadagna. Perché si paga l’affitto delle terre interamente statali e si contribuisce a conservare la territorialità greca delle acque. E così eccoci all’ultima vera questione politico-economica, in auge da quando si comincia a parlare del petrolio che si nasconderebbe sotto gli abissi di questi mari.
L’esempio classico è Rho, sperduta isola dell’Egeo, sotto la Turchia, tra Rodi e Kastellorizo. Una manciata di abitanti che mantengono intatto un confine e coltivano il mito di una donna che si alzò ogni mattino fino alla morte a issare una bandiera greca sul tetto. “Se si sradicano queste realtà si perde tutto: storia, tradizioni e confini. Ma nessuno ci conquisterà” mi dice scandendo le parole Theodoros Consolas, anima di Gavdos, l’isola di Calipso, 60 abitanti a sud di Creta, nel mar Libico “Per ora si sono fermati, ma stia attento: usano altri strumenti. Come crede che possano informarsi gli abitanti di isole sperdute? Con la televisione. Bene, quella pubblica ora l’hanno chiusa”.

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